“Andrea Chénier” al Teatro dell’Opera di Roma

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2016/2017
“ANDREA CHÉNIER”
Dramma di ambiente storico in quattro quadri. Libretto di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano
Andrea Chénier  GREGORY KUNDE
Carlo Gérard  ROBERTO FRONTALI
Maddalena di Cogny MARIA JOSE’ SIRI
La mulatta Bersy NATASCHA PETRINSKY
La contessa di Coigny ANNA MALAVASI
Madelon ELENA ZILIO
Roucher  DUCCIO DAL MONTE
Il Romanziero/ Fouquier Tinville GRAZIANO DALLAVALLE
Il sanculotto Mathieu GEVORG HAKOBYAN
Un “incredibile” LUCA CASALIN
L’Abate ANDREA GIOVANNINI
Schmidt/Il Maestro di casa/ Dumas TIMOFEI BARANOV*
*dal progetto “Fabbrica” – young artist program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra  e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Roberto Abbado
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Marco Bellocchio
Scene  e luci Gianni Carluccio
Costumi Daria Calvelli
Movimenti coreografici Massimiliano Volpini
Nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro “La Fenice” di Venezia
Roma, 26 aprile 2017
La vicenda del poeta francese ucciso durante il Terrore musicata da Umberto Giordano  su libretto di Luigi Illica si svolge in uno di quei periodi della storia sui quali il giudizio non è a tutt’oggi sereno e soprattutto univoco. Composta negli ultimi anni dell’ottocento l’opera risente senza dubbio del clima culturale del tempo, riassumendo istanze che vanno al di là del discorso musicale come l’attenzione alle tematiche del riscatto sociale e di una maggiore equità nella distribuzione delle risorse, un anticlericalismo di matrice liberal-massonica, l’ostilità un po’ invida della borghesia imprenditoriale nei confronti dell’aristocrazia, un tocco di retorica patriottica post unitaria e in sostanza il conflitto ancora non sanato nella nostra cultura tra le ragioni di chi, per dirla con Gerard, vuole “gli uomini in dii mutare” e di chi invece crede in una trascendenza sia pure qui declinata genericamente in amore da Maddalena, ma dietro il quale sembrerebbe far capolino neanche tanto di nascosto una vena sentimentalistica di matrice cattolica. Sono gli anni nei quali inizia ad animarsi il movimento socialista ma sono anche gli anni della “Rerum Novarum”. Nell’opera che offre un affresco abbastanza articolato di molteplici aspetti della rivoluzione e di riflesso dell’Italia di fine ‘800, molti dei quali semplicemente indifendibili allora come oggi da qualsiavoglia impostazione ideologica, tale conflitto non viene sostanzialmente superato ma abilmente relegato in secondo piano rispetto al tema della rivoluzione che divora i suoi figli e soprattutto della vicenda amorosa priva di verità storica tra i due protagonisti. L’opera mancava dal Teatro dal 1975 e la riproposta è stata affidata al maestro Roberto Abbado ed al regista Marco Bellocchio. Molto convincente è parsa la direzione del maestro Abbado, scorrevole e priva di retorica ma comunque molto attenta a porre nel giusto risalto i numerosi e diversi momenti espressivi della partitura, con una singolare attenzione a seguire  le ragioni del canto e, saggiamente, dei cantanti. Buona la prova dell’orchestra e del coro diretto dal maestro Roberto Gabbiani. Nella parte del protagonista il tenore Gregory Kunde ha cantato con bella voce, elegante linea di canto ed acuti sicuri sia pure con qualche disomogeneità nel registro grave, dipingendo uno Chénier a tratti un po’ compassato ma giovane, sensibile e sinceramente innamorato, ampiamente e meritatamente applaudito dal pubblico a ciascuno dei molti appuntamenti attesi. Maddalena è stata impersonata con voce bella e ricca di sfumature dal soprano Maria José Siri. Un po’ generica nella caratterizzazione del primo atto ha trovato nel corso della serata una convincente via interpretativa per renderne in modo efficace la dolcezza, la passionalità, la nobiltà del personaggio. Gérard è stato il baritono Roberto Frontali il quale senza possedere la magia vocale di alcuni  grandi interpreti storici in termini di registro acuto e timbro, ha creato un personaggio di intensa espressività e di particolare vitalità teatrale, ricco di sfaccettature e senza cadute di gusto. Molto brava Anna Malavasi nel caratterizzare anche vocalmente l’alterigia della contessa di Coigny, corretta ma convenzionale la Bersy di Natascha Petrinsky. Molto applaudita e meritatamente la Madelon  di Elena Zilio la cui voce ormai frammentata e disomogenea le consente ancora la zampata del leone. Bravo Duccio Dal Monte nei panni di Roucher e tutti molto professionali e covincenti gli altri artisti impegnati nel caratterizzare le numerose e musicalmente non sempre facili parti minori.
La regia di Marco Bellocchio ambienta la vicenda all’epoca in cui è previsto debba essere collocata, narrandola con scorrevolezza, privilegiando la vicenda amorosa e relegando in sottofondo giudizi ideologici che pure sono espressi. Alla fine del secondo atto i giacobini ostentano il pugno alzato, la carretta che conduce i condannati al patibolo passa con poco pathos forse a voler minimizzare anche l’impatto emotivo delle nefandezze del Terrore, solo descrittiva appare la scena del processo a Chenier senza alcuna sottolineatura della turpitudine di Fouquier-Tinville e della bieca ferocia del popolo presente.    L’aristocrazia infine nel primo atto si muove tutta in modo ridicolo e caricaturale a sminuirne il prestigio, dimenticando non solo la realtà storica ma anche quanto descrive l’opera che mostra un mondo certamente chiuso egoisticamente  in se stesso ma di estrema e raffinata civiltà, nel quale si fa musica, si invitano poeti e danzatori e si fa anche della beneficenza con l’abito di carità non per ipocrisia ma per delicatezza  e rispetto. Non credo sia necessario ricordare, visto che si parla di melodramma, che Maria Antonietta l’ultima regina di Francia era musicista ella stessa e fu protettrice di Gluck. Il presuntuoso, miope e fatale ripiegamento in se stessa di questa classe sociale sconfitta dagli eventi e da oltre due secoli di sorda e continua campagna denigratoria è descritto drammaticamente dalla solenne  e forzosa ripresa della gavotta nel finale primo, ben sottolineata musicalmente dal direttore. Insomma, non è con una regia che ci si potesse aspettare di ricomporre incomprensioni, falsità e conflitti ideologici secolari. Forse qualche presa di posizione più originale e decisa poteva esserci ma forse non è poi compito dell’opera scendere così in profondità soprattutto in questioni ancora così aperte.  Alla fine l’amore prende il sopravvento, le belle melodie di Giordano spiccano il volo e il pubblico applaude a lungo e contento. Foto Yasuko Kageyama