Madrid, Teatro Real, Temporada 2016-2017
“UNA NOCHE CON FORSYTHE”
The Vertiginous Thrill of Exactitude – Artifact Suite – Enemy in the Figure
Coreografia William Forsythe
Musica Franz Schubert, Johann Sebastian Bach, Eva Crossman-Hecht, Thom Willems
Scenografia, progetto luci e costumi William Forsythe, Stephen Galloway
Compañía Nacional de Danza
Direttore artistico José Carlos Martínez
Maestri ripetitori della coreografia Noah Gelber, Agnes Noltenius, Maurice Causey, Ana Catalina Román
Madrid, 30 aprile 2017
Non è la prima volta che una compagnia di grande prestigio organizza uno spettacolo interamente dedicato alle coreografie di William Forsythe: nel 2013 il Ballet de l’Opéra de Lyon portò in tournée il complesso balletto Limb’s Theorem, toccando anche il Regio di Torino con un’esecuzione memorabile. Prima ancora, nel 2011, il San Carlo di Napoli aveva dedicato al coreografo americano una rassegna con artisti ospiti. Adesso è il principale ensemble spagnolo, la Compañía Nacional de Danza, a offrire un programma scandito da tre lavori di Forsythe, risalenti agli anni 1989-2004, un quindicennio molto ben rappresentativo della creatività dell’artista. Il suo stile si può definire in modo rapido: intenzione assoluta di andare contro corrente, senza mai preoccuparsi di spiegare le proprie trovate; accumulo di movimenti e gestualità tanto nervosi da riuscire quasi isterici; stretta cooperazione con compositori d’avanguardia (soprattutto Thom Willems). L’originalità stilistica è così forte che, anche quando a rappresentarne le coreografie sono compagnie tanto diverse, la firma di Forsythe si riconosce immediatamente. Il primo brano in programma a Madrid, The Vertiginous Thrill of Exactitude (1996), fa onore al titolo, poiché è un omaggio a Balanchine quanto a ricerca della perfezione formale, ma è anche una sfida costante al ruolo usuale di uomo e donna nelle figurazioni tradizionali: le variazioni restano classiche, però le ballerine devono impegnarsi in una serie vertiginosa di salti, giri e movimenti dei piedi a ritmo rapidissimo (che solitamente competono agli uomini); all’opposto, i danzatori eseguono nelle rispettive variazioni movenze che richiedono estensione, dolcezza, cambré (più usuali per ruoli femminili). Perfino la scelta dei costumi sgargianti, color fucsia gli uomini, verde brillante le donne, anticipa l’originalità delle soluzioni coreografiche. Il brano musicale scelto da Forsythe per raggiungere tale apoteosi è il finale della Sinfonia n. 9 di Franz Schubert, La Grande, dunque un pezzo costruito sulla congiunzione di melodia trascinante e ritmo implacabile (importa notare: non un brano funzionale al balletto romantico, ma un prodotto squisitamente sinfonico, sicuramente più difficile da elaborare in termini coreutici). Il risultato è grandioso: dopo una variazione che non dà respiro agli interpreti, né al pubblico che la segue con il fiato sospeso, il tutto termina con i cinque ballerini sulla scena impegnati in una quinta posizione dei piedi davvero impeccabile: fra i tanti passi di ballet, è difficilissima perfino per i più virtuosi, e tanto più impressiona sulla stretta conclusiva della musica schubertiana.
Artifact Suite (2004) si apre su di un palco già tutto occupato dai ballerini: è il Forsythe più moderno, che toglie qualunque oggetto scenografico e ogni quinta, apre gli spazi giocando con punti di luce radente da angolazioni sempre diverse. Il pezzo è lungo e interessante, a partire dalla distribuzione dei ruoli, perché il corpo di ballo è vestito uniformemente, mentre a guidare è una sola ballerina in costume chiaro che dà segnali concisi e netti, subito ripetuti dalla folla. Più che di una danza decorativa si tratta di un codice linguistico, ma non finalizzato a un discorso unitario e articolato; prima che ogni numero finisca, infatti, il sipario nero scende a troncare la coreografia, e si riapre quando la donna-guida si è spostata in un angolo diverso e il corpo di ballo ha già disegnato un nuovo schieramento. Cambia sempre tutto, dalle luci ai ritmi, dalla musica che alterna la Ciaccona di Bach (BWV 1004) alle sequenze monotone e lievemente intellettualistiche di Eva Crossman-Hecht per pianoforte solo agli scatti rapidissimi che tutti devono imitare; in realtà non cambia nulla, e tutto si mantiene in un equilibrio che parla di incanto, di viaggi lontani, di gesti di stupore e di magia.
La serata si conclude con Enemy in the Figure, che è la seconda parte del trittico formante il già citato Limb’s Theorem (1989). Anche se estrapolato da un balletto, il pezzo è efficacissimo da solo, perché tutto è dinamica, puro movimento, assolutamente anti-narrativo. La maestra ripetitrice di Enemy in the Figure, Ana Catalina Román, faceva parte del gruppo che lo realizzò per la prima volta, e lo ha già posto in scena tre volte con la Compañía Nacional de Danza; è talmente legata al brano da chiamarlo affettuosamente suo fratello; ma soprattutto spiega quale tecnica Forsythe richieda ai danzatori per eseguirlo: «Poiché include sia sequenze coreografiche sia momenti di improvvisazione, ogni nuova messa in scena implica necessariamente che i ballerini approfondiscano i metodi dell’improvvisazione. […] L’improvvisazione, intesa come simultaneità di idea ed esecuzione del movimento, crea sempre nuovi punti di partenza e richiede una molteplicità di decisioni che provocano incroci casuali e vividi, coordinazioni irripetibili». La musica di Thom Willems, che ha lavorato molto spesso con il coreografo, è del tutto funzionale alla danza e alle sue esigenze: anzi, prima nasce l’idea coreografica, e poi quella musicale, elettronica e affidata ai sintetizzatori. L’aspetto più importante è quindi il ritmo, perché Willems imposta tutto su disegni percussivi minimali e strappate di forte sonorità. Le strutture si ripetono con pacatezza, senza ossessioni, con variazioni minime ma insistenti. La seconda parte di Limb’s Theorem si caratterizza per drammaticità e nervosismo della musica, ma un effetto sonoro resta prediletto su tutti gli altri: il fruscio, che ovviamente accompagna i movimenti dei danzatori come per trasformarli in suono; come se i corpi avessero lunghe ali, e potessero da un momento all’altro sollevarsi in volo. Ancor più che nel precedente, in questo brano un tecnico manovra un grande riflettore sul palcoscenico, dirigendo il fascio di luce orizzontalmente, in diagonale o a perpendicolo del piano; muove la macchina in ogni angolo e direzione, con movimenti che fanno pensare a improvvisi palpiti, mentre i ballerini si rincorrono, giocando con le ombre e sfidando la rapidità dei cambi di illuminazione. Ottima la prova complessiva della Compañía Nacional de Danza, che rivela una preparazione e una professionalità veramente notevoli. Il pubblico di Madrid risponde di nuovo con grande entusiasmo: in pochi giorni ha avuto la possibilità di confrontare poetiche della danza tanto diverse, come quelle di Béjart e di Forsythe; se il primo individua vicende dettagliate da raccontare, senza mai lasciar nulla all’improvvisazione, il secondo opera esattamente il contrario, perché il suo bisogno fondamentale è di sperimentare il nuovo e l’ignoto. Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid