“Wandering” a New York: la “Winterreise” di Schubert nella coreografia di Amy Seiwert

New York, Joyce Theater, Joyce Ballet Festival 2017
“WANDERING”
Musica Franz Schubert
Coreografia Amy Seiwert
Scenografia e luci Brian Jones
Costumi Susan Roemer
Compagnia Amy Seiwert’s Imagery (Anthony Cannarella, Alysia Chang, James Gilmer, Tina Laforgia Morse, Jackie Nash, Ben Needham-Wood, Gabriel Smith, Shania Rasmussen)
New York, 28 luglio 2017

A New York la danza non si ferma, neppure d’estate: resta la protagonista di festival internazionali, come quello del Lincoln Center, organizzato dal New York City Ballet, o di teatri più piccoli ma non meno interessanti, come il Joyce Theater, soprattutto dedicato a nuove produzioni e sperimentazioni. Ci troviamo nel quartiere di Chelsea, dall’atmosfera molto downtown e libera; qui nella seconda metà di luglio ha luogo la rassegna Joyce Ballet Festival, sponsorizzata dalla Howard Gilman Foundation all’interno del teatro omonimo, un antico cinema restaurato con ottimo gusto, capace di ospitare più di quattrocento persone. Quest’anno si sono avvicendati cinque titoli, dal carattere originale e diversificato; l’ultimo, Wandering, è una versione coreografica del ciclo liederistico della Winterreise di Franz Schubert, basata sulla storica registrazione di Dietrich Fischer Dieskau con Gerald Moore al pianoforte. Amy Seiwert è una delle coreografe più apprezzate di San Francisco, dove dirige la compagnia Imagery: Rita Felciano ha scritto che la Seiwert utilizza quello che secondo alcuni è un linguaggio morto come se fosse uno strumento di comunicazione del XXI secolo, per dirci qualcosa della nostra identità. Effettivamente, il progetto di tradurre in danza i 24 Lieder della Winterreise può sembrare una scelta legata al passato e alla cultura romantica, soprattutto se un’intera compagnia di ballerini è coinvolta nell’impresa. E invece non è così: grazie alla coreografia di Seiwert, il Viaggio d’inverno schubertiano diventa il racconto di un gruppo di persone, forse dell’umanità intera, in cui a turno ciascuno assume la responsabilità del viandante, che affronta i pericoli del cammino e guida il viaggio di tutti. Non si può dire che gli strumenti comunicativi e figurativi della Seiwert siano un “linguaggio morto”; piuttosto, si tratta di un linguaggio reinventato con il preciso scopo di dare movimento alla poesia di Wilhelm Müller. Otto sono i danzatori impegnati nello spettacolo, e sono quasi sempre tutti presenti sulla scena: la solitudine della voce schubertiana si trasforma quindi in un dialogo di corpi in costante relazione. La coreografa non vuole raccontare nessuna storia precisa, cioè non vuole sostituirsi allo spirito delle singole poesie; preferisce invece imitarne il contenuto in maniera molto delicata e stilizzata. C’è però un motivo conduttore, un mantello rosso che i danzatori vestono a turno per un gruppo di Lieder ciascuno, e che è il simbolo stesso della peregrinazione, della figura del viandante. I momenti più drammatici sono proprio quelli in cui un personaggio si sveste del mantello (forse perché la sua funzione è esaurita) e lo passa a qualcun altro, che lo accetta oppure lo rifiuta, ed è obbligato a indossarlo con la forza. I viandanti della Seiwert esprimono tutte le sofferenze del viandante schubertiano: sono un gruppo solitario, hanno freddo e patiscono il gelo e la neve che cadono dal cielo; le variazioni delle luci suggeriscono l’apparire di una speranza, che presto si riconverte in disperazione. Lo stile della coreografia si può definire neoclassico; sono presenti sequenze di movimenti che hanno una funzione come di ritornello, analogamente alla struttura musicale del singolo Lied. E poi la Seiwert ama le pose plastiche, complicate dall’esercizio virtuosistico. I costumi color carne con strisce bianche della prima parte (i primi dodici Lieder) sono sostituiti nella seconda da costumi simili a strisce nere; anche in questo caso è il contrasto della luce a determinare l’effetto più forte. Lo spettacolo è nel complesso molto spoglio, povero di oggetti scenici o di elementi coreografici, perché lo spirito dominante è quello della poesia di Müller, rivestita dalla musica di Schubert. Anche se il testo di tali poesie non viene proiettato, e non è presente nel programma di sala, il pubblico newyorkese segue con un’attenzione e una concentrazione totali; si tratta evidentemente di un pubblico molto colto, esperto di danza come di musica in generale, che per questo dimostra di apprezzare moltissimo. Amy Seiwert ha in effetti creato uno spettacolo di grande raffinatezza, non intellettualistico; il suo merito principale è quello di avere tradotto in danza il ciclo di Lieder più famoso di tutta la storia, senza la pretesa di riscriverlo da capo, o ancor meno di stravolgerlo: in tal modo dimostra l’universalità di un linguaggio che scavalca i secoli ed esprime le inquietudini costanti dell’uomo, sempre in cammino verso una meta ignota e irraggiungibile.