Pesaro, Teatro Rossini e Auditorium Pedrotti, Rossini Opera Festival, 38a edizione
– “Ildar Abdrazakov in concerto”
Filarmonica Gioachino Rossini
Direttore Iván López-Reynoso
Giuseppe Verdi: Attila, Preludio; «Mentre gonfiarsi l’anima» – Don Carlo, «Ella giammai m’amò» – Ernani, Preludio; «Che vegg’io! … Infelice! … e tuo credevi».
Wolfgang Amadeus Mozart: Così fan tutte, Sinfonia – Don Giovanni, «Madamina! Il catalogo è questo»; «Deh vieni alla finestra».
Gioachino Rossini: Semiramide, Sinfonia; «Il dì già cade … Deh… ti ferma… ti placa… perdona».
Pesaro, 19 agosto 2017
– “Concerti di belcanto”: Margarita Gritskova
Pianista Ivan Demidov
Gioachino Rossini: Tancredi, «Oh patria! … Di tanti palpiti» – Il barbiere di Siviglia, «Una voce poco fa» – L’Italiana in Algeri, «Per lui che adoro» – La Cenerentola, «Nacqui all’affanno e al pianto … Non più mesta» – Sigismondo, «Non seguirmi … omai t’invola» – La donna del lago, «Tanti affetti».
Mikhail Glinka: Aria «L’iniquo voto» – Souvenir d’une Mazurka – Variazioni sopra un tema de L’usignolo di Aljab’ev – Ruslan e Ljudmila, «I zhar i znoy s’menila notschi ten».
Pesaro, 21 agosto 2017
Il trittico di opere del ROF 2017 (Le siège de Corinthe – La pietra del paragone – Torvaldo e Dorliska) ha avuto un successo molto apprezzabile, come documentano anche le accurate recensioni di Filippo Bozzi per i lettori di «GBopera», sebbene le rispettive compagnie vocali non vantassero molti nomi di straordinaria fama; per questo l’attenzione dei frequentatori del festival si è concentrata anche sui singoli concerti vocali di interpreti non coinvolti nelle produzioni teatrali. Gli ultimi due concerti vocali sono tra loro diversissimi, sia per il tipo di interprete sia per l’esito qualitativo, ma entrambi indicativi delle strategie con cui il ROF promuove il canto rossiniano e ricerca nuovi interpreti di tale repertorio.
La cronaca del concerto di Ildar Abdrazakov è quella di un trionfo, o meglio del ritratto perfetto di un grande interprete, molto intelligente nella scelta e nell’accostamento dei brani, disposti in modo da concludere proprio con Rossini, dopo un’ottima antologia verdiana e mozartiana. Anche a freddo, la voce di Abdrazakov si dispiega da subito con intonazione impeccabile, registro uniforme e cavata importante, sicura, autorevole. Attila, Silva, Filippo II sono tutti personaggi che il basso frequenta e perfeziona da molti anni, con risultati stilistici ragguardevoli in termini di fraseggio e di complessiva credibilità; il porgere aristocratico, coniugato a un’emissione a fior di labbra e allo sfoggio di pianissimi e smorzature tecnicamente perfetti, esprime soprattutto il tipo caratteriale del nobile oppresso dal dolore, o – in altri termini – la sofferenza profonda che il potere e la ricchezza non riescono a curare. Il pubblico resta sin dall’inizio impressionato, riconoscendo immediatamente le prerogative del grande cantante: per esempio saper trasformare la capacità di respirare e di legare le frasi in espressività di affetti e stati d’animo dei personaggi. Il lamento e lo sconforto sono le dimensioni più autentiche del canto verdiano di Abdrazakov, mentre la baldanza delle cabalette non riesce sempre completa (qualche puntatura non è del tutto coperta da perfetta emissione e risuona leggermente forzata, a voler essere davvero pignoli); questa dicotomia tra sovrano dolente e guerriero in armi si percepisce anche nella magnifica scena di Assur dalla Semiramide, opportunamente collocata in clausola di programma quale segno di appartenenza vocale. Ora il fraseggio stilizzato dipinge perfettamente quel tipo di malvagio metastasiano che è Assur, in particolare nell’opposizione tra la frase «Ah, pietà dell’oppresso mio cor» e la cabaletta, senz’altro più spigliata rispetto a quelle verdiane (e senz’altro ammirevole nel risultato; ma perché, allora, cedere ogni tanto alla tentazione di imitare emissione e colori della voce di Samuel Ramey? Abdrazakov non ne ha proprio nessun bisogno). Prezioso l’intermezzo mozartiano: il catalogo muliebre del Don Giovanni è l’unico brano comico del programma e l’artista lo affronta più con la preoccupazione di cantare bene che di divertire; nell’ambito di un recital solistico è una scelta che non si può certo biasimare. La serenata di Don Giovanni dimostra invece come il cantare in pianissimo sia un esercizio virtuosistico che soltanto un grande professionista può permettersi, dato il rischio che qualche armonico vocale abbandoni l’emissione; ma il vero cantante trasforma un eventuale punto critico in virtù, e Abdrazakov fa del sussurro quasi impercettibile uno strumento di seduzione vocale (assai ben riuscito, ad ascoltare dopo il concerto i giudizi ammirati di alcune signore …). La Filarmonica Gioachino Rossini è funzionale all’accompagnamento del solista, con suono e tempi debitamente controllati dal direttore Iván López-Reynoso, sebbene non sempre si riscontri la sufficiente tensione drammatica, soprattutto in Verdi. Quando però suona il suo Rossini, la disinvoltura dell’orchestra è evidente, e la sinfonia di Semiramide riesce molto bene. Il basso regala al pubblico acclamante due brani fuori programma, che creano un suggestivo contrasto: il primo si presenta come “atto dovuto” al luogo e alla circostanza (una «Calunnia» di scaltrita esperienza e di sperimentata vis comica), mentre il secondo gioca sulla capacità incantatrice e fascinosamente diabolica del registro basso (un travolgente «Le veau d’or est toujours debout» dal II atto di Faust). Prosegue la festosa ovazione, ma l’artista congeda il pubblico, che già attende in serata l’ultima replica del Siège de Corinthe.
Non sembri inopportuno – o addirittura impietoso – accostare a quello di Abdrazakov il recital della giovane Margarita Gritskova, mezzosoprano russo di formazione pietroburghese debuttante al ROF con un programma quasi interamente rossiniano di eccezionale difficoltà. Sarà la Gritskova, che nelle credenziali ha già una carriera internazionale dal vasto repertorio (da Idomeneo a Salome, passando attraverso Anna Bolena e Carmen, per intendersi), una futura protagonista del ROF? Oggi è sicuramente troppo presto per dirlo, almeno a giudicare dall’esito del concerto pesarese, decisamente troppo ambizioso, visto che concentra tutte le più complesse arie rossiniane scritte per il registro femminile di mezzo. La voce della Gritskova è abbastanza chiara ma piccola; riesce difficile pronosticarne l’adeguatezza all’interno di un grande teatro e per l’intera durata d’un’opera rossiniana. Le note di passaggio dal centro all’acuto sono ferme e squillanti, ma in zona più alta tale squillo è compromesso; quando azzarda puntature finali – come nel caso della prima aria di Glinka – l’esito è forzato e discutibile. Consapevole delle proprie sonorità, la cantante decide di adattare le arie rossiniane a un’emissione cameristica, favorita anche dal solo accompagnamento di pianoforte; se le smorzature e i pianissimo sono apprezzabili, le agilità risultano invece assai semplificate o – peggio – camuffate da inutili bamboleggiamenti (come accade nel Barbiere); nell’Italiana, poi, si sentono le più stucchevoli leziosaggini della vulgata stilistica rossiniana (smorzature fuori luogo, portamenti eccessivi, smorfiette di ogni tipo). È inevitabile che quando giunga a Cenerentola la Gritskova accusi ormai una certa stanchezza, causa di semplificazioni nelle sequenze di agilità e difetti nell’intonazione (poco aiutata dal pianista Ivan Demidov, anch’egli corrivo agli stessi tipi di errore). La scarsità di colori e di armonici in grado di far vibrare l’emissione fa sembrare ogni brano uguale agli altri, insomma un po’ tedioso. Oltre a quelli glinkiani per solo pianoforte, il numero più godibile è l’aria da Ruslan e Ljudmila. Il pubblico dell’Auditorium Pedrotti è molto generoso nei confronti della giovane artista e non manca di sostenerla con omaggi e prolungate acclamazioni dopo quasi ogni aria. Per questo la Gritskova elargisce un garbato bis fuori programma, dall’aspetto un poco ammiccante di auto-promozione: La fioraia fiorentina (Péchés de vieillesse, I 5) che dice «I più bei fior comprate, / fanciulle amanti e spose: / son fresche le mie rose, / non spiran che l’amor». Foto © ROF