Staatsoper Stuttgart, Stagione Lirica 2016/2017
“PIKOVAJA DAMA” (La Dama di Picche)
Opera in tre atti e sette quadri su libretto di Modest Il’c Tschaikovsky dal racconto omonimo di Alexander Pushkin.
Musica di di Pëtr Il’ic Tschaikowsky
Hermann ERIN CAVES
Conte Tomsky VLADISLAV SULIMSKY
Principe Jeletsky SHIGEO ISHINO
Tchekalitsky TORSTEN HOFFMANN
Sourin DAVID STEFFENS
Tschaplitzki GERGELY NÉMETI
Narumov MICHAEL NAGL
La Contessa HELENE SCHNEIDERMAN
Lisa REBECCA VON LIPINSKY
Polina STINE MARIE FISCHER
La Governante MARIA THERESA ULLRICH
Mascha YUKO KAKUTA
Orchestra e Coro della Staatsoper Stuttgart
Direttore Sylvain Cambreling
Maestro del Coro Johannes Knecht
Regia e Drammaturgia Jossi Wieler, Sergio Morabito
Scene e Cortumi Anna Viebrock
Luci Reinhard Traub
Stuttgart, 11 giugno 2017
Il quinto e ultimo nuovo allestimento della stagione che si sta per concludere alla Staatsoper Stuttgart era Pikovaja Dama, l’ ultimo capolavoro operistico di Tschaikowsky che per quest’ opera prese spunto dall’ omonimo racconto di Alexander Pushkin in cui viene narrata, con un linguaggio freddamente clinico, una tragica storia di degenerazione psichica causata dall’ avidità legata al vizio del gioco. Insieme al fratello Modest, che aveva realizzato il libretto, la concezione drammaturgica di Tchaikovsky modificò l’ impianto originario della vicenda letteraria trasferendone il baricentro dall’ avidità all’ amore: il protagonista può coronare il suo sogno soltanto diventando ricco ma il destino avverso lo condanna tramite una catena implacabile di avvenimenti che evidenziano il progressivo addensarsi di un vortice senza scampo. Stilisticamente parlando, la struttura dell’ opera presenta elementi derivati dalle più recenti esperienze del teatro lirico francese tradotti musicalmente in una partitura che è uno tra i migliori esempi dello stile maturo di Tschaikowsky nella sua perfetta costruzione basata sullo sviluppo di quattro temi fondamentali enunciati nel Preludio, tra cui si evidenziano in particolare la melodia russa che apre la prima scena, l’ossessivo tema delle carte e il motivo dell’amore di Hermann e Lisa, caratterizzato da cromatismi che esprimono un’ ansia quasi tristaneggiante. Si tratta di un’ opera che costituisce senza alcun dubbio uno degli esempi più completi e maturi nel panorama del teatro musicale di fine Ottocento e che al di fuori della Russia non ha mai conosciuto una fortuna esecutiva pari al suo valore.
La concezione drammaturgica dell’ allestimento di Jossi Wieler e Sergio Morabito si basa fondamentalmente sull’ evidenziazione della follia schizofrenica che caratterizza il mondo in cui agisce il protagonista, rinunciando completamente al decorativismo settecentesco descritto in molte scene del libretto. L’ impianto scenico e i costumi di Anna Viebrock ci mostrano uno spaccato del degrado e della degenerazione morale che caratterizzavano per molti aspetti la vita del popolo russo nei primi anni dell’ età postsovietica. Una recitazione individuale curatissima e una perfetta coordinazione nei movimenti delle masse sono le caratteristiche fondamentali di uno spettacolo molto convincente per la coerenza e il rigore dell’ analisi, come quasi sempre accade nelle produzioni dei due registi. In perfetta sintonia con la parte scenica, la direzione musicale di Sylvain Cambreling mostrava i suoi maggiori pregi nella lucidità di analisi musicale e nella raffinatezza delle sfumature. Quella del maestro di Amiens non è una lettura al calor bianco e di espressività lacerata come quella di Valery Gergiev ma piuttosto esprime l’ evidenziazione serrata in un destino che progredisce in maniera implacabile con un graduale accumularsi della tensione, in una concezione d’ insieme lodevole per coerenza e senso del racconto, realizzata in maniera eccellente da un’ orchestra e da un coro al massimo delle loro possibilità.
Per quanto riguarda la compagnia di canto, la coppia dei protagonisti non è sembrata completamente all’ altezza delle difficoltà presentate dai ruoli. Quella di Hermann è una parte vocalmente assai faticosa, tanto che spesso questo personaggio viene definito come l’ Otello russo per l’ impegno richiesto al cantante. Il tenore californiano Erin Caves ha una voce abbastanza squillante nelle note acute ma non possiede quella percussività nel declamato che sarebbe necessaria in molte scene dell’ opera per delineare la personalità fosca e contorta del protagonista. Anche la parte di Lisa è vocalmente molto impegnativa per la densità orchestrale che la cantante è chiamata a superare in molte scene e il soprano inglese Rebecca Von Lipinsky, lodevolissima dal punto di vista della presenza scenica, ha mostrato uno strumento mancante di sostanza nei centri e con poca punta in alto. Sicuramente molto migliori sono apparse le prestazioni dei due baritoni. Vladislav Sulimsky ha cantato con morbidezza, buon legato e ottime intenzioni interpretative i due monologhi di Tomsky mentre Shigeo Ishino ha reso con una bella affettuosità di fraseggio l’ aria del principe Jeletski mostrando inoltre una bella efficacia scenica nel delineare la compostezza gelida del personaggio in altre scene, soprattutto nel terzo atto. Lodevoli anche le prestazioni di Torsten Hoffmann (Tchekalitsky) David Steffens (Surin), Gergely Németi (Tschalipitzky) e Michael Nagl (Narumov). Tra le altre interpreti dei ruoli femminili, molto brava anche Stine Marie Fischer, una tra le migliori giovani voci della Staatsoper, che ha cantato il celebre duetto con Lisa e la canzone di Polina mettendo in mostra un bel colore vocale e grande vivacità nel fraseggio. Efficaci anche la Governante di Maria Theresa Ullrich e la Mascha di Yuko Kakuta. Per quanto riguarda il ruolo della Contessa, la Staatsoper Stuttgart ha voluto rendere un omaggio a Helene Schneiderman, una delle voci più illustri dell’ ensemble che è stata protagonista di pagine importanti nella storia del teatro. Nella concezione scenica di Wieler e Morabito, la Contessa è una donna dagli atteggiamenti quasi richiamanti la Gloria Swanson di Sunset Boulevard nel suo voler ancora apparire seducente a dispetto dell’ età avanzata. La Schneiderman, che recentemente ha esordito al Metropolitan come Annina nel Rosenkavalier, ne ha dato un ritratto scenico splendido per efficacia, intonando la celebre aria sul motivo di “Je crains de lui parler la nuit” dal Richard Coeur de Lion di Gretry trasposto in minore una quarta sotto, con una pronuncia francese impeccabile e un fraseggio splendido per intensità di tono. Una prestazione che costituisce un perfetto esempio di quel detto in voga tra la gente di teatro, secondo il quale non esistono grandi e piccoli ruoli ma soltanto grandi e piccoli artisti. Teatro esaurito e successo intensissimo, con lunghi applausi per tutti. Foto A. T. Schaefer