Opera lirica in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart con interventi di Joseph Weigl e Johann Simon Mayr. Carlo Allemano (Tito), Nina Bernsteiner (Vitellia), Kate Aldrich (Sesto), Ann-Beth Solvang (Annio), Dana Marbach (Servilia), Marcell Bakonyi (Publio). Orchestra e coro dell’Academia Montis Regalis, Claudio Chiavazza (maestro del coro), Alessandro De Marchi (direttore). Registrazione: Innsbruck Landstheater, 5, 7, 9 e 11 agosto 2013. 2 CD CPO 777 870-2
La fortuna di Mozart nel XIX secolo è stata spesso legata a revisioni, rifacimenti e pasticci che, partendo dalle esperienze mozartiane, se ne distaccavano in modo più o meno radicale per venire incontro ai mutamenti del gusto. Se in alcuni casi si trattava di veri e propri pastiche che poco avevano a che fare con le opere originarie, in altri rimaneva l’impianto mozartiano, ma modificato e trasformato in più momenti. A questo secondo lotto appartiene la versione viennese de “La clemenza di Tito” andata in scena con grande successo nel 1804. Le modifiche rispetto all’originale mozartiano sono significative, ma non giungono a stravolgere l’essenza dell’opera: si riconoscono alcuni tagli, alcune trasformazioni – come l’aria di Tito “Dal più sublime soglio”, trasformata in un duetto fra questi e Sesto, l’ampliamento di alcuni recitativi e soprattutto la sostituzione di alcuni numeri con altri di nuova composizione. Questo fenomeno riguarda principalmente il ruolo del protagonista: la scelta mozartiana di un Tito chiamato a esprimersi in forme austere e declamatorie – prassi non ignota nella resa delle figure reali nell’opera seria settecentesca – doveva apparire poco attraente per i tenori del nuovo secolo, ormai proiettati verso una nuova era di protagonismo ed è così che tanto sul vecchio libretto quanto su nuovi testi poetici – anonimi allo stato attuale delle conoscenze, ma attribuibili con buona possibilità allo stesso Mazzolà, già autore dell’adattamento per Mozart del testo metastasiano – si dipanano le nuove musiche di Joseph Weigl e Johann Simon Mayr – dal taglio più spettacolare e virtuosistico rispetto agli originali e che vogliono proiettare Tito al ruolo di centro anche vocale della composizione. Si ascoltino “Splende di Roma il fato” di Weigl, che parte da uno spunto mozartiano – il tema della marcia che accompagna l’ingresso dell’imperatore – sviluppato in un autentico pezzo di bravura, e “Non tradirmi in quest’ istante” di Mayr, in cui si ritrova quella struttura tripartita che sarà propria del primo Ottocento italiano con una chiusa brillante che già si configura come una cabaletta con coro, mentre la vocalità, il tipo di coloratura, il gusto per le puntature in acuto aprono già a un gusto che sarà quello delle grandi arie tenorili di Rossini.
La fortuna di Mozart nel XIX secolo è stata spesso legata a revisioni, rifacimenti e pasticci che, partendo dalle esperienze mozartiane, se ne distaccavano in modo più o meno radicale per venire incontro ai mutamenti del gusto. Se in alcuni casi si trattava di veri e propri pastiche che poco avevano a che fare con le opere originarie, in altri rimaneva l’impianto mozartiano, ma modificato e trasformato in più momenti. A questo secondo lotto appartiene la versione viennese de “La clemenza di Tito” andata in scena con grande successo nel 1804. Le modifiche rispetto all’originale mozartiano sono significative, ma non giungono a stravolgere l’essenza dell’opera: si riconoscono alcuni tagli, alcune trasformazioni – come l’aria di Tito “Dal più sublime soglio”, trasformata in un duetto fra questi e Sesto, l’ampliamento di alcuni recitativi e soprattutto la sostituzione di alcuni numeri con altri di nuova composizione. Questo fenomeno riguarda principalmente il ruolo del protagonista: la scelta mozartiana di un Tito chiamato a esprimersi in forme austere e declamatorie – prassi non ignota nella resa delle figure reali nell’opera seria settecentesca – doveva apparire poco attraente per i tenori del nuovo secolo, ormai proiettati verso una nuova era di protagonismo ed è così che tanto sul vecchio libretto quanto su nuovi testi poetici – anonimi allo stato attuale delle conoscenze, ma attribuibili con buona possibilità allo stesso Mazzolà, già autore dell’adattamento per Mozart del testo metastasiano – si dipanano le nuove musiche di Joseph Weigl e Johann Simon Mayr – dal taglio più spettacolare e virtuosistico rispetto agli originali e che vogliono proiettare Tito al ruolo di centro anche vocale della composizione. Si ascoltino “Splende di Roma il fato” di Weigl, che parte da uno spunto mozartiano – il tema della marcia che accompagna l’ingresso dell’imperatore – sviluppato in un autentico pezzo di bravura, e “Non tradirmi in quest’ istante” di Mayr, in cui si ritrova quella struttura tripartita che sarà propria del primo Ottocento italiano con una chiusa brillante che già si configura come una cabaletta con coro, mentre la vocalità, il tipo di coloratura, il gusto per le puntature in acuto aprono già a un gusto che sarà quello delle grandi arie tenorili di Rossini.
In totale i brani aggiunti o riscritti risultano sei, due di Weigl, due anonimi – ma attribuibili con buona verosimiglianza allo stesso Weigl – e due di Mayr.
Proposta dal vivo in occasione dell’edizione 2013 del Festwochen der Alten Musik di Innsbruck, questa edizione splende soprattutto per merito di Alessandro De Marchi, che, alla guida della sua Academia Montis Regalis, fornisce una prestazione di altissimo livello. Fermamente convinto dei valori drammatici oltre che musicali di quest’opera, il direttore piemontese ne fornisce una direzione di trascinante energia e dal passo teatrale irresistibile, ma sempre nitida, chiara, pulita, con linee tese come corde di violino, ma altrettanto trasparenti e rigorose, sostenuto in questa dalla qualità degli strumentisti che pone la compagine monregalese fra i punti di riferimento della scena europea. Una lettura capace di fondere pienamente i richiami a tutta la tradizione dell’opera seria con le improvvise aperture verso il futuro, come le suggestioni quasi pre-beethoveniane del Finale I. Inoltre si nota una particolare cura nella preparazione di tutti i cantanti, percepibile in primis nei recitativi particolarmente curati ed espressivi, anche quando affrontati da cantanti non di madre lingua italiana.
Decisamente più impervia che nella stesura originale, la parte di Tito vede l’ottima prestazione di Carlo Allemano: voce piena e ricca di armonici, con belle bruniture nel registro medio-grave, sicura in acuto e facile e precisa nel canto di coloratura; l’interprete è sempre partecipe, molto espressivo sia nel canto, sia negli importantissimi recitativi, così da fornire una delle letture più compiute che si siano ascoltate del ruolo. Vera rivelazione, almeno per lo scrivente, la Vitellia di Nina Bernsteiner: voce di particolare ampiezza e solidità, ma soprattutto interprete al calor bianco, capace di mordere le linee vocali come di infondere un’imperiosa energia ai recitativi, resi in modo ancor più apprezzabile considerando l’inevitabile mancanza di naturalità con la lingua. Il risultato è una grande Vitellia, degna di un posto fra le maggiori interpreti – non solo odierne – del ruolo.
Decisamente al di sotto si pone il Sesto di Kate Aldrich: musicale, elegante, precisa, ma sostanzialmente leggera per la parte, con una vocalità che si conferma più da soprano corto che da autentico mezzo-soprano e che si ripercuote in una mancanza di corpo che l’accento può compensare solo in parte, specie nei momenti più scoperti e drammatici. Seppure non dotati di mezzi eccezionali, si apprezzano per musicalità, gusto ed eleganza l’Annio di Ann-Beth Solvang e la Servilia di Dana Marbach, mentre il Publio di Marcell Bakonyi compensa qualche problema di dizione con una voce importante come volume, di bel timbro e di buona musicalità.