Bari, Auditorium Santa Teresa dei Maschi
“L’IMPRESARIO IN ANGUSTIE”
Farsa per musica in un atto, libretto di Giuseppe Maria Diodati
Musica di Domenico Cimarosa
Don Crisobolo impresario PIETRO NAVIGLIO
Don Perizonio librettista GIUSEPPE NAVIGLIO
Fiordispina SARA BINO
Merlina CRISTINA GRIFONE
Doralba MARIA SILECCHIO
Gelindo compositore ROSARIO TOTARO
Strabinio CARLO SGURA
Ensemble Musica Fiorita
Direttore al cembalo Daniela Dolci
Regia, scene e luci Stefano Albarello
Costumi Daniel Tuzzato
Bari, 13 maggio 2017
Il progetto «Cappella Musicale Santa Teresa dei Maschi», dell’associazione Florilegium Vocis diretta da Sabino Manzo, è una preziosa realtà della vita musicale e concertistica pugliese, capace di sviluppare importanti performance di musica barocca e di realizzare, come in questo caso, allestimenti operistici dei compositori del Settecento napoletano, troppo di rado rappresentati nei circuiti teatrali. La produzione dell’Impresario in angustie è ideata e curata dall’Ensemble Musica Fiorita di Basilea: oltre a Bari la tournée italiana coinvolgerà le città di Bitonto (Festival Tommaso Traetta) e Napoli (Teatro Sannazzaro), poi, il prossimo settembre, l’operina sarà inscenata al Neues Theater Dornach di Basilea.
L’impresario in angustie – cantato per la prima volta a Napoli nel 1786 al Teatro Nuovo e poi riproposto per anni in tutte le capitali europee – rientra a pieno titolo tra i capolavori del gustoso filone del metamelodramma, dove venivano messi a nudo i tic dei cantanti e le pecche di un sistema produttivo precario e frenetico. È nota l’ammirazione che Goethe ebbe per questa farsa, da lui ascoltata a Roma nel 1787 e poi tradotta in tedesco per una ripresa a Weimar nel 1791. Non meno entusiasta fu Haydn che ne curò il riallestimento alla corte di Esterhàza nel 1790. Non è facile comprendere le ragioni del successo di operine tanto esili sul piano drammaturgico, né si può ricondurlo semplicemente al fatto che le dimensioni ridotte ne facilitavano la messa in scena nei più svariati contesti allestitivi. Probabilmente ad entusiasmare sia il grande pubblico partenopeo o romano, sia quello elitario delle corti principesche, era la verve attoriale degli attori-cantanti e l’incisività melodica e ritmica della musica di Cimarosa che dava compimento alle gag delineate dal libretto di Diodati. La restituzione di quel fascino oggi può passare soltanto attraverso interpretazioni storicamente informate che impiegano strumenti originali, come quella offerta dall’Ensemble Musica Fiorita diretto al cembalo da Daniela Dolci, raffinatissima specialista del repertorio barocco. L’esattezza degli stacchi di tempo insieme alla cura per l’articolazione e per il fraseggio, derivanti da una dimestichezza invidiabile con la musica del Settecento europeo, hanno ridonato alla partitura cimarosiana quel ‘mordente’ (veicolato da spostamenti d’accento, da seste napoletane inattese, da giochi di oscillazione tra tonalità minori e maggiori) che in tante moderne interpretazioni viene spesso edulcorato o finnache annientato. Quello di Daniela Dolci non era il Cimarosa incipriato e museificato (da Stendhal in poi), bensì un Cimarosa del tutto inedito in quanto irriverente, graffiante e quasi ruvido in certe asprezze ritmiche e armoniche (complice la bravura del primo violino German Echeverri, rinforzato dal secondo, Katia Viel, e dalla viola, Salome Janner). La realizzazione del basso continuo (Jonathan Pesek al violoncello barocco, Marco Lo Cicero al violone, Hiram Santos al fagotto, Juan Sebastian Lima alla tiorba) era arricchita dalla chitarra barocca di Rafael Bonavita e dal salterio di Franziska Fleischanderl. Ottima l’esecuzione di Miriam Jorde all’oboe e di Tomohiro Sugimura che, in perfetta linea con la prassi settecentesca napoletana, si alternava alla tromba e al corno barocchi.
Forte di questo prezioso sostegno orchestrale, il cast vocale ha potuto lavorare nel dettaglio e con estrema finezza le arie e gli assieme cimarosiani. Il primo elogio va a Giuseppe Naviglio – baritono con grande volume sonoro ma al tempo stesso dotato di un’eleganza nel timbro davvero unica – che ha interpretato il personaggio più complesso della farsa, il librettista Don Perizonio, padroneggiandone l’ostico dialetto napoletano, i vorticosi sillabati (talmente rapidi da fare impallidire quelli di Rossini) e la gestualità esuberante. Il basso Pietro Naviglio, nel vestire i panni dell’impresario Don Crisobolo, ha offerto uguale verve comica, dando vita a siparietti di puro divertimento (primo fra tutti quello dell’aria Lo ‘mpresario gioia mia) incrementati dal fatto che i due cantanti sono fratelli gemelli e che dunque le figure del librettista e dell’impresario si riflettevano in uno spassoso gioco di specchi! Ottimo il Gelindo di Rosario Totaro tenore di grazia dal colore elegante, perfettamente a suo agio nella parte del compositore di musica, insidiosa per la continua insistenza della tessitura sul passaggio di registro. Molto buona per qualità vocale, prestanza attoriale e recitazione, la prova di Sara Bino, qui Fiordispina, prima donna buffa e dunque soubrette dell’intera opera, da lei chiusa con il duetto magistralmente cantato insieme a Giuseppe Naviglio. Preziosa la voce del soprano Cristina Grifone, interprete della seconda buffa Merlina, impegnata insieme ai cantanti fin qui menzionati in quel quintetto che tanto impressionò Goethe e che il regista (musicista egli stesso) Stefano Albarello ha saputo articolare con intelligenza disponendo la doppia coppia Merlina-Gelindo e Fiordispina-Crisobolo di spalle al pubblico durante i segmenti metateatrali. Pregevole la performance di Maria Silecchio (anche se il personaggio di Doralba canta solo nel quartetto d’Introduzione) e del basso Carlo Sgura alle prese con la non facile aria Son guerriero e sono amante parodizzante la celebre aria della protagonista della Didone abbandonata di Metastasio. Una menzione particolare meritano i preziosi costumi di Daniel Tuzzato che nella loro ricchezza e nel loro equilibrio cromatico compensavano la sobrietà dell’impianto scenico, vincolato allo spazio di un auditorium che per la prima volta si è prestato ad ospitare un melodramma. Considerate l’affluenza (si è registrato il sold-out) e la soddisfazione del pubblico si auspica che simili eventi vengano replicati con frequenza crescente al fine di avvicinare gli ascoltatori al repertorio della scuola napoletana che nel caso della Puglia è parte integrante del suo patrimonio identitario.