Novara, Teatro C. Coccia: “Carmen”

Novara, Teatro C. Coccia, stagione d’Opera 2017-18
“CARMEN”
Dramma lirico in quattro atti su testo di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dall’omonima novella di  Prosper Mérimée.
Musica di Georges Bizet
Carmen ALISA KOLOSOVA
Don José AZAR ZADA
Micaela IRENE MOLINARI
Escamillo SIMÓN ORFILA
Frasquita LEONORA TESS
Mercédes GIORGIA GAZZOLA
Il Dancairo PAOLO MARIA ORECCHIA
Il Remendado DIDIER PIERI
Zuniga GIANLUCA LENTINI
Moralès LORENZO GRANTE
Orchestra della Fondazione Teatro Coccia con Conservatorio G. Cantelli, Coro S. Gregorio Magno e Coro di voci bianche dell’Accademia Langhi
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Mauro Rolfi
Regia Sergio Rubini
Scene Luca Gobbi
Costumi Patrizia Chericoni
Luci Fiammetta Baldisseri
Coreografie Simona Bucci
Novara, 8 ottobre 2017.
Il Teatro Coccia di Novara già in passato ha fatto scelte particolari nel campo della regia, affidando allestimenti – di solito quelli di apertura su cui è concentrata maggiormente l’attenzione mediatica – a personaggi del mondo dello spettacolo estranei alla professione di regista d’opera. Si tratta di scommesse potenzialmente azzardate e non sempre felici, come è stato il caso di questa “Carmen”, titolo inaugurale della stagione 2017/18. Di primo acchito nulla di sconvolgente: le scene di Luca Gobbi sono di elegante essenzialità, dal momento che l’impianto è impostato su due grandi scalinate che servono da punto di appoggio per gli elementi di definizione ambientale e per gli arredi scenici. L’ambiente è chiaramente spagnolo, il taglio sostanzialmente tradizionale nonostante l’attualizzazione dei costumi (percepibile quasi solo nelle divise militari) per altro decisamente belli, specie quelli dei gitani. E’ sul piano prettamente registico che le cose funzionano poco e male. Sergio Rubini al debutto come registra mostra tutta la sua inesperienza nella gestione dello spettacolo; per i primi tre atti praticamente la regia non esiste, i cantanti sono lasciati sostanzialmente a se stessi e ancor più palese è l’incapacità di utilizzare teatralmente il coro. Nel IV atto si lascia andare a qualche idea più originale ma che forse sarebbe stato meglio evitare perché, se il cambio scena a vista è forse ritrito ma non disturbante e le ballerine a seno nudo che scortano Escamillo nell’arena si dimenticano presto, veramente infelice è far svolgere il duetto conclusivo fra Carmen e Don José al centro di un’arena gremita di pubblico trasformando il loro confronto nella tauromachia che dovrebbe svolgersi nell’arena alle loro spalle. Così facendo si perde il senso di isolamento e solitudine dei due protagonisti per tacersi dello sventolio di fazzoletti rossi che accompagna la morte di Carmen.
Non particolarmente piacevoli – almeno a occhio profano – e fin troppo invasive le coreografie di Simona Bucci.
Le cose fortunatamente hanno funzionato decisamente meglio sul versante musicale. Matteo Beltrami ha dell’opera una lettura tesa, nervosa, molto teatrale. Le sonorità sono chiare, brillanti, nitide, giustamente leggere e nervose, i tempi sono molto sostenuti, il passo ritmico decisamente marcato. A volte si può rimproverargli un eccesso di rapidità – a tratti tempi più distesi avrebbero concesso maggior opportunità di fraseggio ai cantanti – ma l’impianto generale funziona egregiamente.
Il lavoro svolto in questi anni da Beltrami paga inoltre soprattutto sul terreno della qualità delle masse corali e orchestrali cittadine che se pur ancora non esenti da qualche imprecisione mostrano un livello di professionalità decisamente alto (specie se si considera che molti degli orchestrali sono studenti del Conservatorio cittadino) che lascia ben sperare per un’ulteriore crescita nei prossimi anni.
Alisa Kolosova è una protagonista dai rilevanti mezzi vocali. Ampia, solida, corposa la voce del giovane mezzosoprano russo sfoggia anche un timbro molto bello e omogeneo e un colore caldo e intenso. Si notano inoltre una buona intelligenza musicale, che le ha permesso di superare qualche difficoltà nel I atto quando la voce era ancora fredda, e un’accettabile pronuncia francese. L’interprete invece è più generica; specie nei primi due atti scivola spesso in effetti di gusto verista ormai troppo datati, meglio nella seconda parte quando il tono si fa più drammatico e il suo canto diventa più concentrato e intenso e anche lo voce dopo qualche incertezza iniziale tende a scaldarsi dando il meglio delle sue possibilità. La Kolosova era forse la più penalizzata dalla non regia di Rubini; non avendo di suo una particolare personalità attoriale, infatti, avrebbe dovuto essere seguita e diretta con cura decisamente maggiore. Resta l’idea che in un altro spettacolo la sua Carmen possa essere più curata anche sul piano interpretativo.
Voce fresca e bella baldanza tenorile sfoggia il Don José del giovane tenore azero Azar Zada, dotato di un bel timbro chiaro e squillante che giustamente non cerca inutilmente di scurire; lo usa anzi per caratterizzare un brigadiere che la giovinezza del timbro rende ancor più credibile nella sua ingenuità. La formazione italiana presso l’Accademia della Scala ha affinato musicalità e gusto e se – soprattutto nei momenti più intensi – si notava ancora una certa inesperienza interpretativa, si riconoscono innegabili qualità di fondo che compensano ampiamente qualche incertezza sugli acuti. Anche nel suo caso un più attento lavoro registico l’avrebbe aiutato non poco a entrare meglio nella natura del personaggio.
Grande prestanza vocale e scenica l’Escamillo di Simón Orfila, artista di esperienza – forse fra quelli che più compensava di suo le carenze registiche – e cantante di vaglia. La parte poi è come tessitura ideale per la voce ibrida del cantante minorchino sempre a cavallo fra il registro di basso e quello di baritono cui si aggiunge una presenza scenica ideale per il ruolo. Valeria Sepe è una Micaela molto ben cantata e soprattutto espressivamente sobria e intensa senza inutili zuccherosità.
Fra le parti di fianco buone prove di Irene Molinari, subentrata in extremis a coprire il ruolo di Mercédes, della giovanissima Leonora Tessa, una Frasquita dalla voce ancora un po’ timbricamente immatura ma squillante e ottimamente proiettata. Elegante il Remendado di Didier Pieri ed efficace il Dancairo di Paolo Maria Orecchia. Completavano il cast il Moralès di Lorenzo Grante e lo Zuniga di Gianluca Lentini. L’opera è stata eseguita nell’originale francese e con i recitativi parlati, in parte ridotti. Oltre a queste riduzioni si riscontrava un taglio nella parte iniziale del IV atto. Sala gremita e successo intenso e convinto per tutti gli interpreti.