Madrid, Teatro Real, Temporada 2017-2018
“LA FAVORITE”
Opera in quattro atti su libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz, Eugène Scribe
Musica Gaetano Donizetti
Alphonse XI SIMONE PIAZZOLA
Léonor de Guzman JAMIE BARTON
Fernand JAVIER CAMARENA
Balthasar SIMÓN ORFILA
Don Gaspar ANTONIO LOZANO
Inès MARINA MONZÓ
Un Señor ALEJANDRO DEL CERRO
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Andrés Máspero
Supervisione della dizione francese Laïla Barnat
Esecuzione in forma di concerto
Edizione critica a cura di R. Harris-Warrick, con la collaborazione e il contributo della Città di Bergamo e della Fondazione Donizetti; edizioni Casa Ricordi S.r.l., Milano
Madrid, 6 novembre 2017
Come spesso avviene, la storia di teatri importanti ha un’origine accidentata. Esattamente due secoli fa, nel 1817, fu ordinata la demolizione del vecchio Teatro de los Caños del Peral, nel cuore di Madrid. Re Fernando VII volle sostituirlo con uno interamente nuovo, la cui posa della prima pietra avvenne il 23 aprile 1818; l’inaugurazione, però, si ritardò di alcuni decenni, e il pubblico dovette attendere fino al 19 novembre 1850 per assistere alla prima opera all’interno del nuovo teatro, ormai sotto il regno di Isabel II. Fu scelta La Favorite, un titolo risalente al 1840 che nel corso di un decennio aveva raggiunto uno straordinario livello di popolarità in tutta Europa. La compagnia vocale dell’epoca fu all’altezza dell’occasione: Marietta Alboni e Italo Gardoni costituirono il duo protagonista, artefice di un clamoroso successo. Fino al 1925, anno in cui anche il nuovo edifico venne chiuso, si avvicendarono al Real 276 recite di Favorite, soprattutto nella più ordinaria versione italiana (nel 1877, per esempio, vi debuttarono Elena Sanz e Julián Gayarre). Il Teatro Real vive la sua ultima, attuale fase soltanto dal 1997, quando fu riaperto dopo importanti ristrutturazioni, e fino a oggi si contano altre dodici rappresentazioni di Favorite nella stagione 2002-2003. Una fortuna locale notevole, forse motivata proprio dalla scelta iniziale del 1850. Ora, tra 2017 e 2018, ricorre un duplice anniversario: il bicentenario del progetto del Real e il ventennale della riapertura del restaurato teatro; nell’ambito di una stagione ricchissima e stimolante, che accosta classici popolari come Carmen, Bohème, Aida a raffinatezze come Die Soldaten, Ariodante, Gloriana, la direzione artistica ha inteso riproporre il titolo capostipite della sua cronologia, sebbene non sia direttamente riferibile alle annate commemorate. Ma appunto l’approccio dinamico all’intento celebrativo fa sì che la celebrazione stessa sia lontana da forzature, e che l’unico obbiettivo possa essere la qualità musicale. Nel caso di questa Favorite, poi, il Teatro ha optato per una scelta che valorizzasse il canto, con un’esecuzione in forma di concerto e una compagnia vocale di alto profilo, certamente degna dei lontani iniziatori della locale tradizione. L’esito è infatti ottimo, paragonabile alle migliori realizzazioni del circuito internazionale.
Da un direttore come Daniel Oren si attendono prima di tutto solidità dell’impianto sonoro e ritmi spigliati; oltre a questo, il musicista dà prova di una conoscenza minuziosa della partitura, che dipana con una coesione drammatica ininterrotta. Sin dalla difficile sinfonia, ricca di tentazioni fugate e rapidi scorci prospettici, come spesso accade in Donizetti, Oren opta per una marcata accentuazione delle frasi; ma il capolavoro dell’orchestra sono i ballabili del II atto. Soltanto un direttore molto intelligente presenta il balletto dell’opera romantica non come un orpello decorativo, o peggio come un obbligo filologico che si sarebbe tentati di espungere, bensì come un’autentica risorsa drammatica: anche senza scene e coreografia, gli svelti numeri donizettiani si squadernano grazie a una concertazione accuratissima nelle dinamiche, continuamente alla ricerca di sfumature e colori. L’uso scaltrito del ritenendo e delle pause, insieme alla variazione dei ritmi, determina uno sviluppo del dramma sonoro, nella sua accezione più cinetica; i ballabili, del resto, sono indispensabili – in Favorite come in molte opere del repertorio francese della prima metà dell’Ottocento – per la comprensione della struttura musicale e agogica del concertato finale II, tutto giocato su di un ritmo martellante, espressivo dello sdegno e della rivendicazione morale (non è un’anomalia se la nobile ingenuità del personaggio di Fernand sia assente proprio in questo concertato). Per di più, nella smagliante direzione di Oren sarebbe difficile stabilire quale dei due concertati finali, quello del II o quello del III atto, sia più sontuoso e squillante. Il pubblico madrileno reagisce sempre con entusiasmo, anche perché affascinato dalla variegata ambientazione spagnola: dal monastero di Santiago de Compostela ai giardini dell’Alcazar di Siviglia, evocati nella scena di sortita di Alfonso XI, è il paesaggio storico-politico spagnolo di età medioevale a imporsi quale contesto letterario, che Donizetti provvede a rivestire musicalmente; poco sottrae a questa suggestione la mancanza di scene e costumi.
Jamie Barton, mezzosoprano statunitense, è la protagonista dell’opera e presenta una Léonor vocalmente ottima; dal repertorio assai vasto, vincitrice del Premio Richard Tucker nel 2015, questa cantante sfoggia una voce bene equilibrata tra volume e morbidezza, tra potenzialità e stile; il timbro è omogeneo e compatto, la tessitura solida a ogni altezza di tono (da acuti sopranili eseguiti senza alcuno sforzo a note basse dall’emissione controllata e dolce). Oltre a rendere indimenticabili i duetti con tenore e baritono, il mezzosoprano dà il meglio di sé nella preghiera del III atto, seguita da una concitata cabaletta, che ottiene l’ovazione più prolungata dell’intera esecuzione. Javier Camarena nelle vesti di Fernand è perfettamente a proprio agio, come era prevedibile; ma rispetto alle sue ultime prove ora si dimostra stilisticamente cresciuto: non tradisce alcun debito di imitazione rispetto a modelli del passato o del presente, riuscendo così più genuino, più naturale. Soprattutto colpiscono la capacità di alleggerire la voce, in particolare nel duetto del I atto, e di inserire sopracuti al termine di ogni numero, solistico o d’insieme (ma sopracuti di buon gusto, eleganti oltre che tecnicamente impeccabili). È una gioia ascoltare le variazioni modulate alla ripresa di «Al autel que saint Jacques protège» del I atto, giusta l’edizione critica di Harris-Warrick; e costituiscono un puro piacere uditivo le messe di voce e le cadenze; a voler eccedere in pignoleria si potrebbe notare che l’emissione in pianissimo delle note basse non è sempre perfettamente controllata, lasciando appena percepibile una momentanea incrinatura nella linea; ma è dettaglio che non inficia la totale credibilità della disposizione lirica di questa voce tenorile. Simone Piazzola, nel ruolo di Alphonse, è un baritono che sul piano stilistico cerca di contemperare l’aggressività con un contegno regale, in piena corrispondenza con l’ambiguo personaggio delineato dal libretto. L’emissione è buona, ma come bloccata all’altezza del naso a mano a mano che la tessitura si innalza; questo provoca dei dislivelli improvvisi nella linea di canto, a volte anche qualche piccolo scompenso nell’intonazione. Simón Orfila, seppure infortunato al piede destro, è in ottima forma vocale, e sin dalla prima battuta attira l’attenzione sulla sua poderosa voce di basso. Molto buona anche la prova di Marina Monzó, dalla vocalità fresca e dal timbro trasparente, nella parte di Ines; corretto, ma un poco tremulo nell’emissione, il secondo tenore Antonio Lozano come Don Gaspar. Grazie alla competenza del Coro del Teatro Real preparato da Andrés Máspero l’opera si presenta completa anche nei momenti più solenni o drammatici; insomma, nello spirito con cui è stata offerta al pubblico, La Favorite è una grande e riuscita “festa vocale”, che introduce nel migliore dei modi alla stagione del bicentenario del teatro madrileno. Foto Javier del Real © Teatro Real