Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera 2017-2018
“TRISTAN UND ISOLDE”
Azione in tre atti su libretto di Richard Wagner
Musica di Richard Wagner
Tristan PETER SEIFFERT
Isolde RICARDA MERBETH
Marke STEVEN HUMES
Kurwenal MARTIN GANTNER
Brangäne MICHELLE BREEDT
Melot JAN VACÍK
Un pastore JOSHUA SANDERS
Un timoniere FRANCO RIZZO
Un giovane marinaio PATRICK REITER
Orchestra eCoro del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Claus Guth ripresa da Arturo Gama
Regia Claus Guth ripresa da Arturo Gama
Scene e costumi Christian Schmidt
Luci Jürgen Hoffmann
Torino, 15 ottobre 2017.
Il rapporto fra il Regio di Torino e il “Tristan und Isolde” wagneriano è antico e proficuo, avendo l’opera vissuto la sua prima torinese nell’ormai lontano 1897 – con la direzione di Toscanini – cui sono seguite riprese con certa regolarità. Dopo dieci anni di assenza – l’ultima esecuzione del 2007, per altro, alquanto di routine sul piano musicale nonostante la validità dell’aspetto visivo – l’opera ritorna in gran spolvero per aprire la nuova stagione 2017/18.
Gianandrea Noseda aveva già dimostrato negli scorsi anni un particolare interesse come direttore wagneriano, capace di dare di queste partiture una lettura personale e stimolante. Quello che ancora in potenza si apprezzava nel “Der fliegende Holländer” del 2012 si compie pienamente in questo “Tristan und Isolde”. Noseda legge Wagner con la sensibilità e il gusto di un direttore italiano, con quel senso della melodia e del canto che sono tipici del gusto italiano che gli permettono di dare alla sua lettura una cifra molto personale. Nella musica di Wagner i sentori del calore e della luce del mezzogiorno spesso corrodono le brume del nord e in Noseda questa solarità esplode fin dal preludio in cui è facile immaginarsi un mare scintillante di colori sotto un caldo sole mediterraneo mentre l’aria s’imbalsama degli aromi che il vento porta dalle rive. Un Wagner forse meno filosofico di altri ma profondamente umano, attraversato da una passionalità calda e avvolgente che si esalta nella cantabile morbidezza di Noseda – ottimamente accompagnato dagli strumentisti del Regio. Come sempre in Noseda si apprezzano la cura e la precisione dei dettagli, la capacità di dar rilievo ai particolari musicali ed espressivi, alle preziosità quasi cameristiche di cui la partitura del “Tristan und Isolde” è costellata, riuscendo in questo caso a inserire questa dimensione miniaturistica nel complesso del grande affresco sonoro senza mai perdere di vista la compattezza e l’unità di fondo che trova il suo filo conduttore nella montante passionalità che trova il suo punto massimo di esplosione nel grande monologo di Tristan del III atto.
La compagnia di canto non è esente da pecche ma considerando le immani difficoltà della partitura ne esce nel complesso in modo più che onorevole. Ricarda Merbeth ha una voce innegabilmente leggera per Isolde e manca di corpo e volume nel registro medio-grave mentre la parte acuta della voce è decisamente sicura e squillante oltre che ottimamente proiettata. Dimostra notevole maestria nel superare le difficoltà che in più punti la partitura le mette davanti e poi è innegabile che quest’Isolde dal timbro chiaro e luminoso e dall’accento intenso e appassionato – l’interprete è di grande sensibilità così come l’attrice – sia totalmente in linea con il taglio interpretativo di Noseda in cui si inserisce. Esperienza, talento, mestiere: con questi termini si può descrivere la prova di Peter Seiffert come Tristan. Di certo gli anni migliori sono passati e le tante primavere cominciano a farsi sentire sul mezzo vocale. La voce mantiene corpo e robustezza invidiabili ma è innegabile che nel corso dell’opera si percepisce una crescente stanchezza con i fiati che si fanno più corti e l’emissione più forzata. A suo favore giocano però la grande esperienza con questo tipo di repertorio e la perfetta conoscenza delle sue possibilità vocali che gli permettono di superare le difficoltà e di guidare in porto la prestazione senza particolari sbandamenti chiudendo con un monologo del III atto non certo immacolato ma capace di trasmettere fortissime emozioni.
Voce fin troppo chiara per Marke quella di Steven Humes che canta con grande gusto ed eleganza ma manca di autentico peso nel settore grave nel grande monologo del III atto. Di solida efficacia il Kurwenal di Martin Gantner mentre decisamente deludente la Brangäne vocalmente modesta e interpretativamente anonima di Michelle Breedt. Molto buone le parti di fianco e ottima la prova del coro.
Resta da dire dello spettacolo firmato per la regia da Claus Guth (ripresa da Arturo Gama) con le scene e i costumi di Christian Schmidt proveniente dall’Opernhaus Zürich; spettacolo importante, denso e complesso che merita tutta l’attenzione del caso.
Guth trasporta la vicenda in uno spazio borghese della seconda metà dell’Ottocento. Per quanto non vi siano riferimenti espliciti al riguardo è evidente che l’idea di fondo è quella di mettere in scena il triangolo Wagner – Mathilde – Wesendonck che rappresenta il retroterra biografico della composizione di “Tristan und Isolde” mentre il taglio in qualche modo generale evita il rischio della semplice ricostruzione biografica mantenendo la vicenda in un carattere più esemplare; si riconoscono però alcuni richiami simbolici alla vicenda storica come la serra in cui avviene il primo incontro fra i protagonisti e che immediatamente richiama quel “Im Treibhaus” che di tutti i “Wesendock lieder” è quello più connesso alla genesi del Tristan.
L’impianto scenico è monumentale. Una piattaforma rotante permette il rapido passaggio da un ambiente all’altro di una sontuosa dimora alto-borghese di gusto Biedermeier immergendoci in atmosfere prossime a quelle di certe pagine di Thomas Mann. Nel primo atto la camera da letto di Isolde si alterna all’anticamera dove sostano Tristan e Kurwenal, nel secondo si alternano l’interno e l’esterno del grande salone delle feste con il giardino solo evocato da proiezioni di ombre di fronde illuminate dalla luna, nel terzo l’esterno di un’antica dimora ormai in rovina (Kareol) si alterna con gli ambienti degli atti precedenti visti attraverso le allucinazioni di Tristan. Il forte impatto iniziale tende però a perdersi con il prosieguo degli atti notandosi un progressivo scollamento fra i movimenti scenici e le ragioni drammatiche tendendo i primi ad apparire come semplice esibizione di virtuosismo tecnico. Gli elementi d’arredo sono essenziali – il grande letto di Isolde, sedie, alberi in vaso per la serra, il grande tavolo del banchetto nuziale che diventa banco di tribunale nel finale del II atto e catafalco di Tristan nel III (immagine poco felice peraltro quella del corpo dell’eroe trasformato in una sorta di macabra portata di un banchetto nuziale diventato banchetto funebre). Di sobria eleganza i costumi ottocenteschi.
La recitazione nel complesso risultava molto attenta e curata anche se risultavano punti mal risolti; l’idea di fare di Brangäne una sorta di doppio di Isolde non è infondata – e trova giustificazione nello stesso poema di Goffredo di Strasburgo dove è la giovane ancella a sostituirsi alla padrona nella prima notte di nozze – ma non trovava sviluppo drammaturgico così come certe soluzioni registiche suscitavano almeno allo scrivente più di una perplessità (l’inizio del duetto del II atto fra Tristan e Isolde in una sala gremita di gente, il duello con Melot usando coltelli da tavola) così come si sentiva la mancanza del mare nel I e III atto – e non bastava a renderne la presenza il vascello che Kurwenal incideva sulle pareti scrostate della vecchia casa – e della Natura del II troppo parcamente evocata.
Spettacolo sicuramente di grande impegno ma al contempo fortemente divisivo, destinato a essere amato od odiato in base alle diverse sensibilità degli spettatori ma di certo meritevole di essere visto con la giusta attenzione.