Giacomo Puccini:”In quelle trine morbide”, “Sola, perduta e abbandonata” (Manon Lescaut), “Signore ascolta”, “Tanto amor segreto…Tu che di gel sei cinta” (Turandot), “Un bel dì vedremo, “Che tua madre dovrà” (Madama Butterfly), “Senza mamma” (Suor Angelica), “Nel villaggio d’Edgar” (Edgar), “Vissi d’arte” (Tosca); Francesco Cilea: “Del sultano Amuratte m’arrendo all’ imper…Io son l’umile ancella”, “Poveri fiori” (Adriana Lecouvreur); Pietro Mascagni: “Son pochi fiori” (L’amico Fritz), “Flammen perdonami” (Lodoletta); Alfredo Catalani: “Ebben ne andrò lontana” (La Wally); Umberto Giordano: “La mamma morta” (Andrea Chénier); Krassimira Stoyanova (soprano), Orchestra della Radio di Monaco, Pavel Baleff (direttore). 1 Cd Orfeo – C899171A
Un crescente interesse verso la giovane scuola italiana si nota nelle proposte delle maggiori case discografiche e dei cantanti di punta della scena internazionale. Dopo l’album di Anna Netrebko è Krassymira Stoyanova a fornire il proprio contributo al tema. Il titolo “Verismo” trae in realtà in inganno ma ormai è prassi a livello commerciale identificare come veristica la produzione scapigliata e della giovane scuola italiana anche quando essa con il verismo a poco da spartire come capita con gran parte dei brani qui presenti.
Un crescente interesse verso la giovane scuola italiana si nota nelle proposte delle maggiori case discografiche e dei cantanti di punta della scena internazionale. Dopo l’album di Anna Netrebko è Krassymira Stoyanova a fornire il proprio contributo al tema. Il titolo “Verismo” trae in realtà in inganno ma ormai è prassi a livello commerciale identificare come veristica la produzione scapigliata e della giovane scuola italiana anche quando essa con il verismo a poco da spartire come capita con gran parte dei brani qui presenti.
Superate le riflessioni terminologiche, gli ascolti proposti non mancano di interesse nonostante la direzione di Pavel Baleff, che pur dispone di complessi decisamente validi come quelli della Münchner Rundfunkorchester, non si levi al di sopra di una generica routine.
Il materiale della Stoyanova è interessante come base pur senza essere strepitoso: la voce è piacevole ma non così personale da colpire subito l’ascoltatore e non sempre così agile e flessibile come si vorrebbe ma a compensare questi limiti di base subentrano una tecnica invidiabile – la Stoyanova è anche se non prima di tutto una grande belcantista nonostante in Italia sia poco conosciuta al riguardo – la dizione esemplare, l’intensità interpretativa, la capacità di calarsi nel personaggio.
Pur con singole arie la Stoyanova riesce a cogliere pienamente l’essenza dei personaggi. Particolarmente congeniali le risultano Adriana Lecouvreur e Maddalena di Cogny. Il timbro caldo e corposo della cantante bulgara si adatta meglio a ruoli più complessi come questi che al lirismo adolescenziale di Fidelia o di Liù – interessante però la prima aria di quest’ultima già carica dei luttuosi presagi cui la giovane schiava andrà incontro. L’interprete coglie nella prima aria di Adriana il senso quasi sacrale della missione artistica così come l’intimo e raccolto dolore dei “Poveri fiori” – vocalmente da rimarcare la pienezza di suono nei filati della prima aria – mentre in Maddalena emerge l’abbondono al tragico destino. Tratti simili si possono riconoscere nella sua Tosca – qui si ascolta uno dei migliori “Vissi d’arte” registrati negli ultimi anni – e nella sua Wally alla quale manca solo quello splendore timbrico che l’aria sembra naturalmente evocare.
Colpisce la sua Butterfly – presenti sia “Un bel dì vedremo” sia “Sai cos’ebbe cura di pensare” – per un rigore asciutto ed essenziale che forse non piacerà agli amanti di una lettura pucciniana più facilmente sentimentale ma che a parere dello scrivente giunge all’essenza profonda del personaggio proprio in virtù di questa pulizia espressiva. Interessantissima anche la sua Manon Lescaut, più interlocutoria in “In quelle trine morbide” molto ben cantata ma un po’ matura come timbro; l’artista appare esaltante in “Sola, perduta, abbandonata” dove le qualità vocali della Stoyanova possono rifulgere – la voce è di una solidità ammirevole e gli acuti hanno robustezza e smalto invero ragguardevoli – e dove emerge il temperamento drammatico della cantante in una lettura intensa e tesissima ma molto musicale, capace di evidenziare il potenziale della musica e nella musica senza mai uscire da essa.
Da segnalare infine l’ascolto della grande scena di Lodoletta dall’opera omonima di Mascagni. Se l’ascolto di “Flammen perdonami” è abbastanza frequente, decisamente più insolito è ascoltare la scena nella sua interezza con il lungo e drammatico declamato introduttivo – reso con grande intensità dalla Stoyanova – che rende di gran lunga più coinvolgente anche l’aria che da sola vira pericolosamente verso la zuccherosità.Il risultato è un prodotto decisamente interessante, non inferiore – anzi per molto versi più compiuto – di quello della Netrebko di analogo soggetto e meritevole di attento ascolto.
Giacomo Puccini: “Canto d’anime”, Pagina d’album; “Sole e amore”; “E l’uccellino, Ninna – Nanna”; “La Primavera”; “Ave Maria Leopolda”; “Ad una morta!”; “Morire”; “Salve Regina”; “A te”; “Casa mia, casa mia”; “Sogno d’or”; “Terra e mare”; “Inno a Roma”; “Beata viscera”; “Avanti, Urania!”; “Storiella d’amore”; “Inno a Diana”; “Mentìa l’avviso”; “Vexilla Regis prodeunt”. Krassimira Stoyanova (soprano), Maria Prinz (pianoforte); Registrazione: Monaco, gennaio 2016. T.Time: 46′ 39″ 1 Cd Naxos 8.573501
Giacomo Puccini: “Canto d’anime”, Pagina d’album; “Sole e amore”; “E l’uccellino, Ninna – Nanna”; “La Primavera”; “Ave Maria Leopolda”; “Ad una morta!”; “Morire”; “Salve Regina”; “A te”; “Casa mia, casa mia”; “Sogno d’or”; “Terra e mare”; “Inno a Roma”; “Beata viscera”; “Avanti, Urania!”; “Storiella d’amore”; “Inno a Diana”; “Mentìa l’avviso”; “Vexilla Regis prodeunt”. Krassimira Stoyanova (soprano), Maria Prinz (pianoforte); Registrazione: Monaco, gennaio 2016. T.Time: 46′ 39″ 1 Cd Naxos 8.573501
Quasi a corollario della precedente registrazione arriva questo secondo CD dedicato da Krassymira Stoyanova alla musica della Giovane Scuola. Questa volta il protagonista assoluto è Puccini con l’attenzione centrata sul repertorio da camera per fornirci un quadro completo delle romanze per canto e pianoforte del compositore lucchese sicuramente meno note dei titoli operistici. Ottimamente accompagnata al pianoforte da Maria Prinz, la cantante bulgara conferma tutte le buone impressioni tecniche e interpretative riconosciute nella registrazione precedente nonostante i brani non presentino certo difficoltà vocali di particolare rilievo che, quando presenti, sono risolte con assoluta maestria come la bellissima mezza-voce di “Sogni d’oro” o la sicurezza mostrata sugli acuti. Rispetto ai brani operistici la scrittura pianistica mette più allo scoperto la vocalità della Stoyanova evidenziando un vibrato di marca slava che comunque non infastidisce all’ascolto.
Pochi sono i brani stilisticamente affini al repertorio operistico del compositore: il caso più emblematico è “Sole e amore” dove è palese la rielaborazione di temi melodici di “La bohéme” ma si riconoscono echi de “La rondine” in “Sogni d’oro” e di “Manon Lescaut” in “Mentia l’avviso”.
La qualità dei testi letterari è di solito modesta, dal momento che mancano totalmente i grandi poeti della tradizione italiana contemporanea e passata – tratto che caratterizza e limita molta musica vocale da camera italiana incapace di stabilire quel rapporto simbiotico con la più alta ispirazione poetica che è così essenziale nel Lied tedesco ma cui giungono seppur in modo meno sistematico nelle analoghe esperienze francesi e russe. Qui si alternano testi popolari e folklorici – e bisogna riconoscere la delicatezza di tatto con cui Puccini gioca con i modi della stornellata toscana sui versi di una filastrocca contadina come “Casa mia, casa mia” con un gusto che si ritrova in parte anche in “L’uccellino” –, mediocri esempi di poesia contemporanea e qualche recupero di brani della precedente generazione dei librettisti.
Proprio questi ultimi – su testi di Antonio Ghislanzoni e Felice Romani – permettono a Puccini di recuperare stilemi espressivi della generazione precedente integrando suggestioni verdiane alla propria scrittura. Merita una nota “Storiella d’amore” sempre su testo di Ghislanzoni in cui la delicata storia d’amore decritta dai versi – in cui forse si può intuire un ricordo di Paolo e Francesca – è trattata da Puccini con una sincerità di toni e un’essenzialità di linea melodica che non possono non coinvolgere e che giungono all’ascoltatore moderno in modo molto più profondo dell’esibita retorica di altri brani.
I testi più recenti sono in gran parte di autori oggi dimenticati o quasi – Panzacchi, Marsilli, Salvatori, Fucini, Abeniacar – oltre a uno stretto collaboratore del maestro come Giuseppe Adami e alcuni brani scritti dallo stesso Puccini. Lo stile alterna brani dal taglio decisamente teatrale e operistico “Morire?” su testo di Adami ad altri più vicini al tipico gusto della romanza da salotto del tempo con qualche suggestione tostiana in “A te”. In alcuni brani è ricercata una retorica più alta e nobile come negli inni che però non riesce a coinvolgere in pieno, lasciando un senso di artificiosità alle composizioni nonostante l’innegabile qualità; è il caso dell’”Inno a Diana” – forse il più riuscito nella sua vena melodica – o del più celebre ma formale “Inno a Roma” di cui viene proposta un’insolita versione mutilata. Completano il programma una serie di duetti sacri in latino originariamente pensati per canto e organo e qui eseguiti nella trascrizione per pianoforte di M. Kaye e dove – miracoli della tecnologia – la Stoyanova duetta con se stessa cantando anche la parte mezzosopranile. Prodotto privo dell’interesse complessivo del precedente ma comunque di piacevole ascolto.
Pyotr Il’yich Tchaikovsky: “Puskáy pogíbnu ya, no pryezhde” (Eugene Onegin), “Otchevó éto prézhde ne znála” (Iolanta), “Spi, mladénets moy prekrásny” (Mazeppa), “Uzh pólnoch blízitsya” (Pique Dame) ; Parashkev Hadjev: “Velíki bózhe, chuy móyata molbá!” (Maria Delislava); Alexander Borodin: “Ne málo vrémeni proshló s tekh por” (Knyaz Igor); Antonín Dvořák: “Mesícku na nebi hlubokém”, “Necitelná vodní moci”(Rusalka), “Mne zdálo se, že smrt bledá”, “On odešel! Již obet’ dokonána” (Dmitrij); Nikolay Rimsky-Korsakov: “S podrúzhkami po yágodu khodít'” (La fanciulla di neve), “Iván Sergéyevich, khóchesh” (Tsarskaya nevesta); Vesselin Stoyanov: “ Zvezdíte tázi noshch blestyát” (Khitar Petar); Bedřich Smetana: “Och, jaký žal! Jaký to žal!” (Prodaná nevesta). Krassimira Stoyanova (Soprano), Orchestra della Radio di Monaco, Pavel Beleff (direttore) T.Time: 79.11 1 1 Cd Orfeo C830111A
Pyotr Il’yich Tchaikovsky: “Puskáy pogíbnu ya, no pryezhde” (Eugene Onegin), “Otchevó éto prézhde ne znála” (Iolanta), “Spi, mladénets moy prekrásny” (Mazeppa), “Uzh pólnoch blízitsya” (Pique Dame) ; Parashkev Hadjev: “Velíki bózhe, chuy móyata molbá!” (Maria Delislava); Alexander Borodin: “Ne málo vrémeni proshló s tekh por” (Knyaz Igor); Antonín Dvořák: “Mesícku na nebi hlubokém”, “Necitelná vodní moci”(Rusalka), “Mne zdálo se, že smrt bledá”, “On odešel! Již obet’ dokonána” (Dmitrij); Nikolay Rimsky-Korsakov: “S podrúzhkami po yágodu khodít'” (La fanciulla di neve), “Iván Sergéyevich, khóchesh” (Tsarskaya nevesta); Vesselin Stoyanov: “ Zvezdíte tázi noshch blestyát” (Khitar Petar); Bedřich Smetana: “Och, jaký žal! Jaký to žal!” (Prodaná nevesta). Krassimira Stoyanova (Soprano), Orchestra della Radio di Monaco, Pavel Beleff (direttore) T.Time: 79.11 1 1 Cd Orfeo C830111A
Sempre per l’etichetta tedesca Orfeo quest’altro recital che vede come protagonista sempre Krassimira Stoyanova dedicato questa volta al repertorio slavo del XIX e del XX secolo. Programma particolarmente interessante per la capacità di alternare ottime esecuzioni di brani molto noti ad autentiche scoperte. Ad accompagnare la cantante una compagine di prim’ordine come la München Rundfunkorchester ottimamente diretta da Pavel Baleff decisamente più a suo agio che nel recital sul verismo di cui si è parlato innanzi.
Posta in apertura, la scena della lettera di Tat’jana da “Evgenij Onegin” riassume il taglio esecutivo della Stoyanova. Certo la voce della cantante bulgara ha una maturità timbrica, una femminilità intensa e profonda che in parte stona con la natura adolescenziale dell’eroina puskhiniana però la musicalità è impeccabile, la qualità del canto non concede il minimo passo falso e le qualità interpretative di altissima statura. Non c’è accento o inflessione che la Stoyanova trascuri rendendo con una pienezza e una precisione rare tutte le contrastanti emozioni dell’animo della fanciulla.
Se il timbro è forse maturo per Tat’jana, è invece perfetto per Jaroslavna, sposa e regina, struggente Penelope dell’epopea russa che la Stoyanova rende in tutta la sua nobile umanità. Eccezion fatta per quest’aria di Borodin e due di Rimskij-Korsakov di cui si parlerà in seguito, è Čajkovskij a dominare la parte russa del programma con tutte le maggiori eroine del suo repertorio di cui la Stoyanova riesce a rendere con chiarezza i tratti distintivi. Di Liža si sceglie il tragico monologo che precede il suicidio nella Neva; la Stoyanova regge benissimo le impegnative discese nel settore medio grave e sfrutta la pienezza del timbro per esaltare la drammaticità della situazione mentre i riverberi argentini del settore acuto fanno ancora intuire il carattere luminoso di Liža troppo presto travolto dagli eventi. In Iolanta gioca con i colori delle voci ottenendo una timbrica più chiara e tersa, perfetta per il personaggio mentre la spettrale ninna nanna di Marj’a (da “Mazeppa”) ha tutto quel sapore di incubo ipnotico che la rende una delle pagine più sconvolgenti di tutta la letteratura musicale russa del XIX secolo.
Il programma russo è completato come accennato da due brani di Rimskij-Korsakov. Merita attenzione l’aria di Sneguročka di taglio decisamente virtuosistico in cui la Stoyanova fa valere le sue doti di grande belcantista sciorinando con assoluta naturalezza i rapidi passaggi di coloratura che sono il segno caratterizzante del brano mentre il luminoso lirismo della Marf’a di “Tsarskaija nevesta” è chiamato a chiudere il programma.
Il titolo “Slavic Opera Arias” indica già un’apertura anche ad altre aree slave oltre alla Russia. Il repertorio ceco è rappresentato da quattro arie tratte da due opere di Antonín Dvořák: la celeberrima “Rusalka” e il meno noto ma non meno valido “Dimitrij”. Della prima più che la “Canzone alla luna” ottimamente cantata ma meno “argentea” di altre esecuzioni, colpisce il grande monologo del III atto, vera chiave di volta drammaturgica dell’opera di cui la Stoyanova rende con bruciante intensità il carattere così umanamente drammatico. Molte belle anche le due arie di “Dimitrij”, più concitata e drammatica la prima, più distesamente lirica la seconda entrambe affrontate con splendida musicalità e assoluto controllo del legato.
Se ben nota è la qualità della scuola vocale bulgara, poco conosciuti sono i compositori di quel paese. Questo recital presenta due interessanti scoperte in tal senso. “Hitar Petar” è un’opera su una figura tradizionale del folklore sud-balcanico composta nel 1958 da Veselin Stoyanov; il brano proposto si caratterizza per una facile invenzione melodica che ricorda certe suggestioni della Giovane Scuola italiana e per l’alta tessitura retta benissimo dalla Stoyanova che sfoggia anche un magistrale controllo sul fiato che gli permette splendide filature e prese di voce. L’altra è l’aria dell’eroina eponima dell’opera “Maria Desislava” composta nel 1978 da Parashkev Hadjiev, esempio quanto mai interessante del linguaggio del socialismo reale musicale nella sua fase matura capace di creare una scrittura di grande qualità melodica, rigorosamente tonale e richiamante i grandi classici dell’operismo russo del XIX secolo, di piacevolissimo ascolto.
Posta in apertura, la scena della lettera di Tat’jana da “Evgenij Onegin” riassume il taglio esecutivo della Stoyanova. Certo la voce della cantante bulgara ha una maturità timbrica, una femminilità intensa e profonda che in parte stona con la natura adolescenziale dell’eroina puskhiniana però la musicalità è impeccabile, la qualità del canto non concede il minimo passo falso e le qualità interpretative di altissima statura. Non c’è accento o inflessione che la Stoyanova trascuri rendendo con una pienezza e una precisione rare tutte le contrastanti emozioni dell’animo della fanciulla.
Se il timbro è forse maturo per Tat’jana, è invece perfetto per Jaroslavna, sposa e regina, struggente Penelope dell’epopea russa che la Stoyanova rende in tutta la sua nobile umanità. Eccezion fatta per quest’aria di Borodin e due di Rimskij-Korsakov di cui si parlerà in seguito, è Čajkovskij a dominare la parte russa del programma con tutte le maggiori eroine del suo repertorio di cui la Stoyanova riesce a rendere con chiarezza i tratti distintivi. Di Liža si sceglie il tragico monologo che precede il suicidio nella Neva; la Stoyanova regge benissimo le impegnative discese nel settore medio grave e sfrutta la pienezza del timbro per esaltare la drammaticità della situazione mentre i riverberi argentini del settore acuto fanno ancora intuire il carattere luminoso di Liža troppo presto travolto dagli eventi. In Iolanta gioca con i colori delle voci ottenendo una timbrica più chiara e tersa, perfetta per il personaggio mentre la spettrale ninna nanna di Marj’a (da “Mazeppa”) ha tutto quel sapore di incubo ipnotico che la rende una delle pagine più sconvolgenti di tutta la letteratura musicale russa del XIX secolo.
Il programma russo è completato come accennato da due brani di Rimskij-Korsakov. Merita attenzione l’aria di Sneguročka di taglio decisamente virtuosistico in cui la Stoyanova fa valere le sue doti di grande belcantista sciorinando con assoluta naturalezza i rapidi passaggi di coloratura che sono il segno caratterizzante del brano mentre il luminoso lirismo della Marf’a di “Tsarskaija nevesta” è chiamato a chiudere il programma.
Il titolo “Slavic Opera Arias” indica già un’apertura anche ad altre aree slave oltre alla Russia. Il repertorio ceco è rappresentato da quattro arie tratte da due opere di Antonín Dvořák: la celeberrima “Rusalka” e il meno noto ma non meno valido “Dimitrij”. Della prima più che la “Canzone alla luna” ottimamente cantata ma meno “argentea” di altre esecuzioni, colpisce il grande monologo del III atto, vera chiave di volta drammaturgica dell’opera di cui la Stoyanova rende con bruciante intensità il carattere così umanamente drammatico. Molte belle anche le due arie di “Dimitrij”, più concitata e drammatica la prima, più distesamente lirica la seconda entrambe affrontate con splendida musicalità e assoluto controllo del legato.
Se ben nota è la qualità della scuola vocale bulgara, poco conosciuti sono i compositori di quel paese. Questo recital presenta due interessanti scoperte in tal senso. “Hitar Petar” è un’opera su una figura tradizionale del folklore sud-balcanico composta nel 1958 da Veselin Stoyanov; il brano proposto si caratterizza per una facile invenzione melodica che ricorda certe suggestioni della Giovane Scuola italiana e per l’alta tessitura retta benissimo dalla Stoyanova che sfoggia anche un magistrale controllo sul fiato che gli permette splendide filature e prese di voce. L’altra è l’aria dell’eroina eponima dell’opera “Maria Desislava” composta nel 1978 da Parashkev Hadjiev, esempio quanto mai interessante del linguaggio del socialismo reale musicale nella sua fase matura capace di creare una scrittura di grande qualità melodica, rigorosamente tonale e richiamante i grandi classici dell’operismo russo del XIX secolo, di piacevolissimo ascolto.