Opera di Firenze, Cortile di Palazzo Pitti – Stagione estiva 2017
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal romanzo “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry CLAUDIA PAVONE
Flora Bervoix ANA VICTÓRIA PITTS
Annina MARTA PLUDA
Alfredo Germont ALESSANDRO SCOTTO DI LUZIO
Giorgio Germont MARCELLO ROSIELLO
Gastone RIM PARK
Barone Douphol DARIO SHIKHMIRI
Marchese d’Obigny QIANMING DOU
Dottor Grenvil CHANYOUNG LEE
Giuseppe LEONARDO MELANI
Un domestico di Flora NICOLÒ AYROLDI
Un commissionario NICOLA LISANTI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regia Alfredo Corno
Scene Angelo Sala
Costumi Alfredo Corno, Angelo Sala
Luci Alessandro Tutini
Coreografia Lino Privitera
Allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 18 giugno 2017
Aspettando la “trilogia popolare”, prevista al termine della prossima stagione lirica, riprendono le riprese de “La traviata” al Teatro 5 di Cinecittà. Tutto visto e tutto secondo copione, si sarebbe potuto pensare, invece la regia esordisce con la proiezione di un corteo funebre, che procede a marcia indietro, trasmettendo bene l’idea di quello svolgimento “a ritroso” a cui Verdi aveva pensato nella composizione del preludio. Maggiore è anche l’aderenza al clima decandente del dramma di Dumas, tangibile nella scena in cui due dame aiutano Violetta a liberarsi degli orpelli della festa. Quella a cui assistiamo è, infatti, una versione sagacemente riadattata dell’allestimento felliniano nato per la scorsa estate (si rimanda alla recensione di Filippo Bozzi per maggiori dettagli), che ci sorprende con almeno una novità per atto. Nel secondo, ad esempio, la casa di campagna trova un nuovo sfondo, permettendo ad Alfredo di passeggiare nervosamente mentre all’interno si conclude il confronto tra soprano e baritono, l’avvento della morte è maggiormente incombente, così come più espliciti sono i rimandi al tema del denaro, vero mezzo di offesa e di annientamento. Le sorprese non mancano neppure alla festa a casa di Flora, che è un tripudio di nuovi movimenti coreografici, dove stavolta due personaggi corrono in sostegno della giovane, creando quel ponte tra il vorticoso universo di Fellini e la vicenda in atto che sfuggiva nella precedente messa in scena. Infine, sarà proprio la fontana del Carciofo, illuminata a regola d’arte, a costituire l’unico rimando al carnevale parigino.
Sotto i riflessi di un cielo stellato, non brillava di luce propria la Violetta di Claudia Pavone, sopraggiunta in locandina in seguito al forfait di Jessica Nuccio. Il giovane soprano (classe ’88) è in primis un’abile attrice, a dire il vero più a suo agio nei maliziosi atteggiamenti cortigiani che nei primi sintomi della tisi, tirata in ballo all’ultimo con discreto coinvolgimento emotivo. È però la voce ad essere poco versatile, perché la maggiore premura è quella di mantenere morbida la proiezione, alla luce di un registro grave che risuona naturale ma debole e di uno acuto da consolidare. Sfuggente sui tesi vocalizzi che conducono ai do del “Sempre libera”, la salita al mi♭ rimane un obiettivo non centrato e numerose sono le apprensioni sui passi di coloratura, dove qualche nota le scappa di mano. Un po’ immaturo è anche il taglio lirico del secondo atto, perché il grazioso modo di porgere ed un pianissimo isolato sul “Dite alla giovane” non bastano a colmare il vuoto di un ventaglio cromatico troppo ristretto. Superato un “Amami, Alfredo” coinciso e dalla fonazione compatta, il soprano si esprime al meglio nei filati della romanza, di accresciuta ricchezza timbrica, ma si tratta di tessere a cui ancora manca il supporto di un quadro unitario. In ombra pure l’Alfredo di Alessandro Scotto di Luzio, dedito ad una linea di canto minimalista e disomogenea. Del resto la voce è piccola, perde di fibra sugli acuti e non è corredata da una solida tecnica emissiva, lasciandogli poco margine anche nel fraseggio. Sono pochi i momenti in cui il timbro trova colori più coinvolgenti ed il precario equilibrio del primo atto s’infrange nell’aria del secondo, dove l’impostazione vocale è all’indietro, i suoni si fanno più fissi ed il sostegno viene meno, perché tutta l’attenzione è rivolta alle temute puntature della cabaletta ed all’impreciso do conclusivo. Ne esce un personaggio monocorde e disinteressato, ma che si lascia apprezzare nell’inedito intervento dal fuori scena, amplificato dalle volte di palazzo Pitti. A confronto con i due interpreti principali, il perfettibile Germont di Marcello Rosiello è alla fine quello che ne esce meglio. Certo, la voce non è sempre ferma e qualche volta manca d’appoggio, molti assottigliamenti rasentano l’emissione nasale e su qualche nota di centro la proiezione è meno nitida; tuttavia il timbro è autorevole e capace d’introspezione, il che mette in risalto il cordoglio di certe frasi e lo induce a dissuadere con cognizione il soprano. Come su tutti i set che si rispettino, ciascuno dei ruoli secondari recitava la propria parte, a partire dai comprimari Qianming Dou (Marchese dal timbro netto e scuro), Marta Pluda (cordiale Annina) e Dario Shikhmiri (Barone intrepido e dall’emissione morbida), fino alle comparse di Nicola Lisanti (Commissionario in grado di fraseggiare con gusto), Chanyoung Lee (mesto Dottore) e Nicolò Ayroldi (risonante servitore di Flora). Meno convincenti i due tenori secondari, impersonati dal flebile e generico Gastone di Rim Park e dall’ingrigito Giuseppe di Leonardo Melani, mentre una menzione di merito va alla prova di Ana Victória Pitts, che fa della sua Flora una donna di grande presenza scenica, ben timbrata e vocalmente solida, sia nella scioltezza delle agilità che nella padronanza del contrappunto. A dispetto della calda serata fiorentina, Sebastiano Rolli opta per una direzione rapida e fresca, con qualche rallentamento più pronunciato nelle scene col coro di Lorenzo Fratini, impegnato in coreografie condotte con brio e professionalità, senza mai perdere di coesione o di precisione esecutiva. Sebbene alcuni scollamenti col palco siano difficilmente evitabili, il maestro si dimostra sensibile alle esigenze dei cantanti, mantenendo le intensità al di sotto del mezzo forte e cadendo giusto in qualche stretta strappa applauso di troppo, gradita ai turisti. Gli intenditori rimangono, forse, un po’ in credito di escursioni dinamiche più approfondite e di certo in teatro si sarebbe adottata ben altra scala di valutazione, ma tutto sommato Rolli sembra aver capito cosa significhi dirigere all’aperto e con un cast da non svantaggiare, il che è stato di fondamentale importanza per rendere più fruibile l’esecuzione. In risposta alla discontinuità della rappresentazione, quando a mezzanotte inoltrata si sono riaccese le luci, i pareri del pubblico sono stati discordanti: c’era chi propendeva per l’ovazione in favore della giovane protagonista e chi, invece, la poltrona l’aveva già abbandonata da tempo. Che dire, se l’obiettivo era quello di offrire delle recite di sostentamento, rivolte anche ad un lauto contingente di turisti, sicuramente lo scopo è stato raggiunto; peccato, però, che un titolo di tale spessore ed una location decisamente inusuale non abbiano potuto vantare un livello esecutivo altrettanto elevato. Foto Simone Donati