Bruxelles, Théâtre La Monnaie – stagione 2016/2017
“AIDA”
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il re d’Egitto ENRICO IORI
Amneris, sua figlia NORA GUBISCH
Aida, schiava etiope ADINA AARON
Radamès, capitano delle guardie ANDREA CARÉ
Ramfis, capo dei sacerdoti GIACOMO PRESTIA
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida DIMITRIS TILIAKOS
Una sacerdotessa TAMARA BANJESEVIC
Un messaggero JULIAN HUBBARD
Orchestra Sinfonica e Coro del Théâtre La Monnaie
Direttore Alain Altinoglou
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Stathis Livathinos
Scene Alexander Polzin
Costumi Andrea Schmidt-Futterer
Luci Alekos Anastasiou
Coreografie Otto Pichler
Produzione Théâtre La Monnaie
Bruxelles, 30 maggio 2017
Termina, con Aida, la stagione operistica 2016/2017 del Théâtre La Monnaie, e termina anche il lungo periodo di esilio degli spettacoli nella struttura provvisoria creata per ospitare La Monnaie durante i lavori di ristrutturazione. Per quanto lo sforzo di organizzazione in questi due anni sia stato veramente eccelso, il ritorno al teatro storico nel centro di Bruxelles sarà sicuramente cosa gradita, soprattutto per l’acustica. Continua con questa Aida la tendenza, già riscontrata in questo e in altri teatri, ad affidare la regia a registi di grande esperienza teatrale ma con poca, o nessuna, esperienza di regia operistica. Nel caso di Aida alla Monnaie, la regia è opera di Stathis Livathinos, attualmente direttore artistico del Teatro Nazionale greco, formatosi in Grecia e poi in Russia, che dà a questa Aida un’impronta marcatamente teatrale, a scapito forse della componente operistica. La vicenda dell’Aida ben si presta a una lettura altamente drammatica, che il livello altissimo di recitazione degli interpreti ha reso in maniera molto efficace. Peccato, forse, che la parte musicale e vocale non sia stata altrettanto riuscita. La scelta di Livathinos è chiara fin dal levarsi del sipario su una scena spoglia – opera di Alexander Polzin – occupata unicamente da una grande roccia sfaccettata e aspra che diventa di volta in volta la reggia, o il campo di battaglia, o il tempio, e sovrastata da un’enorme pietra quadrata che scenderà nel finale su Radamès e Aida a rappresentare la pietra fatale. Dominano colori neutri, artificiali, il grigio, l’argenteo, in un’atmosfera che sembra voler essere deliberatamente astratta, resa ancora più asettica dalle luci di Alekos Anastasiou. Livathinos si libera dunque di tutti i segni esteriori del dramma per concentrare l’attenzione dello spettatore sulle emozioni, sull’essenziale. Di un certo impatto, almeno all’inizio, ma a lungo andare un po’ noioso. Grande spettacolo di teatro con dei bei momenti di insieme del coro e del corpo di ballo, e con qualche scelta che è sembrata più discutibile, come le schiave che urlano di dolore, o il coro che agita bandierine e accenna a passi di danza durante la marcia trionfale, eseguita da soldati che fanno il passo dell’oca in una parata a metà fra l’armata rossa e l’esercito della Corea del Nord. Radamès ritorna in scena dopo la battaglia con gli abiti visibilmente intrisi di sangue. C’è tutto l’abituale arsenale di denuncia del politicamente corretto: la guerra brutta e cattiva, il potere messo in ridicolo, la sofferenza degli oppressi. Viene da sorridere, e anche da chiedersi se veramente i registi siano convinti della necessità di inserire questi elementi modernizzanti – secondo la loro opinione – per rendere l’opera interessante al pubblico di oggi. Sottintendendo, forse, che l’opera in se non basta, non è sufficiente ad attrarre gli spettatori. Queste operazioni ricordano, mutatis mutandis, l’arrivo delle chitarre in chiesa. I costumi curati da Andrea Schmidt-Futterer sono perfettamente in linea con le scelte di regia, di una semplicità studiata apposta, evidentemente, per non distrarre in alcun modo l’attenzione dello spettatore dal dramma. Cosi, Radamès è in abito casual da scampagnata del sabato pomeriggio, Aida veste una semplice tunica grigio scuro come le altre schiave, dominano invece i bianchi per gli egiziani. Il coro è spesso costretto a cantare con una maschera da civetta sulla testa, il che non aiuta l’acustica. Il ruolo di Radamès è affidato al tenore torinese Andrea Carè, dotato di una bella voce che però fa fatica a entrare nella parte. L’inizio non è dei migliori (una Celeste Aida prudente e faticosa), ma Carè si fa presto perdonare grazie a un’interpretazione globalmente convincente e una grande sensibilità nel rendere il tormento del personaggio con toni più lirici che eroici. In generale, tutti gli interpreti maturano man mano che la rappresentazione procede. L’Aida di Adina Aaron è un personaggio ad alta intensità drammatica, la voce è potente ma disuguale nell’emissione, con chiare avvisaglie di fatica nel registro acuto. La Aaron è sicuramente una grande attrice ed è dotata di grande presenza scenica, ma ci si chiede se la gestualità esasperata, non sia andata a scapito della resa vocale. Troppo teatro, e poca opera. La Aaron e Carè si riscattano entrambi soprattutto nel duetto finale, quando la gestualità da teatro drammatico viene messa da parte per lasciar parlare le voci e la musica, e allora si, finalmente, il canto raggiunge quei livelli che sarebbe stato piacevole ascoltare fin dall’inizio. Non giova alla Amneris di Nora Gubisch la scelta della regia di farne un personaggio macchiettistico, un po’ caricaturale, una specie di sorellastra di Cenerentola prestata alla lirica. Dal punto di vista vocale, la Gubisch manca forse di un po’ di mordente e di potenza nel gestire il canto verdiano. Quando, nella seconda parte, può liberarsi della patina di ridicolo imposta dalla regia, l’interpretazione diviene sicuramente più interessante. Pienamente positiva la prova vocale e scenica del solido Giacomo Prestia nel ruolo di Ramfis, il personaggio dotato anche del costume più interessante di tutta l’opera, con il braccio destro trasformato in un inquietante artiglio bestiale. Anonimamente corretto l’Amonasro di Dimitris Tiliakos. Apprezzabile il Re di Enrico Iori. Buone le altre parti di fianco. L’orchestra è diretta da Alain Altinoglou, che dall’autunno scorso è anche il direttore musicale del Theatre de La Monnaie. Altinoglou guida l’orchestra in tutta effervescenza, ma troppo spesso si ha l’impressione di una mancanza di controllo e il risultato è che purtroppo le voci sono coperte dalla musica. Sempre eccellente il coro diretto da Martino Faggiani, con una menzione particolare per le voci femminili. Buono il riscontro dal pubblico. Foto © Forster