Si sono concluse il 21 giugno 2017, al Teatro La Fenice, le rappresentazioni degli unici titoli della produzione operistica di Claudio Monteverdi, a noi pervenuti in forma pressoché completa – L’Orfeo, Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea – proposti consecutivamente, in due tornate, a partire dal 16 giugno, sotto la direzione di uno specialista di questo repertorio, Sir John Eliot Gardiner, presente a Venezia, per l’unica tappa italiana del tour europeo, che sta effettuando insieme al Monteverdi Choir e agli English Baroque Soloists. L’occasione per un evento tanto eccezionale è costituita dal 450° anniversario della nascita del compositore cremonese, e rientra nel quadro delle celebrazioni da effettuarsi in base al progetto “Monteverdi 450”. Quello andato in scena alla Fenice è un nuovo prestigioso allestimento, che vede Eliot Gardiner responsabile anche della regia, insieme a Elsa Rooke. Le tre opere sono state allestite in una forma semiscenica, in base a precisi criteri criteri estetici, ben riassunti dallo stesso Gardiner: “Al contrario dell’opera settecentesca o romantica Monteverdi non richiede un coinvolgimento di particolari forze scenografiche o l’utilizzo di macchinerie teatrali. L’allestimento delle tre opere si concentrerà totalmente sull’aspetto drammatico suscitato dalla fusione della musica con il testo. Da questo punto di vista, l’orchestra partecipa al dramma in atto allo stesso modo dei cantanti-attori, disposti al centro della scena, circondati dagli strumenti di un’orchestra che per l’occasione abbandona la buca, all’interno della quale è abituata a suonare altri tipi di repertorio. Possiamo dire che il pubblico partecipa all’azione attraverso l’ascolto, ma senza dover necessariamente chiudere gli occhi, data la particolare disposizione dei cantanti e dell’orchestra. Non sappiamo con certezza come Monteverdi organizzasse la rappresentazione dei suoi lavori. Abbiamo piuttosto delle notizie relative alla prima esecuzione dell’Orfeo, avvenuta nel 1607 a Mantova, in uno spazio molto contenuto, non di certo in un teatro. Tutt’altro destino hanno avuto le opere successive, Il ritorno d’Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea, tenute entrambe a battesimo all’interno di un teatro di Venezia. Va però considerato che queste ultime due si distaccano dalla prima di quasi trentacinque anni. L’operazione che intendo affrontare con la mia orchestra al Teatro La Fenice è dunque qualcosa di molto vicino al pensiero di Monteverdi.”
Dunque, l’orchestra era visibile sulla scena, del resto “la buca”, come si sa, è un’invenzione wagneriana. Con i suoi numerosi e, forse per molti, pittoreschi strumenti d’epoca, era protagonista del dramma al pari dei cantanti-attori, in una perfetta fusione tra musica e testo. Purtroppo la difficoltà di ottenere accrediti-stampa – il teatro era sempre strapieno –, cui si sono uniti motivi personali, ci ha impedito di assistere a questa trilogia. Nondimeno ci permettiamo di affermare – sulla base di quanto abbiamo letto o ci è stato riferito direttamente – che l’apprezzamento è stato unanime, da parte del pubblico come della critica. Il che era assolutamente prevedibile, trattandosi di spettacoli affidati a uno specialista del calibro di Gardiner, profondo conoscitore dell’estetica barocca, maestro nel lavoro di cesello, ad evidenziare ogni particolare della musica, a sottolineare – cosa fondamentale nei melodrammi delle origini – ogni sfumatura del testo.
La presenza a Venezia di Sir John Eliot Gardiner è stata l’occasione per assegnare, il 20 giugno, al maestro inglese il premio Una vita nella musica, giunto ormai alla sua trentesima edizione. “La fortunata circostanza di assegnare a Sir John Eliot Gardiner il Premio Una vita nella musica, qui a Venezia, in concomitanza con l’attesa trilogia monteverdiana al Teatro La Fenice – si precisa all’inizio delle motivazioni del premio – dev’essere prima di tutto sgomberata dall’equivoco che il Maestro inglese sia un interprete ‘specializzato’ nella musica antica. In realtà, Gardiner attraversa da mezzo secolo la scena artistica internazionale in maniera del tutto originale, senza dogmi né pregiudizi, interpretando con lo stesso inestinguibile amore per il far musica lavori di ogni epoca e genere, dalla musica sacra all’opera, dal poema sinfonico alle grandi forme strumentali della musica assoluta”. Un doveroso omaggio a un’interprete, a uno studioso, che effettivamente – questo, in sintesi, il prosieguo delle motivazioni – è stato fin, negli anni Sessanta, uno dei protagonisti del movimento ‘Historically Informed Performance’, affrontando in base a un approccio rigoroso non solo il repertorio monteverdiano, ma anche quello bachiano, il che non ha affatto pregiudicato la sua possibilità di interpretare con sensualità, concretezza e drammaticità la musica di Berlioz e dei romantici, ma anche di avvicinarsi, per una sua spontanea predilezione, al teatro musicale, raggiungendo la massima espressione negli allestimenti delle opere di Mozart. Foto Michele Crosera