Verona. Teatro Filarmonico. Il Settembre dell’Accademia 2017.
Philharmonia Orchestra di Londra
Direttore Esa-Pekka Salonen
Jean Sibelius: La mort de Mélisande da Pelléas et Mélisande Op. 46, suite per il dramma di Maurice Maeterlinck – Sinfonia n. 6 in re minore Op. 104
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore Op.55 “Eroica”
Verona. 20 settembre 2017.
A differenza di altre importanti città del mondo come Vienna, Berlino e Chicago che si fregiano di grandi orchestre titolari che mantengono la supremazia su altre pur di alto livello nella medesima città, Londra si vanta di almeno quattro grandi orchestre che attraverso gli anni si combattono con fortune alterne per afferrare e mantenere questo onore. Il formidabile concerto della Philharmonia Orchestra di Londra al Teatro Filarmonico di Verona per la rassegna del Settembre dell’Accademia ci ha inoltre confermato le qualità del suo attuale direttore stabile. L’orchestra è una autentica fuoriclasse che, con intelligenza e una profonda cultura musicale, ha raggiunto traguardi di incomparabile levatura. Tecnicamente impeccabile, duttile, sfoggia un suono uniforme e brillante. La morbidezza e rotondità degli archi ha trovato un’esatta corrispondenza ed estensione nelle sonorità dei fiati. A ciò aggiungiamo i prestigiosi riconoscimenti in patria per i programmi innovativi, i progetti formativi di alta qualità. Una buona parte del merito del loro successo sui tutti fronti va riconosciuto al loro direttore principale e musicale, il prolifico compositore e celebre direttore d’orchestra, il finlandese, Esa Pekka Salonen. Prima di approdare alla Philharmonia è stato fautore della radicale rivitalizzazione della Los Angeles Philharmonic durante i diciassette anni della sua direzione artistica.
Sul podio Salonen si è dimostrato una figura carismatica; un trascinatore di grande vitalità. Fremente di un’energia tesa e intensa, le larghe mani sciolte e generose, il suo gesto chiaro, morbido e espressivo svelava il valore di ogni nota esaltandone l’essenza. La lunga e frequente collaborazione di Salonen con l’orchestra non ha portato un rapporto di rilassata familiarità. Anzi, la prestazione è stata di una carica grintosa e tesa da ambedue le parti.
La prima parte del concerto è stata dedicata alla musica di Sibelius, La morte di Mélisande, un episodio dalla suite della sua musica di scena per il dramma di Maeterlinck, e la sua sinfonia n. 6, considerata da tanti specialisti la sua migliore anche se non ha raggiunto la popolarità delle altre. Quale occasione migliore per rappresentare la musica di un compositore raramente presente nei programmi italiani se non con l’autorevole interprete, suo connazionale, nel giorno preciso del sessantesimo giorno della sua morte. Già dalle prime battute orchestra e direttore hanno saputo creare l’atmosfera commossa di raccoglimento necessaria per La Morte di Mélisande, che evoca la tragica chiusura della storia d’amore; una lunga e commossa elegia che lentamente svanisce nel nulla. Purtroppo il pubblico non era ancora preparato per un’inizio tanto intenso. Solo dopo che la spalla ha incenerito con lo sguardo lo spettatore con il telefonino acceso, il pubblico è entrato nella giusta predisposizione d’animo, lo testimonia l’attimo di silenzio alla conclusione del pezzo.
Al primo impatto, la sesta sinfonia appare di costruzione tradizionale. I quattro tempi assomigliano per carattere e sequenza a quelli di una sinfonia classica. Ma le aspettative vengono disattese, perché l’apparente sequenza tradizionale dei tempi, ognuno con il proprio carattere rivela un continuo di materiale tematico fortemente unificato basato su una progressione melodica a scale, l’impiego del modo dorico, di natura liturgica, responsabile del carattere elegiaco, ricco di chiaroscuri della pagina. Con semplicità, penetrante lucidità e profonda conoscenza Salonen ha esaltato le linee polifoniche, le qualità impressionistiche e i tratti di quiete serenità. L’orchestra ha cesellato ogni aspetto con realizzazioni timbriche che impreziosiva l’esecuzione con un senso di luminoso interiorità e meraviglia.
L’esecuzione dell’Eroica di Beethoven è sembrata offrire un atteggiamento diametralmente opposto a quello dimostrato nella prima parte. Salonen è partito con grande piglio, disinvolto, vigoroso, atletico, quasi portando agli estremi gli effetti dinamici, con repentini e quasi impercettibili pianissimi in contrasto con esplosivi fortissimi, evidenziando gli accenti con punzecchiature; tutto reso perfettamente grazie allo sfolgorante virtuosismo tecnico dell’orchestra. Anche alla marcia funebre del secondo tempo non era concessa che un minimo di gravitas. L’impulso propulsivo dell’ultimo tempo sacrificava i vari momenti di compiacimento e digressione all’interno delle sue variazioni. Ma comunque con questa spinta vorticosa la conclusione ha evitato di appesantirsi. L’entusiasmo del pubblico è stato premiato con un bis, Valse Triste sempre di Sibelius, che richiamava l’atmosfera del pezzo dell’apertura della serata. Anche questo brano fa parte delle musiche di scena che Sibelius ha scritto per il dramma “Kuolema”(Death). Amato dal pubblico, è diventato un pezzo da concerto rappresentativo di Sibelius per antonomasia. La musica accompagna il delirio di una madre ammalata e morente. Dopo una lenta introduzione si snoda su un’ampia melodia dei violoncelli, si anima per poi dissolversi. Raffinata, intima e dolorosa, è stata resa con delicata eleganza e inquietudine da direttore e orchestra.