New York, David Geffen Hall, Lincoln Center’s Mostly Mozart 2017
Mostly Mozart Festival Orchestra
Sō Percussion
Direttore Louis Langrée
Wolfgang Amadeus Mozart: Ouverture da Die Entführung aus dem Serail
David Lang: man made
Jean-Baptiste Lully: Suite da Le Bourgeois gentilhomme
Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia n. 31 in do maggiore K 297, Pariser
New York, 2 agosto 2017
Quando nacque nel 1961 il Mostly Mozart Festival intendeva proporsi come la prima rassegna di musica da camera estiva di New York, centrata sull’immenso catalogo mozartiano ma aperta a tutto il repertorio delle piccole formazioni. Nelle cinquantuno annate della sua esistenza gli orizzonti si sono di molto ampliati, al punto che nei programmi correnti del MMF non mancano mai concerti sinfonici ed allestimenti di opere complete in forma scenica (quest’anno toccherà a Don Giovanni, nella versione praghese diretta da Iván Fischer con la Budapest Festival Orchestra). Nel 2002, per provvedere adeguatamente alle nuove esigenze della programmazione, fu creata la Mostly Mozart Festival Orchestra, affidata alle cure di Louis Langrée che tuttora la guida. La presenza di un complesso “di casa” permette ovviamente di calibrare ogni edizione tra invitati prestigiosi e realizzazioni personali, come nel caso del terzo concerto di questa stagione, dedicato a illustrare l’importanza delle percussioni, da Mozart a oggi.
Dei quattro brani che formano il programma, occorre dire subito che la cornice mozartiana dell’ouverture da Die Entführung aus dem Serail e della Sinfonia Pariser costituisce la parte meno interessante. La prima risuona assai pesante a causa dell’insistenza sulle percussioni, ma con poco scintillio e scarsi colori; nella seconda Langrée è attento a rendere i contrasti dinamici, ma le parti degli archi sono come spianate, prive di dolcezza; in effetti, l’orchestra non è capace di suonare piano o con la necessaria delicatezza. La parte migliore del concerto è senza dubbio quella centrale, che accosta una prima esecuzione per New Tork a una famosissima suite di musica barocca; in entrambe sono protagonisti i quattro elementi che formano il Sō Percussion, complesso di strumentisti divenuto celebre per le riletture di pagine classiche e la sperimentazione di nuovi linguaggi e tecniche in lavori di propria elaborazione. Espressamente per loro David Lang ha composto nel 2013 man made, un concerto per percussioni e orchestra dalle proporzioni ragguardevoli, assumibile quale esempio interessante della musica americana contemporanea, di cui Lang è uno degli esponenti più produttivi e apprezzati. Nel 2008 la sua opera da camera the little match girl passion vinse il Pulitezer Prize for music; nel 2016, per il cinquantenario del Mostly Mozart Festival creò the public domain, con un organico di mille voci cantanti; il suo ultimo lavoro simple song #3 (i titoli delle composizioni di Lang hanno la peculiarità di mancare della maiuscola iniziale) costituisce una parte della colonna sonora del film di Paolo Sorrentino Youth. È anche simpatico, David Lang, nel presentarsi da solo prima dell’esecuzione del suo brano, e far notare al pubblico della Geffen Hall l’occasione di vedere un compositore ancora vivo e sentirlo addirittura parlare … Suddiviso in quattro momenti, ma senza soluzione di continuità, man made si sviluppa con il quartetto dei percussionisti schierato davanti all’orchestra e di volta in volta impegnato con uno o più strumenti. L’attacco è affidato a piccole e sottili verghe di legno, che Sō Percussion spezza secondo un riconoscibile ritmo anapestico, una o più volte, per poi gettarle a terra, mentre l’orchestra interviene con accordi di xilofono, squilli degli ottoni, strappate complessive. Poi una fila di bottiglie di vino, percosse con effetto sonoro di Glass Harmonik; poi ancora campane orizzontali, e da ultimo una coppia di xilofoni insieme a una coppia di batterie, alternate sul proscenio. Ipnotico, bellissimo, il pedale dipanato dal quartetto nella terza sezione, quando ognuno esegue una figurazione ostinata, su cui si innesta sinfonicamente l’intervento degli ottoni; l’effetto da thriller movie è palpabile, ma ancor più riuscita è la conclusione, improvvisa e netta come una cesura. L’aplomb dei fantasiosi strumentisti è semplicemente perfetto, e produce un entusiasmo notevole nel pubblico della David Geffen Hall; elargiscono dunque un bis inaspettato, perché anziché assordare con strumenti di strada od oggetti d’uso quotidiano (i bidoni di zinco degli Stomp, per esempio) ricorrono alla percussione più naturale e antica di cui l’uomo dispone dai primordi, le mani. Disposti a due a due l’uno di fronte all’altro, guardandosi dritto negli occhi, per cinque minuti ognuno batte le proprie mani con ritmi e frequenze diversi, armonicamente costruiti; come nella pièce di Lang, non ci sono clamorose variazioni di tempo, ma il ritmo appare mobilissimo a causa delle frequenti variazioni interne. Di colpo, con perfetta sincronia, tutto il meccanismo si arresta, come al termine di un computo arcano di cui nessuno si è reso conto. Dopo l’intervallo, con la deliziosa suite di Lully si entra in un altro mondo: non tanto per lo stile musicale, ma per l’uso e gli effetti delle percussioni, opposti a quelli di prima; ora gli strumenti servono i disegni melodici con delicatezza, perfino con sonorità sommesse. Il quarto e ultimo numero è il momento più divertente, perché si tratta della parodia di una marcia turca, in cui compare anche un sistro: i Sō Percussion scendono dall’ultima fila dietro l’orchestra e raggiungono tutto il proscenio in una piccola processione, guidati dai colpi del gigantesco sistro e dal leggero tintinnare delle campanelle. Dal 1670 di Lully al 2013 di Lang, attraverso Mozart, è un compendio di storia delle percussioni in un’unica serata, e di grande successo; un prodigio di sintesi, in cui le istituzioni culturali americane sono effettivamente inappuntabili. Foto Mostly Mozart Festival