Luciano Pavarotti (Modena, 12 ottobre 1935 – 6 settembre 2007)
Su Luciano Pavarotti è stato detto e scritto (e in questi giorni di commemorazione big Luciano è nuovamente argomento in primo piano) tutto e il contrario di tutto. Il personaggio ha offuscato il valore del cantante? …Forse. Chi scrive, come forse molti altri melomani, ha conosciuto Pavarotti attraverso la sua ampia produzione discografica. Devo ammettere che il mio approccio al tenore modenese fu di riflesso al mio primario interesse per l’arte belcantista di Joan Sutherland. Nelle opere di Bellini e Donizetti (Beatrice di Tenda, L’elisir d’amore, La fille du regiment, Lucia di Lammermoor, I Puritani...), che vedevano Pavarotti accanto al grande soprano australiano, apprezzai la dolcezza della sua voce timbratissima, argentina, omogenea, eccezionalmente facile e lucente negli acuti. Vennero poi le incisioni delle opere di Verdi e Puccini. In quest’ultimo autore, Pavarotti, mise in luce una felice maturazione di cospicue doti di fraseggiatore. Nelle registrazioni di Bohème, Madama Butterfly, Tosca, Turandot, Pavarotti, cantante dalla natura vocale principalmente affettuosa e amorosa, ha saputo trovare aderenza ai personaggi attraverso il fraseggio, il calore, le espansioni liriche e un indubbio senso della misura.A un certo punto Pavarotti ha raggiunto il traguardo di diventare un uomo famoso, prima di tutto negli Stati Uniti, cosa diversa dall’essere un cantante celebre. Il mondo della lirica era comunque ristretto per lui che, in più di un’occasione, affermò: “Amo la gente” e “Voglio vedere sempre più gente intorno a me”. La gente l’accontentò e Pavarotti valicò dunque gli stretti confini del palcoscenico, diventando celebre anche tra coloro che non avevano mai messo piede in un teatro e ignoravano che cosa fosse un do di petto. Iniziò l’epoca dei grandi concerti negli stadi, dei “Pavarotti & friends” per arrivare alle mega serate dei “Tre Tenori” con Josè Carreras e Placido Domingo. Per chi come lo scrivente ha avuto la fortuna e l’onore di conoscere personalmente Pavarotti e di apprezzarne le sue straordinarie doti di tenore che lo hanno reso un’icona e uno dei grandi di sempre della lirica, senza snobismi, è un dispiacere constatare come la figura dell’artista Pavarotti abbia, per così dire, ceduto il passo al tenore-personaggio da cui, immancabilmente, ci si aspettava che intonasse il “Vincerò!”, fino a come “congelarsi” nelle scelte e in una più autentica maturazione-crescita (intesa come consapevole presa di ruoli e non per scelte discografiche). Con buona pace di chi ama sempre e comunque big Luciano, sarebbe meglio ricordarlo per il grande artista che era…
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