Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera 2016/2017
“LA GAZZA LADRA”
Melodramma in due atti su libretto di Giovanni Gherardini
Musica di Gioachino Rossini
Ninetta ROSA FEOLA
Pippo SERENA MALFI
Lucia TERESA IERVOLINO
Fabrizio Vingradito PAOLO BORDOGNA
Giannetto EDGARDO ROCHA
Fernando Villabella ALEX ESPOSITO
Gottardo MICHELE PERTUSI
Ernesto GIOVANNI ROMEO
Giorgio/il pretore CLAUDIO LEVANTINO
Antonio MATTEO MEZZARO
Isacco MATTEO MACCHIONI
Una gazza FRANCESCA ALBERTI
Coro e orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Gabriele Salvatores
Scene e costumi Gian Maurizio Fercioni
Luci Marco Filibeck
Movimenti coreografici Emanuela Tagliavia
Marionette, costumi e animazione a cura della Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli
Milano, 2 maggio 2017
Ora che le contestazioni del tutto sterili che hanno infangato inutilmente la Prima sono ormai un lontano ricordo, La Gazza Ladra può tornare a volare trionfante sul palco della Scala e – giunta alla settima recita cui questo pezzo si riferisce – riscuote senza riserve un successo più che meritato, in primis per il livello d’eccellenza che questa produzione può vantare in particolar modo sul versante musicale. A duecento anni dalla prima assoluta del 13 maggio 1817 andata in scena proprio al Piermarini, Riccardo Chailly sceglie di riportare alla luce nella sua versione integrale un capolavoro inspiegabilmente assente per decenni dalle tavole scaligere (l’ultima rappresentazione risale al 1841), e ce lo restituisce nel migliore dei modi proponendo una concertazione brillante e coinvolgente, a partire dall’energico rullo di tamburi che apre la celebre ouverture. Ma più che il brio schiettamente rossiniano, Chailly privilegia di quest’opera semiseria le tinte meste e malinconiche, con un naturale crescendo di pàthos nel secondo atto in cui il taglio drammatico diventa predominante raggiungendo il culmine nella grande Marcia Funebre – “Infelice, sventurata” – in una resa di rara potenza e ricchezza di colori (qui come in altre pagine è evidente l’intento di sottolineare echi compositivi che ritroveremo in Verdi o Donizetti). Il direttore milanese riesce comunque a mantenere un perfetto equilibrio tra mordente tragico e sfumature leggere, guidando l’Orchestra del Teatro alla Scala in un flusso omogeneo di sonorità imprevedibili modulate con particolare sensibilità a seconda di quanto richiesto dalla partitura, dai retaggi dell’opera buffa tra virtuosismi e strette frenetiche ai passaggi più melanconici (citiamo tra le pagine più riuscite il terzetto Podestà–Ninetta–Fernando e il duetto tra Pippo e Ninetta “Deh pensa che domani…E ben per mia memoria”). Come detto, il punto di forza della produzione è certamente da ricercarsi sul fronte musicale e, se il podio è in buonissime mani, anche il palco non è da meno grazie alla scelta di un cast di primo livello. Rosa Feola debutta nel ruolo di Ninetta caratterizzando efficacemente il personaggio in tutta la sua complessa psicologia con personalità e naturale musicalità. Il volume non è immenso, ma il timbro è gradevole e il fraseggio curato (meritati gli applausi entusiasti già al termine della cavatina “Di piacer mi balza il cor”). Un’ottima protagonista che convince appieno dal punto di vista scenico e vocale. Non è da meno il Giannetto di Edgardo Rocha. Leggermente meno a fuoco e più impersonale dal punto di vista interpretativo, il tenore uruguaiano è tuttavia pressoché impeccabile a livello vocale, vantando bel timbro luminoso di tenore leggero e gestendo perfettamente l’emissione in ogni registro con tecnica salda e omogeneità in ogni passaggio. Fortemente espressivo e sanguigno il Fernando Villabella di Alex Esposito, con una performance in continuo crescendo con lo svilupparsi dell’opera. Eccezionalmente suggestivo il duetto padre-figlia nell’atto primo (“Come frenare il pianto”), con l’intrecciarsi di due splendide linee di canto modulate con delicatezza da entrambi gli interpreti. Michele Pertusi impersona con maestria ed esperienza il viscido Podestà. A suo agio in qualsiasi registro e abilissimo fraseggiatore, convince appieno sia nelle arie sia nei pezzi d’insieme. Brillante il Fabrizio di Paolo Bordogna, come sempre disinvolto in scena e forte di un’inconfondibile voce piena, calda e brunita. Al suo fianco un’ottima Teresa Iervolino interpreta il controverso personaggio di Lucia, convincendo appieno fin dall’ingresso in scena con “Marmotte, che fate?” e ottenendo meritati applausi a scena aperta al termine dell’aria nel secondo atto (“A questo seno”). Gradevole Serena Malfi nel ruolo en travesti di Pippo, nonostante si trovi leggermente in difficoltà nella zona bassa della tessitura con la tendenza a ingolare i suoni e quindi soccombere al volume orchestrale, problema forse dovuto ad una scrittura non del tutto calzante alla sua vocalità. Convincenti Matteo Macchioni (Isacco) e Matteo Mezzaro (il carceriere Antonio) che insieme a un folto e preparato comprimariato ben completano un cast di prim’ordine. Sempre impeccabile in ogni intervento, infine, il Coro guidato da Bruno Casoni. Dalla settima arte con furore, alla regia troviamo il Premio Oscar Gabriele Salvatores per il quale questa Gazza non è un battesimo operistico, anche se l’ultimo precedente risale al lontano 1989 con una Figlia del Reggimento al Comunale di Bologna. Salvatores non si abbandona a soluzioni stravolgenti o improbabili, ma si limita a mantenersi nel solco del convenzionale proponendo una messinscena elegante e gradevole (anche grazie alle belle scene e costumi di Gian Maurizio Fercioni), ma alla lunga monotona. Le idee non mancano, sono varie e apprezzabili, ma hanno il difetto di essere immediatamente snocciolate e bruciate nel primo quarto d’ora per poi non essere davvero sviluppate a fondo. L’opera si apre con un breve riassunto della trama affidato alle marionette dei Colla che riprendono fedelmente fisionomia e costumi dei personaggi in scena per poi lasciare campo libero all’elemento centrale dell’allestimento: la Gazza presenzia in carne ed ossa sul palco, impersonata dall’eccellente acrobata e funambola Francesca Alberti, acquistando una rilevanza particolare quale deus ex machina della vicenda (scelta, quella della gazza-mimo, non del tutto inedita, ma già proposta da Michieletto al ROF 2007). Con la gazza che predispone gli elementi scenici sul palco durante l’ouverture tra funi, ruote e ingranaggi, è chiara la volontà di dare un taglio metateatrale all’opera, operazione tanto apprezzabile quanto già vista in ogni salsa ormai da decenni. Non mancano – prevedibilmente – anche riferimenti al cinema, dal Podestà-Nosferatu a un brevissimo inserto tecnologico con la proiezione di una gazza che spicca il volo su uno schermo appena prima che cali il sipario. Insomma, una buona cornice per una produzione musicalmente eccelsa, senza spingersi troppo oltre (che alle volte non è necessariamente un male). Al termine applausi convinti per tutti, con ovazioni per Feola, Pertusi, Esposito, Rocha e Chailly.