Venezia, Palazzetto Bru Zane, Stagione 2016-2017
Arpa Nabila Chajai
Camille Saint-Saëns: Fantaisie pour harpe op. 95
Stan Golestan: Ballade roumaine
Fernand de La Tombelle: Fantaisie ballade
Claude Debussy: Ballade slave, La plus que lente
Marcel Tournier: L’Éternel rêveur, Au matin
Henriette Renié: Légende
Gabriel Fauré Une châtelaine en sa tour op. 110
Venezia, 18 marzo 2017
L’arpa è uno strumento antichissimo, anzi il più antico strumento a corde oggi conosciuto: le sue origini risalgono ai primordi della civiltà e la sua presenza è attestata da tempo immemorabile nelle più diverse aree geografiche, mentre la sua evoluzione tecnica è durata molti secoli, dalle prime arpe diatoniche con un esiguo numero di corde all’attuale arpa cromatica – diffusasi a partire dal primo Ottocento –, dotata di 46-47 corde, con un’estensione di sei ottave e mezzo, che può suonare in tutte le tonalità, dunque particolarmente adatta al cromatismo tardo-ottocentesco e alle ricche sonorità della scuola francese moderna. Forse non tutti sanno che questo tipo di arpa – dovuta al genio del francese Sébastien Érard – è fornita di ben sette pedali a doppia tacca, grazie ai quali è possibile innalzare l’altezza di ogni corda di uno o due semitoni: questo per far capire anche il livello delle difficoltà tecniche che nasconde questo nobile strumento, da sempre simbolo della musica stessa e delle sue seduzioni, cui non a caso Monteverdi, nel suo Orfeo, affida il compito di accompagnare – ad imitazione della lira – il divino cantore-incantatore delle selve come di ogni altro essere vivente.
Un esempio quanto mai ricco e significativo delle possibilità tecnico-espressive dell’arpa moderna è stato offerto, nel concerto di cui ci occupiamo, da Nabila Chajai, che ha incantato il pubblico, che gremiva la deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane, eseguendo un articolato programma – che spaziava dagli ultimi anni dell’Ottocento al primo Novecento –, si può dire tutto francese, visto che anche il rumeno Stan Golestan compì gli studi musicali a Parigi, partecipando poi alla vita musicale della ville lumière. La solista – che attualmente ricopre il ruolo di “prima arpa” presso l’orchestra del Teatro La Fenice – ha dimostrato un’insuperabile padronanza tecnica, unita ad una ragguardevole finezza interpretativa, che le ha permesso di rendere con sicura maestria il carattere diffusamente virtuosistico dei pezzi presentati, ma anche di metterne in evidenza ogni valenza espressiva, grazie ad un uso estremamente sapiente del “pizzicato”, che andava da un intervento deciso delle dita sulle corde, ad ottenere il tipico suono turgido, ricco di armonici, che caratterizza lo strumento, ad un vero e proprio accarezzare le corde, facendo risuonare tenui atmosfere incantate, esotiche, lunari. Un trascendentale virtuosismo ha sfoggiato la solista in particolare nelle due fantasie rispettivamente di Camille Saint-Saëns e di Fernand de La Tombelle – autore cui sarà dedicato dal Palazzetto bru Zane il prossimo festival di primavera –, mentre in Une châtelaine en sa tour di Gabriel Fauré e in Légende di Henriette Renié – la prima donna arpista che ebbe una carriera da solista e scrisse anche molto per il suo strumento – l’interprete ha saputo rievocare un Medioevo fantastico, tra arcaismi sonori e finezze armoniche. Particolarmente affascinanti i due pezzi, arrangiati dalla stessa Chajai dagli originali debussyani per pianoforte, che rivelano una scrittura assai varia: è stata resa magnificamente l’atmosfera malinconica che caratterizza Ballade Slave e il tono salottiero che si coglie in La plus que lente, tra scherzo e malinconia. Di grande suggestione anche i pezzi di Marcel Tournier, docente di arpa al Conservatorio parigino (Au matin e L’Éternel rêveur) e del già citato Stan Golestan (Ballade roumaine), che testimoniano dell’arricchimento del repertorio per arpa realizzatosi nella prima metà del Novecento. Applausi prolungati, placati da un bis: una Gymnopédie di Erik Satie.