In occasione del 450esimo anniversario della nascita del compositore riproponiamo gli approfondimenti a cura del M° Stefano Aresi.
Dai ‘doppi finali’ alle edizioni anastatiche.
Alcune considerazioni in merito alla tradizione de L’Orfeo ( parte quarta)
Il doppio finale, o sia l’araba fenice (prima parte)
Le stampe Amadino, pur nella loro autorevolezza, sono state talora ritenute in bibliografia come attestanti l’opera in una forma non originariamente voluta da Monteverdi per la rappresentazione del 24 Febbraio 1607.27
Tale assunto deriva dalla oggettiva divergenza del finale riscontrabile tra la versione del testo poetico sottoposto alla musica nelle partiture e quello attestato dalle due emissioni del libretto prodotte dallo stampatore ducale Francesco Osanna in occasione della/e rappresentazione/i mantovane.28 Come noto, il testo a librettosi conclude con l’arrivo in scena (e coro) di un gruppo di Baccanti dopo
l’invettiva di Orfeo contro il genere femminile in Questi i campi di Tracia; la favola con veste musicale prevede invece la discesa in terra del dio Apollo in soccorso del proprio disperato figlio (con conseguente assunzione al Cielo).
Malipiero per primo aveva notato tale scollamento tra l’«originale» (sic) Amadino 1609 e un ignoto esemplare del libretto, deducendo automaticamente l’esistenza di «un coro di baccanti, del quale, purtroppo la musica è andata perduta». A livello divulgativo, infine, è affermata spesso la inferiore qualità dei
versi della scena finale “apollinea” rispetto a quelli della versione “bacchicoorgiastica”.
La divergenza tra libretto e partitura sarebbe la prova assodata, insomma, della presenza di una macrovariante sostitutiva d’autore di matrice monteverdiana, 29 una variante la cui origine verrebbe indicativamente collocata tra il 24 Febbraio e il 1 Marzo 1607 onde adeguare lo spettacolo alle necessità morali di «tutte le dame di questa Città»,30 risparmiando loro il truce spettacolo dello sventramento di Orfeo; oppure, seguendo una ipotesi pur non peregrina, in vista di una terza rappresentazione, mai avvenuta, in occasione della fallita
visita di Carlo Emanuele di Savoia alla città di Mantova per l’inoltrata primavera 1607.31
Fabbri, dal canto suo, sostiene di fatto un’altra diffusa teoriasecondo la quale il finale “apollineo” fu il primo messo in musica da Monteverdi, venendo però cassato per motivi di scenotecnica per la rappresentazione del 24 febbraio 1607, sostituito da quello bacchico, e quindi reintegrato in occasione dell’andata in stampa del lavoro.32
In ogni caso, comunque, si sostiene che dinnanzi all’Accademia degli Invaghiti mai Apollo scese dal Cielo a salvare il figlio, mentre la favola in musica si chiudeva tra le strida delle baccanti.
A conferma cruciale dell’oggettiva validità della questione viene infine riportata la celebre lettera di Francesco Gonzaga al fratello Ferdinando (del 23
febbraio 1607), in cui si afferma: «e perché la favola s’è fatta stampare acciocché ciascuno degli spettatori ne possa avere una da leggere mentre che si canterà, ne mando una copia a V.S.».33
Perché – osservazione legittima –stampare qualcosa che venga letto durante la rappresentazione se esso non corrisponde di fatto a quanto viene rappresentato?
Metodologicamente, leggendo la letteratura specifica, si ha l’impressione che nel corso degli anni, da Malipiero in poi, si sia deciso cosa si dovesse dimostrare a priori (l’esistenza di musica perduta), e si sia provveduto a trovare le pezze giustificative alla teoria da sostenere. La presenza di una variante nel testo poetico (per quanto cospicua) tra libretto e partitura, non dovrebbe onestamente turbare molto i sonni di musicologi adusi a questo repertorio: per certo essa non può essere addotta da sola a riprova dell’esistenza di una variante nella musica. Tutte le “prove” portate a sostegno della tesi di un doppio finale in veste musicale si dimostrano estremamente deboli, vagamente indiziali, e si infrangono, a mio parere, contro una serie di evidenze storiche e logiche poco tenute in considerazione:
a) La natura e la funzione del libretto nella specifica tipologia di spettacolo in questione;
b) La natura e la funzione della stampa Amadino 1609;
c) L’indimostrata ipersensibilità delle dame della città di Mantova;
d) La presenza del lieto fine come debito culturale pagato a uno dei generi che maggiormente influì sulla nascita di quella nuova forma di intrattenimento che a seguito sarà definita dramma per musica e opera;
e) I modelli letterari cui Striggio si ispirò: passibili di modifiche senza suscitare sconcerti eccessivi;
f) L’ipotesi di un fondamento
drammaturgico di matrice aristotelica;
g) L’infondatezza delle giustificazioni basate sulla diversa qualità di testo poetico e sulle questioni spaziali relative alla scena in questione;
h) La presenza di elementi simbolici disseminati in tutto il testo, tali da ben giustificare il finale apollineo nel contesto storicocelebrativo in cui la prima rappresentazione ebbe luogo. Nel prossimo capitolo inizieremo ad analizzare , una ad una, le questioni appena enumerate.
Per gentile concessione di Philomusica on-line
27 La questione è riassunta in modo chiaro da FABBRI (1985), pp. 103-105.
28 Segnalo qui l’esistenza di due differenti emissioni, ma non avendo modo di potere confrontare in modo sistematico tutti gli esemplari sopravvissuti, non è possibile escludere a priori l’esistenza di ulteriori, né riferire il novero completo dei libretti sopravvissuti alle due trascrizioni diplomatiche del frontespizio qui riportate (cui fanno capo rispettivamente l’esemplare conservato presso la Biblioteca Teresiana di Mantova e quello, ben noto, conservato presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna). LA / FAVOLA DI ORFEO / RAPPRESENTATA IN MUSICA /Il Carnevale dell’Anno MDCVII. / Nell’ Accademia de gl’ INVAGHITI di MANTOVA; / Sotto i felici auspizij del Serenissimo Sig. DUCA / benignissimo lor protettore. / [stemma] / In MANTOVA, per Francesco Osanna Stampator Ducale / Con licenza de’ Superiori. 1607. // LA / FAVOLA DIORFEO / RAPPRESENTATA IN MUSICA / Il Carnevale dell’Anno MDCVII. / Nell’ Accademia de gl’INVAGHITI di MANTOVA; / Sotto i felici auspizij del Sereniss. Sig. DUCA / benignissimo lor protettore. / [stemma di differente foggia] / In MANTOVA, per Francesco Osanna / Stampator Ducale. / Con licenza de’ Superiori. 1607. //
29 Tarr, in MONTEVERDI (1974), parla inequivocabilmente di “revisione” (nell’introduzione si
definisce L’Orfeo così come attestato dalle Amadino come revisée, in revidierte Form, in a
revised edition).
30 Cfr. nota 16.
31 FENLON (1986), pp. 17-18.
32 FABBRI (1985), p. 113.
33 I-MAa, AG 2162.