Tragedia lirica in due atti, libretto di Giovanni Emanuele Bidera da “Charles VII chez ses grands vassaux” di Alexandre Dumas. Louis Quilico (Il conte di Vergy), Montserrat Caballé (Gemma di Vergy), Natalya Chudy (Ida di Grenville), Luis Lima (Tamas), Mark Munkittrick (Rolando), Paul Plishka (Guido). Schola Cantorum, Opera Orchestra of New York. Eve Queler (direttore), Hugh Ross (Maestro del Coro). Registrazione: New York, Carnagie Hall, 14, 25 e 26 marzo 1976. 2 CD Sony 88985470342
Nel 1975 e il 1976 a Napoli (Teatro San Carlo), New York (Carnagie Hall) e Parigi (Radio France), il soprano Montserrat Caballé è stata la protagonista delle riprese in tempo moderno dell’opera donizettiana. Mentre ci aveva già regalato, nell’album “Donizetti rarities” del 1967, una splendida esecuzione della scena d’entrata della protagonista (“Una voce al cor d’intorno”), purtroppo il soprano catalano arriva un po’ tardi all’appuntamento con l’esecuzione completa dell’opera. Gli anni 1975 e 1976 vedono già la Caballé in evidente difficoltà (il confronto con la prima esecuzione dell’aria dell’atto I è impietoso). L’incisione tratta dalle esecuzioni newyorchesi (uscita in lp per la CBS nel 1977, mai pubblicata fino a oggi in cd) ci presenta una Caballé quanto mai alterna nella resa: la voce ha perso in morbidezza, molto indurita negli acuti (solo a tratti ritroviamo i bellissimi pianissimi, elemento peculiare della vocalità della Caballé). Il temperamento della cantante, poi, non è mai stato autenticamente drammatico e il ruolo, che invece è tutt’altro che elegiaco, la vede in palese difficoltà. Il grosso limite della Caballé è sempre stato quello (soprattutto nella seconda parte della sua carriera) di prestare poca cura al fraseggio, scarsamente incisivo e privo di reali intenzioni drammatiche. Il resto del cast non è di certo entusiasmante. Il baritono Louis Quilico (Conte di Vergy) non ha mai brillato per bellezza di timbro, ma qui anche lui appare vocalmente stanco e questo ancor più evidenzia il disagio stilistico del cantante. Carenza presente anche in Luis Lima (Tamas), del quale apprezziamo solo il bel timbro, ossia molta “natura” e assai meno tecnica. Paul Plishka (Guido) risente della piattezza generale e ha il solo pregio di cantare con (altrettanto piatta) correttezza. Alquanto anonimi Natalya Chudy (Ida) e Mark Munkittrick (Rolando). Eve Queler cerca di tenere insieme il tutto senza particolare slancio, anche se la sinfonia è diretta con brillantezza. La partitura è qui proposta con non pochi tagli. Dopo una rappresentazione nel 1987 (con Adriana Maliponte) al Festival Donizetti di Bergamo, si dovrà aspettare il 2011, sempre a Bergamo, per vedere e soprattutto sentire una Gemma di Vergy veramente degna del suo autore. Gemma di Vergy New York 1976
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano, da The bride of Lammermoor di Walter Scott. Frank Guarrera (Lord Enrico Ashton), Lily Pons (Miss Lucia), Richard Tucker (Sir Edgardo di Ravenswood), Thomas Hayward (Lord Arturo Bucklaw), Norman Scott (Raimondo Bidebent), Thelma Votipka (Alisa), James McCracken (Normanno). Orchestra e Coro Metropolitan Opera Associaton. Fausto Cleva (direttore), Kurt Adler (Maestro del Coro). Registrazione: New York, Metropolitan Opera, 20 e 26 gennaio /1 febbraio 1954. 2 CD Sony Classical 88985470392.
L’anno 1954 in qualche modo vede inonsapevolemnte contrapporsi il Nuovo Mondo al Continente europeo e, in questo caso, il “nuovo” arrivava dall’Europa. Il titolo è appunto la “Lucia” donizettiana incisa in quell’anno al Met di New York, dalla star della coloratura americana, Lily Pons e a Firenze, con il complesso del Maggio Musicale Fiorentino da Maria Callas. Sono considerazioni che possiamo fare adesso: sicuramente, nel 1954, la portata storica della Lucia callasiana non era così evidente, mentre era ben più solida la tradizione che vedeva affidare ai soprani di coloratura il ruolo della protogonista. Lily Pons (1898-1976) rappresentava pienamente questa categoria, colta qui nella fase terminale della sua lunga e brillante carriera (si sarebbe ritirata nel 1956). Il soprano franco-americano appare qui molto più prudente nell’uso del suo celebre virtuosismo (ha sempre cantato la scena della pazzia un tono sopra rispetto all’originale donizettiano, che anche in questa incisione appare quasi come una scena isolata, di puro esercizio di stile, tale da escludere anche la presenza del coro) e di conseguenza non si può nemmeno apprezzarla nell’ottica di una funambolica vocalità. Nel complesso, la Lucia della Pons appare drammaticamente flebile, ripiegata su una piuttosto generica malinconia. Il migliore in campo è sicuramente Richard Tucker: un Edgardo dalla voce e dalla tecnica solide. Gli fanno semmai difetto qualche singulto di troppo e una certa mancanza di eleganza. Questo però è un aspetto che fa parte di un gusto che, soprattutto, toccava in particolare le voci maschili, tendenzialmente ancora ancorate a uno stile “verista”. Su questa linea si muove anche il gusto del baritono Frank Guarrera, che in ogni caso è un discreto Enrico. Nel resto del cast si apprezzano il basso Norman Scott (Raimondo) e il giovane James McCracken (Normanno) destinato ad essere una delle star (in particolare come interprete di Otello) del Met. Assai trascurata, per tutti, la cura della pronuncia della lingua italiana. Fausto Cleva dirige con solido mestiere una partitura qui proposta ancora con tutti i tagli di tradizione.