Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2016/2017
“MARIA STUARDA”
Tragedia lirica in due atti, libretto di Giuseppe Bardari dalla tragedia Maria Stuart di Friedrich Schiller tradotta in italiano da Andrea Maffei.
Musica di Gaetano Donizetti
Maria Stuarda, regina di Scozia ROBERTA MANTEGNA
Elisabetta I, regina d’Inghilterra CARMELA REMIGIO
Anna Kennedy, nutrice di Maria VALENTINA VARRIALE
Roberto Conte di Leicester PAOLO FANALE
Giorgio Talbot CARLO CIGNI
Lord Guglielmo Cecil, gran tesoriere ALESSANDRO LUONGO
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Paolo Arrivabeni
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Andrea De Rosa
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Nuovo allestimento in collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli
Roma, 28 marzo 2017
Di particolare interesse questa recita della Maria Stuarda in scena al Teatro dell’Opera di Roma, per il debutto in un grande ruolo di un giovane soprano del progetto “Fabbrica” del teatro. L’idea che sta alla base di questo programma è quella di offrire ad giovani artisti italiani e stranieri già formati presso accademie e conservatori la possibilità di inserirsi nel mondo dello spettacolo in modo similare a quanto avviene in altri ambiti della formazione, come per esempio l’alternanza scuola-lavoro in atto nei licei e nelle scuole superiori italiane ed europee. Da questo progetto che si avvia alla conclusione del suo primo anno di attività ed all’avvio del secondo, sono state scelte due cantanti per il cast di questa Maria Stuarda, Roberta Mantegna nel ruolo eponimo in alternanza con la titolare Marina Rebeka e Valentina Varriale nella parte di Anna Kennedy. Bravissima quest’ultima in un ruolo breve ma teatralmente importante, reso con voce bella e sicura, dizione chiara e gestualità misurata ed efficace. Di sicuro interesse la prova di Roberta Mantegna, in un grande ruolo del teatro musicale romantico sul quale incombono le aspettative del pubblico e inevitabilmente pesano i confronti con le grandi interpreti del passato. Cauta e prudente ma già padrona della scena nell’aria di sortita, nobilmente fiera nel duetto con Elisabetta, ha dato il meglio di se nel lungo, impegnativo e forse un po’ prolisso secondo atto, nel quale è riuscita a mantenere il lungo filo dello sviluppo emotivo passando efficacemente dalla confessione alla preghiera e giungendo trionfalmente al finale conducendo il pubblico per mano con gentile autorevolezza in un crescendo di tensione alla catarsi con la trasfigurazione di Maria in martire cattolica. Con bella voce ampia, omogenea e solida, una musicalità ed un fraseggio raffinati ed una intonazione inappuntabile ha realizzato un ritratto della Stuarda completo ed articolato evidenziandone i diversi aspetti della sua poliedrica e non univoca personalità con immediatezza, freschezza e credibilità. Alla fine ha personalmente meritato dal pubblico i calorosi applausi ricevuti che sapevano francamente di primo successo e non di benevolo incoraggiamento. Ci auguriamo che i lavori del progetto “Fabbrica” possano proseguire con risultati altrettanto lusinghieri e possano aiutare i giovani talenti a perfezionarsi e a trovare inserimento nel mondo del lavoro forse mai così difficile come in questo momento, senza trasformarsi occultamente nell’ennesimo sistema per reperire mano d’opera a basso costo secondo un purtroppo noto copione già in parte visto nel settore della formazione e in ambito accademico, valga per tutti l’esperienza degli specializzandi in medicina.
La direzione di questa Maria Stuarda è stata affidata al maestro Paolo Arrivabeni, il quale forse in modo un po’ discontinuo è comunque riuscito a renderne efficacemente sia la tensione emotiva che a vivacizzarne i momenti in cui la partitura sembrerebbe adagiarsi in una sorta di pigra ed autocompiaciuta mestizia. Buona la prova del coro che sia pure con qualche episodica imprecisione ha validamente contribuito a creare il clima emozionale appropriato e a rendere la tinta del secondo atto. Elisabetta è stata impersonata da Carmela Remigio probabilmente con l’intento di ricondurre la deuteragonista all’originale scrittura per soprano che la prassi esecutiva aveva trasformato in mezzosoprano, scelta appartenente allo stesso ambito per il quale abbiamo probabilmente ascoltato nel primo atto il coro che sarà poi della Favorita e operazione analoga a quella avvenuta in passato per alcune edizioni della Norma. Se però i risultati in quest’ultima sono stati talvolta anche molto convincenti soprattutto se in si era in presenza di una protagonista di non straordinario peso vocale, in questa occasione la scelta ha lasciato più perplessi. Difficile immaginare un’Elisabetta credibile dalla voce più chiara di quella di Maria, con un registro centrale e grave di scarso spessore e sul quale la parte insiste spesso, al di là delle intenzioni e della indubbia serietà dell’interprete. Anche la recitazione fin troppo prevedibile e stereotipata ha contribuito a rendere l’impressione di un personaggio più diligentemente compitato che non profondamente vissuto. Il tenore Paolo Fanale nel ruolo di Roberto ha offerto un ritratto del personaggio scarsamente definito ed esteriore nelle intenzioni espressive, cantando con musicalità in apparenza un po’ brada, fraseggio grossolano e qualche disomogeneità nel registro acuto. Discreto ma un po’ discontinuo il Cecil di Alessandro Luongo e buono il Talbot di Carlo Cigni il cui timbro e dizione ben hanno saputo rendere la riservata e profonda autorevolezza del personaggio. La regia affidata ad Andrea De Rosa colloca la vicenda in una generica età moderna e fra imprecisioni, ingenuità e qualche aspetto poco credibile di protocollo di corte nel complesso non ostacola la narrazione della storia pur privandola di un carattere veramente regale che tanto sembrerebbe preoccupare i registi di oggi, un po’ talvolta per scarsa conoscenza, un po’ forse per scelta ideologica, con l’idea un po’ piccolo-borghese che spostando la lettura sul versante intimo in fondo, parafrasando una nota telenovela, “anche i ricchi piangono”. In ogni caso se oggettivamente è compito arduo riuscire a trovare nuovi ed originali percorsi di lettura in personaggi così impressi nella memoria del pubblico dalle trasposizioni del teatro musicale e di prosa, dalla letteratura e dal cinema, probabilmente questi riescono efficacemente a vivere di vita propria e ad entrare in immediato contatto con il pubblico proprio grazie a questo ricco e secolare immaginario collettivo. Foto Yasuko Kageyama