Venezia: Concerto dell’Orchestra Filarmonica del Teatro La Fenice con Riccardo Frizza e Benedetto Lupo

Venezia, Teatro La Fenice
Orchestra Filarmonica del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Pianoforte
Benedetto Lupo
Michail Ivanovič
Glinka: Ouverture daRuslan e Ludmilla”
Maurice Ravel: Concerto in sol per pianoforte
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Venezia, 5 giugno 2017

Nuova splendida affermazione per l’Orchestra Filarmonica della Fenice – reduce da una fortunata tournée in Svizzera – guidata da uno dei più promettenti direttori italiani, Riccardo Frizza, alle prese con un programma alquanto vario, che spaziava dall’Ouverture da Ruslan e Ludmilla di Glinka – che rimanda alla nascente scuola nazionale russa nel primo Ottocento romantico – al tardo romanticismo della Quinta sinfonia di Čajkovskij, fino alle arditezze linguistiche del Concerto in sol per pianoforte di Ravel – uno dei compositori più geniali e sensibili del Novecento –, che aveva come solista uno dei talenti più interessanti nel panorama musicale italiano: il pianista barese Benedetto Lupo.
L’
Ouverture da Ruslan e Ludmilla è la pagina più conosciuta dell’opera – rappresentata in prima assoluta a San Pietroburgo nel 1842 –, che insieme alla precedente, Una vita per lo zar, dello stesso Glinka rappresenta una pietra miliare nel processo di formazione del teatro musicale nazionale russo, che fu avviato, all’inizio dell’Ottocento, dal veneziano Catterino Cavos, trapiantato giovanissimo a San Pietroburgo, dove compose, tra l’altro, un’opera, Ivan Susanin, da cui Glinka prese spunto per Una vita per lo zar, non a caso basata sulle gesta dello stesso Susanin, eroe nazionale in terra di Russia. Brillante e nitida è risultata la lettura che ha offerto il maestro Frizza dell’ouverture del Ruslan – che come tutta l’opera fonde mirabilmente elementi del folklore russo con l’influenza di Weber e Rossini –, facendo emergere con dovizia di colori tutta la prorompente vivacità, che caratterizza fin da principio questo brano, in cui gli archi acuti sono spesso impegnati in rapidissime successioni di note.
Assolutamente straordinaria è stata l’esecuzione del concerto di Ravel – un lavoro progettato nel 1929 e portato a termine nel 1931 –, dove hanno brillato, oltre al solista, anche singoli strumenti e singole sezioni dell’orchestra, a rendere lo spirito di questa musica – ricca di spunti tematici stilisticamente eterogenei, che spaziano dal folklore francese e iberico al mondo del jazz –, di cui lo stesso compositore sottolineò, in una dichiarazione, i tratti brillanti e sereni: una musica volutamente lontana dal carattere drammatico e contrastato del concerto romantico, pur restando all’interno del classico modello della forma-sonata e, per certi versi, guardando alla chiarezza mozartiana. Benedetto Lupo ha affrontato i passaggi più esuberanti e pirotecnici di questo lavoro con tocco cristallino e brillante; un tocco che diveniva morbido e trasparente negli squarci di tenue malinconia. Il solista ha intessuto con l’orchestra – che sapeva corrispondergli rendendo appieno ogni raffinatezza, ogni colore creato da quel vero mago dell’orchestrazione che era Ravel – un dialogo serrato, in cui solista e strumentisti – complice il direttore – respiravano insieme. Successo trionfale, in particolare per il pianista, che ha concesso un fuoriprogramma raveliano: la
Pavane pour une infante défunte, eseguita con giusto accento patetico, ma senza sdolcinature, mandando in estasi la platea.
Un orchestratore raffinato e originale fu certamente anche Čajkovskij, che oltre a questo poteva vantare, come pochi compositori, una ricca vena melodica, attestata anche dalle sue partiture sinfoniche. Le prime quattro sinfonie sono ancora influenzate dalla nuova scuola nazionale russa: tra esse, la quarta è legata alla celeberrima
Quinta di Beethoven per il comune Tema del Destino, come chiaramente recita il relativo programma scritto dall’autore. Ma il Tema del Destino – testimoniato questa volta solo da scarni appunti di Čajkovskij – domina anche nella sinfonia successiva – composta rapidamente tra il maggio e l’agosto del 1888, dopo un periodo di depressione e stasi creativa –, in cui si coglie una rinnovata attenzione verso la forma-sonata, nonché un linguaggio più “europeo” e la presenza, in tutti e quattro i movimenti, di un’idea tematica ciclica – quella del Destino, appunto – analogamente a quanto fa Berlioz nella Symphonie fantastique con la sua ricorrente idée fixée. L’interpretazione che ne ha offerto Riccardo Frizza si segnala per la sontuosità del suono, in particolare nel concitato e sonoramente denso Finale, dove la prospettiva pessimistica, che domina diffusamente in precedenza, sembra lasciare spazio a un clima più sereno, culminante in un’esplosione di colori e di gioia nella trionfale coda, che si fonda sul motto iniziale, perorato da enfatici squilli di tromba all’unisono, per quanto questo lieto fine non riesca a convincere del tutto e, anzi, molti critici abbiano ravvisato in questo movimento una certa dose di falsità e di magniloquenza. Superba è risultata l’orchestra – particolarmente per quanto riguarda le parti solistiche – nello splendido Andante cantabile, con alcuna licenza, uno dei vertici del sinfonismo cajkovskiano: dal primo corno, che, sorretto dagli archi gravi, ha suonato con sensibilità e padronanza tecnica, una lunga melodia nobile e patetica; all’oboe, che successivamente ha dialogato con il corno, proponendo una nuova melodia; al clarinetto che ha intonato un canto ancora nobilmente malinconico, poi ripreso dagli archi, improvvisamente interrotto dall’irruzione del tema ricorrente, affidato alle trombe e poi riproposto con cupezza e violenza dai tromboni. Un vero trionfo ha salutato la fine dell’esecuzione: tributato al maestro e all’orchestra.