Mauro Giuliani: La rose, op. 46 n. 9; Fernando Sor: Grand solo, op. 14; Johann Kaspar Mertz: An Malvina; Élégie; Napoléon Coste: Caprice sur l’air Espagnole “La Cachucha”, op. 13; Mauro Giuliani: Rossiniana, op. 119; Fernando Sor: Variations sur l’air “Malbrough s’en va-t-en guerre”, op. 28; Giulio Regondi: Rêverie nocturne, op. 19; Introduction et caprice, op. 23; Franz Schubert: Lob der Tränen (trascr. J. K. Mertz). Giancarlo Dipierro (chitarra). Registrazione: MAST Music Academy, marzo 2016 / febbraio 2017, 1 CD.
Nella pittura barocca compaiono spesso sontuose composizioni floreali, in cui la fantasia dell’artista pare sbizzarrirsi nell’accostamento di rose, gigli, viole, peonie, giacinti, e infinite altre varietà; le si classifica solitamente come “nature morte”, quasi non sapessero rendere anche più che dal vivo i colori, la consistenza, e soprattutto i molteplici simboli che lo splendore di ogni fiore racchiude in sé. Lo stesso accade in letteratura e in musica, allorché uno scrittore o un compositore vogliano proporre il meglio di una tradizione, scegliendo “fior da fiore” in un repertorio, e creando un’antologia – appunto, ‘raccolta di fiori’ – significativa. Quando Mauro Giuliani elaborò la Choix de mes fleurs chéries per chitarra sola, era ben consapevole della ricchezza di opportunità stilistiche che il suo strumento gli offriva; da voce del popolo a traduttrice delle più raffinate musiche di teatro, la chitarra nel primo quarto dell’Ottocento si era trasformata, sino a raggiungere una dignità inimmaginabile soltanto pochi decenni prima. Che Giuliani decidesse di comporre una ghirlanda di fiori chitarristici, dimostrava che lo strumento già poteva disporre di un ampio deposito di collaudate sperimentazioni, da cui trascegliere le più apprezzate o le più sofisticate. Nacque così l’immancabile Rose, dal nome del fiore per eccellenza, che ora dà anche il titolo allo squisito disco del chitarrista Giancarlo Dipierro. “Una rosa è una rosa è una rosa …” diceva Gertrude Stein, per scoraggiare qualunque fondata pretesa mimetica della realtà nell’arte e per ricordare che, in fondo, le cose sono essenzialmente quello che sono, anche nella loro povera concretezza; ma con i fiori di Giuliani l’ascoltatore si ritrova tra neoclassicismo e romanticismo, si vorrebbe dire tra Rossini e Beethoven, a giudicare da come il delicato lirismo floreale sappia tramutarsi nella stilizzazione delle melodie del melodramma. Giuliani è del resto conosciutissimo proprio per aver anticipato di alcuni decenni le riduzioni pianistiche delle opere di metà Ottocento; e lo ha fatto con uno strumento assai di rado impiegato sulle scene teatrali. Come su ispirazione di Giuliani, Dipierro ha voluto confezionare un programma interamente centrato sulla chitarra dell’Ottocento europeo: due generazioni di artisti, in pratica, se si considera che il francese Napoléon Coste, morto nel 1883, fu allievo del catalano Fernando Sor (morto nel 1839, soltanto dieci anni dopo Giuliani) e risulta il compositore più “recente” della raccolta. Gli altri autori presenti sono Johann Kaspar Mertz (1806-1856), la cui Élégie costituisce un manifesto del romanticismo chitarristico, e Giulio Regondi (1822-1872), uno sperimentatore di nuove tecniche, ammirato da Paganini e da Sor: Introduction et Caprice, come scrive lo stesso Dipierro nella presentazione dei brani «è una delle pagine ottocentesche tecnicamente più impegnative mai scritte per chitarra». Il disco si chiude nel nome di Schubert: Lob der Tränen è un Lied tratto da Die Schwanengesang, trascritto per chitarra da Mertz.
Dipierro è un artista pluripremiato, dalla formazione internazionale e composita: oltre che diplomato in chitarra e specializzato nel repertorio ottocentesco su strumenti d’epoca, è anche laureato in lingue e letterature straniere, con una tesi di Peter Maxwell-Davies. La chitarra costruita nel 2015 dal liutaio praghese Jan Tulácek su modello di una Stauffer del 1800 è lo strumento impiegato per l’esecuzione di La Rose: sotto le dita di Dipierro il suono si dispiega ora con vellutata delicatezza ora con incisiva drammaticità, dimostrando molto bene le possibilità espressive dello strumento. L’elegia, la disperazione, il virtuosismo, la malinconia, la foga della passione: nell’esecuzione di Dipierro c’è, davvero, tutto l’Ottocento, e il melomane gode ad ascoltare la Rossiniana di Giuliani con gli struggenti temi dell’Otello e le variazioni sull’Italiana in Algeri. Ma, oltre all’accostamento con le altre, ogni pagina si apprezza di per sé, anche e soprattutto quando la scrittura chitarristica non si deve né a parafrasi né a trascrizione; è il caso di Rêverie nocturne di Regondi, in cui Dipierro si disimpegna bene nel difficile tremulo a tre dita e negli accenti appassionati di una meravigliosa “musica notturna”, che non ha bisogno di comparazioni o paralleli: pura espressione romantica nata per la chitarra sola.
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