Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2017
“AIDA”
Opera in quattro atti e sette scene, libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida TAISIYA ERMOLAEVA
Radamès SUNG KYU PARK
Amneris ALESSANDRA VOLPE
Amonasro MANSOO KIM
Ramfis MARIANO BUCCINO
Il Re d’Egitto GEORGE ANDGULADZE
Una sacerdotessa MARTA CALCATERRA
Un messaggero LEON DE GUARDIA
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Giuseppe La Malfa
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia Joseph Franconi Lee (spettacolo ideato da Alberto Fassini)
Scene e costumi Mauro Carosi
Disegno luci Roberto Venturi
Coreografie Fredy Franzutti
Allestimento scenico del Teatro Regio di Parma
Bari, 19 settembre 2017
Riuscire a siglare il tutto esaurito per ben otto recite è un traguardo significativo per il Teatro Petruzzelli di Bari che con Aida ha messo in scena una delle opere in assoluto più amate dalla città (per molti baresi AIDA era anche l’acronimo di una storica azienda dolciaria, fallita qualche anno fa, che produceva gustose merendine). L’allestimento scenico del Regio di Parma ideato da Alberto Fassini per il Festival Verdi 2005 (poi riproposto, sempre a Parma, nel 2012) non ha perso la sua capacità di suggestionare il grande pubblico. Del resto è ozioso ricordare che Aida resta una delle opere più imbriglianti per l’ideazione registica e mal tollera di essere ambientata lontano dalle sponde del Nilo. L’unica libertà qui concessa è stata quella di colorare di blu il popolo egiziano (scelta che ha fatto parlare, a sproposito, di fantomatici rimandi al noto film Avatar, che però apparve nel 2009, quattro anni dopo l’«Aida blu» di Parma). La regia di Joseph Franconi Lee sembra pertanto aver subito gli intrinseci vincoli dell’opera, limitandosi a prescrivere una gestualità sin troppo statica e solenne (specialmente per i personaggi di Ramfis e del faraone) che si è solo a tratti alleggerita, per iniziativa estemporanea, dei cantanti. Aida è sostanzialmente un’opera corale nata per fini propagandistici e compito primario di un regista è la gestione dei cori: Franconi Lee ha optato per una dialettica tra sfondo e proscenio che ha dinamizzato le pompose marce e parate trionfali incastonando gli splendidi balletti coreografati da Fredy Franzutti alla guida del suo Balletto del Sud, una delle più importanti compagnie di danza italiane. L’impianto scenico di Mauro Carosi ha dato conferma alla solenne ieraticità pensata dal regista e si è distinto per una forza visiva notevole: al blu, colore dominante, ben modulato grazie ai giochi di luci offerto da Roberto Venturi, è stato contrapposto il rosso che connotava il popolo etiope. Per quanto presente nella cultura egizia, il blu parrebbe tuttavia rimandare di più alla porta di Babilonia dei grandi re persiani; ben maggiore la confusione stilistica che ha caratterizzato i costumi, sempre curati da Carosi, volutamente allusivi a quel kitsch tardottocentesco che s’infiltrò nel melodramma quando assurse a fenomeno nazional-popolare. Complessivamente molto buono il secondo cast che qui si recensisce: Taisiya Ermolaeva, che impersonava Aida, ha un’ottima zona centrale e una bella presenza scenica che ha reso molto intensa la recitazione; dovrebbe tuttavia curare di più il legato, di cui si sentiva la mancanza in Cieli azzurri (tra l’altro il Do era tenuto pochissimo e subito lasciato). Alessandra Volpe ha ben sviluppato il personaggio di Amneris calcandone i tratti di terribilità furente. Buona la zona centrale che le permette di raggiungere il giusto languore in Vieni, amor mio. Da perfezionare l’uniformità di registro poiché si avverte netto il passaggio verso la zona acuta che le è più congeniale. Sung Kyu Park è un Radames elegante e corretto, con voce stilisticamente adeguata e con buon fraseggio; da migliorare sul piano del movimento in scena e della pronuncia del testo. Ottima la prova dell’altro cantante coreano, Mansoo Kim, un Amonasro dal timbro ricco e attorialmente impeccabile. Meno incisivo il Ramfis di Mariano Buccino a motivo di un volume piuttosto ridotto e di qualche pecca d’intonazione. Piuttosto opaco e il Re d’Egitto di George Anguladze, ottima la Sacerdotessa di Marta Calcaterra, buono il Messaggero di Leon De La Guardia. Una particolare nota di merito va a Giuseppe La Malfa, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro Petruzzelli (entrambi in splendida forma) che non ha mai dilatato i tempi (al contrario, in alcuni tratti li ha velocizzati rispetto alla tradizione) né ha mai concesso spazio a chiassosità ruffiane. La sua direzione è stata generosa e sempre precisa negli attacchi dati ai cantanti e al coro, assicurando una scorrevolezza d’insieme e una concertazione chiara e lineare. Ci si augura di vederlo impegnato in future produzioni operistiche.