Madrid, Auditorio Nacional de Música – ¡Solo Música! 2017
“NUEVE NOVENAS”
Orquesta Sinfónica de Madrid
Orquesta de la Comunidad de Madrid
Orquesta Sinfónica Radiotelevisión Española
Orquesta Nacional de España
Joven Orquesta Nacional de España
Coro Nacional de España
Direttore Víctor Pablo Pérez
Soprano Raquel Lojendio
Mezzosoprano Marina Rodríguez Cusi
Tenore Gustavo Peña
Baritono David Menéndez
Franz Joseph Haydn: Sinfonia n. 9 in do maggiore Hob. I/9
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 9 in re minore, per soli, coro e orchestra op. 125
Ramón Garay: Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore
Franz Schubert: Sinfonia n. 9 in do maggiore “La grande” D 944
Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia n. 9 in do maggiore K 73/75a
Anton Bruckner: Sinfonia n. 9 in re minore WAB 109 (ed. Nowak, 1951)
Dmitri Shostakovich: Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70
Antonin Dvořak: Sinfonia n. 9 in re minore “Dal nuovo mondo” op. 95, B 178
Gustav Mahler: Sinfonia n. 9
Madrid, 24 giugno 2017
Haydn, Beethoven, Garay, Schubert, Mozart, Bruckner, Shostakovich, Dvořak, Mahler: nove compositori, tutti autori di una sinfonia numerata con il “9” all’interno dei loro cataloghi; e dunque nove none sinfonie distribuite in cinque concerti lungo un solo giorno. Cinque orchestre diverse, un solo direttore protagonista della “maratona musicale” del ciclo “Solo Música”, giunto alla quarta edizione, per festeggiare la giornata mondiale della musica, 24 giugno, in modo meraviglioso. Questa non è la recensione di un ciclo di concerti, ma la cronaca sintetica di una giornata di eccezionale densità; una giornata di gioia, vissuta nel nome dell’arte musicale e della civiltà occidentale; o meglio, del senso di una civiltà perenne, capace di guardare al futuro con l’esperienza sempre rivissuta del passato. Si resta stupefatti e ammirati – occorre riconoscerlo – a considerare la collaborazione di istituzioni tanto differenti, unite in un progetto così coerente, brillante, fortunato; nella stessa sala dell’Auditorio Nacional de Música di Madrid convergono infatti un’orchestra cittadina, una regionale e tre nazionali, tutte e cinque con sede nella capitale (questa la situazione di oggi; scusate se è poco), per alternarsi nell’offerta di quasi duecento anni di storia del genere più amato e più complesso nella musica strumentale: la sinfonia. Non si tratta di una corsa all’evento commerciale, ma di un autentico festival; anziché con il giubilante coro finale della IX di Beethoven, il programma è stato pianificato in modo molto più razionale e ugualmente affascinante; quasi sempre è determinante la cronologia delle varie composizioni, per quanto consentito dagli inevitabili accoppiamenti di partiture all’interno dello stesso concerto.
Massimo Mila aveva coniato per Wilhelm Furtwängler l’epiteto di sinfoneta, instancabile esploratore del repertorio sinfonico, come se si trattasse di un “maratoneta del podio”. Il protagonista del programma madrileno è sicuramente un sinfoneta, un artista che le riviste musicali spagnole definiscono “forgiatore di orchestre” per l’annosa esperienza nella conduzione di numerosi complessi (dall’Orquesta Sinfónica de Asturias a quella di Tenerife, da quella di Galicia all’Orquesta y Coro de la Comunidad de Madrid): è Víctor Pablo Pérez, un giovanile sessantatreenne nativo di Burgos, sorridente e pacato, colui che tiene le redini dell’impressionante galoppata di “Solo Música”.
Ore 10.30: “Novenas en la calle”. Sulla grande piazza di fronte all’Auditorio, mentre il pubblico si assiepa e attende di entrare per il primo concerto (biglietti esauriti, come per i due in orario serale) il gruppo di ottoni della Joven Orquesta Nacional de España esegue all’aperto una serie di fanfare, su motivi ispirati alle nove sinfonie che si avvicenderanno nella giornata. Gli squilli che alludono a compositori e temi famosi danno subito allegria e toccano il cuore; sembra di essere a Bayreuth, nel momento in cui gli ottoni richiamano imperiosamente all’opera; qui tutto è più festoso e famigliare, ma funziona con la stessa efficienza: chi entra può dirigersi alla sala sinfonica, oppure a quella da camera dove un’altra maratona sta per iniziare (le nove sinfonie beethoveniane trascritte per pianoforte da Franz Liszt ed eseguite da cinque diversi pianisti) oppure attendere le improvvisazioni jazzistiche sulle nove sinfonie, in altri spazi dell’Auditorio.
Ore 11.00: Haydn (1762) & Beethoven (1824). Pérez giunge in completo nero e cravatta verde pastello. È curioso che l’intensa giornata musicale prenda avvio in modo tanto discreto e garbato, grazie ad Haydn e alla sua leggerezza, tutt’altro che scontata o semplice. Dalla consueta struttura, rapida ma non sintetica, il direttore sceglie di eseguire questa prima nona con ritmi decisamente equilibrati. Anche il I movimento beethoveniano (Allegro ma non troppo, un poco maestoso) conferma un’apprezzabile attenzione di Pérez per la pulizia e la pacatezza della sonorità. Specialmente nelle fasi di passaggio, quando la tessitura si allarga ed escono allo scoperto voci singole ed elementi individuali, il direttore cura la conservazione dell’ordine e il dettaglio formale. Non sempre, nei momenti più trascinanti e massivi, il controllo della Orquesta Sinfónica de Madrid è perfetto. Il timpano, per esempio, rivendica un ruolo protagonistico anche quando non sarebbe strettamente necessario. Una sorta di “enfasi misurata” potrebbe essere la cifra sintetica della direzione di Pérez; ed è interessante notare come, in un’occasione tanto divulgativa e popolare, il direttore non abbia voluto trasformare l’esecuzione in una sequenza rutilante, fragorosa, incalzante dall’inizio alla fine. Non è un caso se il movimento più bello sia il III (Adagio molto e cantabile). Il quartetto vocale è interamente di scuola e carriera spagnola: l’elemento più interessante il baritono David Menéndez; gli altri sono Raquel Lojendio (soprano), Marina Rodríguez Cusi (mezzosoprano), Gustavo Peña (voce tenorile dalle risonanze fortemente nasali). Ma protagonista del finale è senza dubbio il Coro Nacional de España, come sempre all’altezza di ogni partitura che affronta. Il pubblico madrileno lo adora, e anche questa volta gli dimostra tutto il suo affetto; del resto, la giornata non avrebbe potuto aprirsi che con un trionfo, di buon auspicio per tutta la serie degli appuntamenti a seguire.
Ore 13.30: Garay (1817) & Schubert (1825). Víctor Pablo Pérez ricompare in impeccabile frac per la seconda tappa del viaggio. Questa volta dirige il complesso di cui è dal 2013 direttore artistico e titolare, la Orquesta de la Comunidad de Madrid. Doveva pure comparire un compositore spagnolo nel programma dominato dall’area germanica! L’asturiano Ramón Garay (1761-1823) provvede perfettamente, in quanto autore di dieci sinfonie, composte a cavallo tra Sette- e Ottocento con molta perizia tecnica. La sorpresa è assai piacevole, perché sembra di ascoltare un Haydn più serioso del solito, ma che nel corso dei movimenti si fa più amabile e gioviale, divertendosi perfino con i virtuosismi degli ottoni nel finale. In Schubert lo stile esecutivo di Pérez, pacato ed equilibrato nei tempi e nelle sonorità, sembra trovare la sua applicazione perfetta; sin dalla metà del I movimento (Andante – Allegro, ma non troppo – Più moto), scatta però un contrasto ritmico inatteso quanto efficace. Il direttore dimostra più affiatamento con questo ensemble rispetto al precedente (come segnalano anche le disinvolte anticipazioni del suo gesto): sono di grande raffinatezza, per esempio, gli incisi della tromba nell’Andante con moto e il pedale degli archi nello Scherzo; tuttavia, a qualche strumentista sfugge talvolta il controllo dell’intonazione, sicché l’esecuzione non è sempre limpida. Il pubblico, comunque, apprezza moltissimo.
Ore 17.00: Mozart (1772) e Bruckner (1887-1896). In una giornata come questa, si sarebbe portati a credere che la IX sinfonia di Bruckner rappresentasse la difficoltà maggiore, sia per il direttore sia per il pubblico. E invece no: dopo il Mozart compatto, brunito, malinconico, è un suono di stupenda omogeneità quello che promana dai primi accordi del Feierlich, misterioso, che da subito affascina gli ascoltatori. La Orquesta Radiotelevisión Española si presenta elegantissima: in frac tutti gli elementi maschili e in abito lungo nero quelli femminili. Il gesto direttoriale di Pérez si fa più ampio, ma resta sempre sorvegliato; a volte l’abbrivio appare un po’ troppo agile rispetto alle conquiste della recente tradizione bruckneriana, sebbene i tempi fluidi di Pérez siano sempre coerenti e perfettamente funzionali all’occasione. Lo Scherzo (Bewegt, lebhaft) è un capolavoro di accentuazione, che alterna la magniloquenza della prima parte al lirismo vivissimo e palpitante del trio. Se anche nell’Adagio (Langsam, feierlich) gli ottoni restano impeccabili, gli archi si distinguono per la duttilità: lontani dall’ottenere un suono sempre compatto, rispondono in ogni caso bene alle richieste agogiche del direttore. Niente è più emozionante di quando, dopo l’ultimo accordo dello stesso Adagio, il direttore tiene a lungo sospese le mani, come se invitasse a riflettere sull’incompiutezza della sinfonia. Il pubblico capisce e rispetta la riflessione, tardando a liberare un applauso energico e commosso.
Ore 19.30: Shostakovich (1945) & Dvořak (1893). Le risorse stilistiche di Víctor Pablo Pérez sono tanto inesauribili da permettergli di trascorrere da Bruckner a Shostakovich senza alcuna esitazione, e con una pienezza interpretativa davvero sorprendente. Del resto – va riconosciuto – può contare sul migliore complesso strumentale di tutto il paese, la Orquesta Nacional de España. Ancora una volta, è negli adagi e nelle sezioni lente che offre il meglio: la resa estenuata degli archi, al pari di tutti gli effetti grotteschi (all’inizio anche comici) è perfetta. Molto ben riuscito il carattere dolente del Largo, in netto e divertente contrasto con il carattere cialtronesco dell’oboe doppiato dagli archi. Che dire del folgorante finale, tutto circense? Il direttore si abbandona a una danza frenetica sul podio (sembra quasi un’altra persona) e l’orchestra risponde adeguatamente, provocando un’esplosione di gioia nel pubblico. Molto suggestivo l’attacco di Dvořak in piano con i violoncelli soli, subito seguito dal corno, squillante e capace di sfumature. La cura dei tempi, il dettaglio dei ritenendo, la capacità di rilasciare un pianissimo: tutto rimarca la presenza di una grande orchestra, completamente a suo agio con un direttore dalla concezione interpretativa molto chiara. Pérez, per esempio, lascia ai motivi esotici di Dvořak un sapore sorgivo, senza volerli melodizzare o edulcorare; il risultato è che il Largo si connoti di una sperimentazione ancora più forte. L’attacco del celebre finale (Allegro con fuoco) è potente e maestoso: i trilli dei fiati e le impeccabili enunciazioni dei corni conducono rapidamente al più marcato successo della giornata, senza dubbio alla migliore corrispondenza tra qualità dell’esecuzione e apprezzamento da parte del pubblico.
Ore 22.30: Mahler (1908-1909). La Joven Orquesta Nacional de España è stata fondata nel 1983 e diretta per molti anni da Edmon Colomer: ha come principio statutario la selezione dei migliori strumentisti giovani in una fase precedente al loro inserimento professionale, e la loro formazione incessante nel corso di seminari, workshop, concerti con direttori di rilievo internazionale. L’idea di scegliere un complesso giovane per concludere la maratona sinfonica, per giunta con il compositore più amato dai giovani, Gustav Mahler, proietta l’immagine del progetto “Solo Música” verso un avvenire già confermato (ma il programma della prossima edizione resta ancora un piccolo mistero). L’organico mahleriano è stato accresciuto, appunto per permettere a tutti i membri della JONDE di partecipare a un appuntamento sicuramente indimenticabile nel loro percorso formativo. La mise cambia ancora una volta, verso l’informalità: gli uomini indossano una camicia nera a maniche lunghe, contrappuntata da cravatte in tinta unita piuttosto sgargianti, rosse, gialle, azzurre e verdi; le signorine un abito lungo, nero e smanicato. Il direttore, abbandonato il frac, ritorna in abito nero e cravatta verde chiaro, come al principio; e, come se si trattasse del primo concerto della giornata, si impegna in una direzione appassionata. Non si saprebbe dire se fosse più la passione del direttore a trasmettersi e contagiare i giovani, oppure il contrario. Il lunghissimo Andante comodo che apre la sinfonia registra qualche esuberanza: è tipica dei giovani, per di più uniti in una compagine pletorica, la tendenza a suonare forte; ma è un incanto vedere un complesso così affiatato e orgoglioso di cimentarsi con Mahler (non si sarebbe potuto escogitare una “prova del 9” più ardua e qualificante …). Nel II e nel III movimento (rispettivamente Im Tempo eines gemächlichen Ländlers. Etwas täppisch und sehr derb e Rondo-Burleske: Allegro assai. Sehr trotzig) il direttore accelera per rendere riconoscibili i tratti deformi del valzer cui Mahler ama sempre indulgere e al tempo stesso esalta i suoni scabri, acerbi, urtanti: chiarissima, nella lettura di Pérez, la premonizione della catastrofe europea che il compositore formula nel cuore della sinfonia. Alla fine, però, esaurite tutte le spigolosità e percorse tutte le arcate reboanti, la musica si ripiega su sé stessa (Adagio. Sehr langsam und noch zurückhaltend) e celebra il più struggente cupio dissolvi della musica strumentale del Novecento. Che il ciclo delle “nove sinfonie n. 9” si chiuda non con una pomposa fanfara, bensì con uno spegnimento dolcissimo, è un altro segno dell’intelligenza con cui il programma è stato confezionato. Di sicuro il finale è il movimento più bello e meglio riuscito di tutta l’esecuzione. Soltanto a fatica, dopo molti secondi di sospensione, il pubblico rompe l’incantesimo e scioglie un applauso di gratitudine e di ammirazione, più lungo del solito e soprattutto rivolto al direttore, giacché non si tratta della fine di un concerto ordinario. Poi, tutti insieme, si esce sulla piazza antistante l’Auditorio, dove uno spettacolo pirotecnico suggella la manifestazione durata più di tredici ore …
Forse qualche lettore si chiederà come il pubblico abbia potuto resistere a cinque concerti, dalle 11 del mattino fino alla mezzanotte inoltrata, con un’ora o al massimo due di pausa tra uno e l’altro. Se maratona deve essere, occorre per forza prepararsi in modo adeguato. In questo, il savoir vivre degli spagnoli è imbattibile: sin dal mattino l’ampio foyer dell’Auditorio si è trasformato in un variegato mercatino di specialità alimentari iberiche, indispensabili a rifocillare i “maratoneti della sinfonia n. 9”; negli intervalli gli ascoltatori – una folla che mescolava appassionati e neofiti, famiglie con bambini al seguito, un buon numero di studenti stranieri e nazionali – potevano andare di sala in sala, degustare, chiacchierare, scambiarsi opinioni e preferenze, aiutati a mantenere l’allegria (e incrementare l’euforia) da flûtes di champagne distribuite dall’organizzazione: fiesta de la musica, a tutti gli effetti indimenticabile.