Con Cefalo e Procri, Valentino Villa firma la sua prima regia d’opera in un nuovo allestimento della fondazione Teatro La Fenice, al Teatro Malibran di Venezia il 29 settembre in prima assoluta (repliche 1, 3, 5 e 7 ottobre). Composta da Ernst Krenek su libretto di Rinaldo Küfferle, Cefalo e Procri, una «moralità pseudo-classica», condensa tutta la forza di un dramma della gelosia e dell’incomprensione tra i due amanti narrati da Ovidio ne Le Metamorfosi. Andata in scena al Teatro Goldoni di Venezia nel 1934, l’opera viene riproposta al Teatro Malibran, con la direzione di Tito Ceccherini, dopo oltre ottantanni anni dal debutto e affiancata da due brani della compositrice Silvia Colasanti: Eccessivo è il dolor quand’egli è muto dal Lamento di Procri di Francesco Cavalli e presentato in prima assoluta, e Ciò che resta, un ideale dittico incentrato sul mito ovidiano.
«In Krenek la morte di Procri a opera di Cefalo è stata cancellata. Procri sopravvive grazie all’intervento della dea Diana» spiega Villa, già regista di molte opere di drammaturgia contemporanea «Al contrario Eccessivo è il dolor quand’egli è muto di Silvia Colasanti si nutre di questa morte il cui lascito è, nella mia visione, tristemente raccontato in Ciò che resta. Abbiamo quindi una doppia immagine del mito e di conseguenza una doppia immagine di Procri. E se i brani di Colasanti sembrano nutrirsi di un sentimento angoscioso e quasi tragico, Krenek ci dà una diversa indicazione della sua opera definendola “una moralità pseudo-classica”».
Questa indicazione ha portato Villa a privare la storia di Cefalo e Procri della sua aura mitica: se ci devono essere degli dei allora questi non saranno dissimili da ogni uomo. L’Olimpo diventa una comoda dimora dove gli dei rivaleggiano tra loro, e un laboratorio in cui i due protagonisti costituiscono un semplice divertissement, vivendo all’interno di un diorama. «Questo dispositivo, racchiude la loro intera storia come ricostruzione di un frammento di mondo classico» commenta il regista. «Una pseudo-classicità appunto; una classicità finta, di plastica, simbolica. Qui il mito vive nelle sue molteplici interpretazioni, cristallizzato nel tempo eppure soggetto a ripetizioni e alterazioni. Cefalo e Procri sono esistenze fittizie manovrate da una mano esterna che ne scrive e riscrive la storia, come pedine in un parco giochi dei sentimenti. In un certo senso il loro mondo potrebbe somigliare a quello di Westworld, il film di Michael Crichton recentemente rivisitato nella serie di HBO».