Torino, Teatro Regio. Stagione lirica 2016-17
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina EKATERINA BAKANOVA
Tamino ANTONIO POLI
Regina della Notte OLGA PUDOVA
Sarastro ANTONIO DI MATTEO
Papageno MARKUS WERBA
Papagena ELISABETH BREUER
Prima dama SABINA VON WALTHER
Seconda dama STEFANIE IRÁNYI
Terza dama EVA VOGEL
Monostatos CAMERON BECKER
Primo fanciullo VALENTINA ESCOBAR
Secondo fanciullo LUCREZIA PIOVANO
Terzo fanciullo GIORGIO FIDELIO
Oratore e primo sacerdote ROBERTO ABBONDANZA
Secondo sacerdote e primo armigero CULLEN GANDY
Una voce e secondo armigero LUCIANO LEONI
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Asher Fisch
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Roberto Andò
Ripresa da Riccardino Massa
Scene e luci Giovanni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Allestimento Teatro Regio, Torino
Torino, 21 maggio 2017
“Die Zauberflöte” resta in assoluto una delle opere più amate dal pubblico e anche in quest’occasione, pur trattandosi di una ripresa di una produzione già vista a Torino nel 2014, il pubblico non ha fatto mancare la sua calorosa accoglienza. L’edizione presentata non ha per altro per nulla deluso né sul piano musicale né su quello teatrale, rendendo pienamente giustificato l’entusiasmo della gremitissima sala.
Sul podio del teatro torinese troviamo Asher Fisch, direttore israeliano formatosi all’ombra di Daniel Barenboim, del quale si poteva cogliere elementi di un’impostazione non dissimile: una visione di Mozart già proiettato verso il nuovo secolo piuttosto che ultimo erede del secolo declinante. Una lettura ampia, solida, spesso solenne e non priva di imponenza che fin dall’ouverture segnava l’idea di fondo del direttore, la sua predilezione per sonorità corpose, per una particolare cura degli impasti timbrici – ammirevoli la pulizia e la precisione con cui l’orchestra ha suonato l’intera opera – e per una ritmica ampia e dilatata, cui si può appuntare una certa mancanza di leggerezza anche se non di teatralità. Molto omogenea la compagnia di canto, ottimamente assortita in tutte le sue componenti. Autentico trionfatore della recita Markus Werba, che si conferma il Papageno per antonomasia dei nostri giorni: voce molto bella, piena, squillante, dizione perfetta, personalità scenica da vendere e non comuni doti istrioniche – canta splendidamente e interpreta meglio, gioca con il libretto senza tradirne gusto e spirito, alla fine non può che uscirne un meritato trionfo. Al suo fianco, la Papagena di Elisabeth Breur è decisamente più flebile sul piano vocale, ma di irresistibile simpatia su quello scenico. Luminosa e seducente la Pamina di Ekaterina Bakanova, giovane soprano russo specializzata nel repertorio mozartiano. Rispetto alla già pur apprezzabile Susanna dello scorso anno, la sua Pamina ha testimoniato ulteriore crescita sia sul piano vocale che su quello scenico: voce agile cristallina, linea di canto musicalissima, naturale eleganza del porgere, il ruolo le è inoltre molto congeniale sul piano espressivo, cogliendone appieno il lirismo sobrio e delicato.
Antonio Poli è un Tamino sicuro e squillante, dalla schietta vocalità tenorile e dalla baldanza quasi eroica che evita al personaggio eccessive svenevolezze e che compensa un’impostazione espressiva ancora un po’ di maniera. Subentrato al posto dell’indisposto Kristinn Sigmundsson, Antonio di Matteo presta a Sarastro una nobile voce da autentico basso profondo e quella cantabilità italiana così congeniale allo stile mozartiano, anche quello delle opere tedesche. Olga Pudova è sostanzialmente un soprano leggero che dell’Astrifiammente ha tutte le note, ma manca di quel peso drammatico che il ruolo dovrebbe avere e che così raramente si ascolta. Canta però molto bene: la voce è piena e ricca di armonici e gli acuti autenticamente squillanti sebbene il settore grave mostri una minor sicurezza. Voce un po’ anonima, ma ammirevole, pulizia vocale e interpretativa caratterizzano il Monostatos di Cameron Becker. Nell’insieme efficaci le numerose parti di fianco comprendenti Stefanie Iányi, Eva Vogel e Sabina von Walther (le tre dame), Roberto Abbondanza (Oratore e primo sacerdote), Cullen Gandy (secondo sacerdote e primo armigero), Luciano Leoni (una voce e secondo amigero). I fanciulli erano affidati ai solisti del Coro di voci bianche del Regio Valentina Escobar, Lucrezia Piovano e Giorgio Fidelio.
Stilizzata, ma non priva di poesia la regia di Roberto Andò, con le scene di Giovanni Carluccio e i costumi di Nanà Cecchi. L’impianto scenico è essenziale: pochi elementi scenici definiscono i vari ambienti, architetture lineari più evocative che costruttive, in cui il mondo egizio è richiamato con regolarità – teorie di sfingi criofore, pilastri a testa di Horus – ma sempre con leggerezza, molti elementi hanno un tratto fiabesco non privo di ironia. I bellissimi costumi richiamano a un Oriente fiabesco privo di elementi geograficamente o storicamente determinati, ma calato in una dimensione quasi onirica. La regia di Andò – ripresa da Riccardino Massa – segue lo svolgersi della vicenda con tocco leggero e delicato, poco interessata alle implicazioni iniziatiche e filosofiche e piuttosto presa dalla gioia del raccontare. Essa ha inoltre il merito di lasciar giusto spazio alle qualità interpretative dei cantanti concedendo nei parlati anche qualche trovata d’effetto non impropria, considerando la libertà con cui questi dovevano essere affrontati già al tempo.
Sala gremita in ogni ordine, con buona presenza fra il pubblico di giovani e giovanissimi, e trionfale successo per tutti gli interpreti.