Venezia, Palazzetto Bru Zane
“I FIORI MALANDRINI”
Canzoni licenziose da caffè-concerto
Soprano Norma Nahoun
Mezzosoprano Marie Gautrot
Voce fuori campo Julien Gobin
“I Giardini”
Violoncello Pauline Buet
Pianoforte David Violi
Regia Victoria Duhamel
Venezia, 30 novembre 2017
Il pubblico che gremiva la deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane ha potuto sfogliare con divertita complicità – insieme agli esecutori, alla regista e alla voce fuori campo – un intrigante “erbario” di canzoni licenziose, attinte al repertorio francese otto-novecentesco, il cui titolo in italiano, I fiori malandrini, non rende appieno il significato di quello in francese, Les Fleurs du mâle, che per l’identità dei suoni rimanda a quello della celeberrima raccolta di Baudelaire (Les Fleurs du Mal). Nella serata si sono alternate romanze tipiche dell’operetta licenziosa, con i loro doppi sensi, e ben più esplicite canzoni da Café-concert, che talora sfioravano la pornografia, oltre a mélodies da salotto delicatamente allusive. Sul piccolo palcoscenico sono apparse varie personificazioni di queste Fleurs du mâle, in una rassegna che attraversava diversi periodi e generi, conquistando la platea, grazie alla bravura, alla verve, alla musicalità, al gesto scenico – sempre garbato – degli interpreti, che hanno saputo mettere in pratica con naturalezza le essenziali, ma efficaci indicazioni di regia. In Cueillette di Charles Lecocq (1900) e in Colibri di Ernest Chausson (1882) si è colto l’ideale ottocentesco della casta fanciulla ingenua, che l’uomo deve fare attenzione a non spaventare, dando prova di riserbo e delicatezza: in queste mélodies da salotto sarebbe indecoroso superare i limiti di un vago erotismo. Una musica in ritmo di valzer, delicata quanto il testo che l’accompagna si è apprezzata in Poème d’amour di Jules Massenet (1879). Il valzer, ballo romantico per eccellenza, inizialmente sospetto proprio a causa della sua sensualità, è risuonato, inseguito, più disinvolto, corrispondendo al registro decisamente più popolare caratterizzante Auguste-lamentation conjugale di Louis-Antoine Dubost (1870 ca.) e Viens dans mon aéroplane di Harry Fragson (1909). Altri ritmi – di stampo jazzistico, ad interpretare la liberazione dei corpi – hanno scandito “J’suis venue nue” di Roland e Pierre Petit (1953) e La Violoncelliste di Claude Normand (1957). In altre canzoni, l’umorismo e la sensualità nascevano dall’associazione tra una situazione un po’ spinta e una musica raffinata come nel caso di PLM di Henri Christiné (1925), che vede Paule e Pierre nudi sotto i loro cappotti, mentre in Folâtrerie di Fernand Heintz (1931), tra l’altro interpretata anche vocalmente dai due strumentisti del duo I giardini, la tensione erotica si generava dai versi stessi, di cui l’ascoltatore era tenuto a prevedere le rime (ovviamente quelle sottintese, tutt’altro che caste). La rassegna presentata al Palazzetto Bru Zane ha permesso anche di cogliere anche altri aspetti dell’evoluzione della donna: ancora vittima di una misoginia sadica da parte del maschio aggressivo in “J’ai fait des bleus sur ta peau blanche” di Léo Daniderff (1901), in cui le grazie della botanica vengono brutalmente calpestate; ormai decisa – almeno se ci riferiamo ad una ristretta minoranza – ad affermarsi sull’altro sesso, a partire dalla metà del XIX secolo, quando comincia ad esprimere la propria frustrazione, come è risultato anche in pezzi già citati: per sfuggire allo squallore della sua vita coniugale, vagheggia di mettere le corna al suo “distratto” consorte (Auguste-lamentation conjugale) o rimugina le sue fantasie senza avere contatti con l’esterno (La Violoncelliste) o, ancora, dimostra di aver imparato a difendersi, assestando uno schiaffo in faccia all’importuno (Couplets de la Duchesse, da Nuit aux soufflets di Hervé, 1884). Col passare degli anni la donna si fa più audace del suo partner: è lei ad avere l’ultima parola davanti all’aviatore, che pure incarna l’eroe moderno (Viens dans mon aéroplane) o diventa autrice, come Jane Vieu, di cui si è ascoltata Après l’amour dalla parodistica Salomette, operetta rappresentata per la prima volta nel 1911 a Bruxelles (quattro anni dopo la prima della Salome di Strauss). La Grande Guerra accelera i tempi dell’emancipazione della donna, che ora rivendica la felicità del piacere condiviso (Duo des souvenirs di Henri Christiné (1918) o, eccitata dai vizi del suo amante (Couplets de Lady Eversharp di Reynaldo Hahn, 1931), si abbandona a fantasmi sadomasochistici o, ancora, rivela il proprio desiderio addirittura in termini scandalosi (Les Nuits d’une demoiselle di Raymond Legrand, 1963). Caloroso successo da parte del pubblico visibilmente divertito.