Madrid, Teatros del Canal, Temporada 2017-2018
“ALL WAYS”
Ki Ida, Compañía Sharon Fridman
Libretto Antonio Ramíres-Stabivo
Musica Danski-Idan Shimoni
Regia Sharon Fridman
Corpo di ballo Melania Olcina, Diego Arconada, Tania Garrido, Freddy Houndekindo, Richard Mascherin, Lucia Montes, Juan Carlos Toledo
Voce Fátima Cué
Costumi MIZO by Inbal Ben Zaken
Luci Olga García, Sergio García
Disegno grafico Oficina 4play
Movimenti scenici David Cubells
Madrid, 26 de febbraio 2018
Il Teatro del Canal di Madrid apre il 2018 con una programmazione didattica, densa di interazione e di movimento. Il calendario del balletto ha offerto lo spettacolo Somos danza (una sorta di racconto storico sull’evoluzione della danza), la mostra La danza. Poetas del cuerpo de la Edad de Plata, e infine la pièce della compagnia di Sharon Fridman. Complessivamente il programma è pensato per tutti, piccoli e grandi, con lo scopo di promuovere il divertimento e la sperimentazione della danza. Proprio in questa magnifica onda di sperimentazione si colloca la Sharon Fridman Company, molto seguita e apprezzata in Spagna: il suo direttore artistico e principale coreografo è di origini israeliane e si è laureato nel Conservatorio Ein Shemer. Dopo aver iniziato il proprio percorso professionale nella prestigiosa compagnia Ido Tadmor Dance Company, collaborando inoltre in diversi progetti, la sua curiosità artistica lo portò lontano dalla sua terra e precisamente in Spagna, dove già nel 2000 creò la sua prima opera autonoma, e dove anno dopo anno propose titoli come Covered red, Anna (2001), Play Boy (2005). Sempre in Spagna ha lavorato con il complesso Mayumana (creatori di grandi successi teatrali anche in ambito internazionale) ed è stato docente del Conservatorio Superior de Danza “Maria de Ávila”. L’ultimo dei riconoscimenti che ha ricevuto è stato il Premio Max per la coreografia e la regia di Free fall, nella categoria “miglior spettacolo di danza”. Anche il 2018 si apre con una conferma del successo per la compagnia nella capitale spagnola, dove si rappresenta All Ways: un’esplorazione dell’utopia e dell’armonia permanente, in cui gli interpreti passano per cinque stati d’animo (mancanza o perdita, ricerca, dormiveglia, innamoramento e costruzione). Dall’inizio alla fine il filo conduttore dello spettacolo risulta molto chiaro e coerente: una donna con un lungo abito di pizzo verde scuro è impegnata con la respirazione e la ricerca del suo posto nel mondo; scopre di non essere sola, bensì accompagnata da ombre che a volte si incrociano sul suo percorso e altre volte la trascinano via con loro. Mentre la donna cerca una direzione in cui muoversi o un posto in cui stabilizzarsi si sente cantare dal vivo una voce straziante, capace di emettere note lunghissime e acute, producendo una sensazione di profondo dolore. Quasi tutta la coreografia si sviluppa in forma di cerchio, probabilmente perché l’intenzione del coreografo è che gli spettatori entrino in una inerzia, una riflessione senza fine, che è poi la dimensione dell’esistenza della donna stessa. La centralità della persona e della sua riflessione è accentuata dalla nudità totale dei ballerini, che con una semplicità studiata si incrociano, si uniscono, si accorpano, sempre dirigendosi verso un obbiettivo umano di contatto intimo. In questo punto dello spettacolo le luci si muovono dipingendo linee orizzontali e accarezzando i corpi dalla testa ai piedi; ma sicuramente il quadro più bello è l’ultimo, con la fase della costruzione, in cui i corpi non si staccano mai gli uni dagli altri, formando un interminabile abbraccio. È il momento in cui trionfano la plasticità del corpo nudo, la fluidità dei suoi movimenti e la bellezza della sua vitalità, quale massima espressione d’armonia. Il concetto coreografico che sorregge questa scena può essere inteso come omaggio a Steve Paxton, creatore nel 1972 del “Contact Improvisation” (il suo ideatore diceva: “è molto simile allo sport, ma senza competizione; è molto simile alle arti marziali, ma senza lotta; è democratico, quindi immagino che sia una forma di politica”). I costumi disegnati da Inba Ben Zaken per la prima parte ricordano quelli di una setta religiosa orientale, tutti su diverse tonalità di verde, con collo alto molto castigato e strascico che allunga le ombre; negli ultimi quadri lo stile cambia e si basa sul pizzo nero per tutta la compagnia, tranne una ballerina che è invece fasciata di bianco. Il pubblico di Madrid è estasiato e impressionato da tanta bellezza, dal virtuosismo e dai contrasti visivi che lo spettacolo accumula; sono soltanto in sette a danzare sul palco, più la cantante, ma è come se lo spettatore si trovasse di fronte a un esercito agguerrito e instancabile. Foto Teatros del Canal