Enzo Dara (Mantova, 13 ottobre 1938 – 25 agosto 2017)
Equivoci sul registro vocale del buffo nell’opera italiana e il pregiudizio che debba obbligatoriamente trattarsi di un basso (mentre esiste una tradizione di baritoni comici sia dell’800′ che del 900′) spiegano un certo disorientamento iniziale – anche come tipo di fonazione – e il relativo ritardo con il quale Enzo Dara ha individuato la propria vocazione. In effetti la sua voce era di colorito chiaro, non molto estesa nel registro grave (dove alcuni suoni sono stati conquistati o rassodati con studi assidui e tenaci), nemmeno estesa in alto; e neppure vantava eccezionale ampiezza di volume o di sqillo. Nondimeno Dara era il buffo di cui si aveva bisogno allorchè si è accentuato il ritorno a Rossini e alle tradizioni del primo Ottocento. Pur essendo chiaramante indirizzato dalla voce, dal temperamento e dall’aspetto fisico, verso le parti cosiddette “caricate”, Dara è stato sempre molto sorvegliato tanto nel fraseggio che nella recitazione. Molto musicale e fantasioso ha saputo sintonizzare oppurtunamente accento, mimica e ritmo scenico. Ma a lui si deve anche il ripristino di schemi praticamente scomparsi. È stato il buffo capace di eseguire il canto d’agilità e, all’occorrenza di trillare. Inoltre ha riportato gli effetti di sillabato alla vertiginosa velocità dei grandi cantanti comici dell’Ottocento. L’aria di Bartolo del Barbiere di Siviglia e in modo precipuo “l’allegro vivace” della seconda parte (“Signorina, un’altra volta”…) ha assurto, nella sua esecuzione, ad autentico prezzo di bravura.