Sevilla, Teatro de la Maestranza
FeMÀS – Festival de Música Antigua de Sevilla, 34a edición
Collegium Vocale Gent
Direttore Philippe Herreweghe
Tenori Maximilian Schmitt, Olivier Coiffet
Bassi Florian Boesch, Matthias Lutze, Peter Kooij
Baritono Philipp Kaven
Soprani Alexandra Lewandowska, Viola Blache
Contraltista Piotr Olech
Johann Sebastian Bach: Passione secondo San Matteo
Sevilla, 8 aprile 2017
Confraternite, flagellanti, cruciferi, nazzareni incappucciati, portatori di statue e baldacchini, bande processionali e percussioni a non finire: attraversata da cortei di migliaia di persone a ogni ora del giorno e della notte sin dal venerdì che precede la Domenica delle Palme, Siviglia offre lo spettacolo inesauribile della religiosità pasquale e di un minuzioso memoriale liturgico di origini medioevali tutto ambientato per le strade e le piazze della città, all’ombra della Giralda. La Passione secondo Matteo di Bach, scelta per concludere nel Teatro della Maestranza la 34a edizione del Festival di musica antica (quest’anno centrato su Monteverdi), piomba come un corrispettivo artistico di severo equilibrio, quasi un contrappasso che riporta al testo evangelico, arricchito dalle chiose della sensibilità luterana e della poesia barocca: soprattutto freno alla fantasia popolare, limite alle possibilità di rappresentazione alternativa del calvario che non siano quelle suggerite dal racconto e dai personaggi di Matteo. Philippe Herreweghe è il grande demiurgo dell’esecuzione: dirige quasi tutto a memoria, canta con i solisti e con il coro, si sposta nell’emiciclo lasciato vuoto intorno al podio per avvicinarsi alla sezione di strumentisti che accompagnano le arie, e con le sole mani guida canto e musica di ciascun numero, espressione dopo espressione, nel dettaglio delle dinamiche e dei rapporti interni. Il Collegium Vocale Gent per l’occasione si presenta suddiviso in due schieramenti orchestrali e corali simmetricamente disposti, con una sezione strumentale e vocale di rinforzo posta nel centro, in modo da moltiplicare l’effetto di enunciazione oratoriale, spesso propriamente teatrale della passione. Herreweghe, del resto, è oggi forse il più esperto interprete di questo repertorio, di cui riesce a cogliere ogni aspetto, compresi quelli drammaturgici; anche quando stacca dei tempi piuttosto rilassati non dimentica di marcare gli accenti, esaltando così il sussulto ritmico della partitura e delle sue emozioni più profonde. Tra le molte voci soliste meritano una menzione quella tenorile di Maximilian Schmitt, un Evangelista vibrante e capace di rinnovare continuamente l’espressività dei suoi molteplici interventi; del bass-baritone Florian Boesch, un Gesù accuratissimo nella dizione; del contraltista Piotr Olech, dalla linea di canto molto precisa e dal timbro delizioso all’ascolto. Di tutti gli altri interpreti, come per il suono strumentale, si può dire che la vocalità non inclini mai a nulla di petulante, di stridulo o di eccessivo: l’esecuzione, detto diversamente, si presenta come il risultato di un lavorio alla ricerca dell’equilibrio e della giusta misura, senza tralasciare le componenti drammatiche della Passione. I momenti espressivi più icastici sono affidati al coro, mentre l’espressività più toccante è certamente quella degli strumenti obbligati nell’accompagnamento delle arie: i due violini di spalla, l’oboe, il flauto, il fagotto, il violoncello, la viola da gamba. Nei momenti di plenum corale le sezioni di fiati e archi raddoppiano, raggiungendo sonorità sinfoniche di grande impatto, del tutto plausibili in uno spazio ampio come il Teatro della Maestranza. E il pubblico di Siviglia, aduso al repertorio barocco ma sicuramente più abituato a forme di rappresentazione del sacro molto diverse da quelle dell’oratorio luterano, dimostra una concentrazione straordinaria nel corso di tutta l’esecuzione, liberando al termine applausi prolungatissimi per tutti gli artisti e scattando quasi subito in piedi per festeggiare il direttore e l’ensemble. Lo stesso Herreweghe pare colpito da tanto entusiasmo e rinnova i ringraziamenti suoi e del complesso di Gent: momento che dimostra come paesi di latitudine e cultura tanto diverse possano felicemente dialogare, nel nome di un’eredità europea sempre meritevole di essere ascoltata e meditata.