Berlino, Pierre Boulez Saal
Boulez Ensemble
Direttore Daniel Barenboim
Pianoforte Karim Said
Violino Michael Barenboim
Viola Yulia Deyneka
Clarinetto Jörg Widmann
Soprano Anna Prohaska
Pierre Boulez: “Initiale per sette ottoni; “Sur Incises”, per tre pianoforti, tre arpe e tre percussioni
Franz Schubert: “Der Hirt auf dem Felsen” D965
Wolfgang Amadeus Mozart: Quartetto per pianoforte n. 2 in mi bemolle maggiore K.493
Alban Berg: Concerto da camera per pianoforte violino e 13 strumenti a fiato
Jörg Widmann: Fantasia per clarinetto solo (1993)
Berlino, 4 marzo 2017
Pensando alla musica di Boulez, la prima sensazione che sorge è il suo ipnotismo magnetico che tine l’orecchio in sospeso fin quando il suono, a volte spigoloso, a volte insistente, non arriva ad un punto di culmine. Come un turbine, una tromba d’aria, che parte pian piano preparandosi, per poi scatenarsi di colpo e con irruenza, senza pietà, prima di allontanarsi, lasciando un vuoto là dove è passata. L’architetto Frank Gehry, ha saputo render concreta questa sensazione, e l’appena inaugurata Pierre Boulez Saal di Berlino, sembra rispecchiare a pieno i paesaggi sonori che il compositore francese ci ha lasciato in eredita nella sua musica. Tre ellissi, tre cerchi concentrici, che come una tromba d’aria, per l’appunto, tendono verso il basso, e nei quali le onde sonore si propagano fino a raggiungere l’orecchio dell’ascoltatore. Ogni singolo suono, persino il respiro di un clarinettista, è perfettamente udibile, anche da chi non è seduto al suo fianco. L’acustica di questa sala, opera dell’ingegnere Yasuhisa Toyota, collaboratore di Gehry, è a dir poco stupefacente.
L’idea in sé, probabilmente è un po’ simile al concetto della Philharmonie di Hans Scharoun, nella quale è il pubblico a ruotare attorno ai musicisti, divenendo esso stesso il vero protagonista. E in effetti, è proprio così, perché si fa presto a sentirsi un po’ a casa, come se a un tratto, seduti sulla propria poltrona in salotto, un musicista stesse eseguendo qualcosa per noi, proprio sotto i nostri occhi. E siamo sinceri… chi non ha mai desiderato che questo potesse accadere?
Per l’inaugurazione della Boulez Saal, è Daniel Barenboim a fare gli onori di casa. E’ lui l’ideatore di questo progetto, che si inserisce all’interno della “Barenboim Said Akademie”, l’accademia allestita negli ex magazzini scenografici della Staatsoper, che già da qualche mese ospita studenti provenienti dal medio oriente, in accordo all’idea della West Eastern Divan Orchestra, fondata nel 1999 dallo stesso direttore d’orchestra insieme allo scrittore Edward Said, con lo scopo di favorire il dialogo tra musicisti provenienti da paesi tra di loro in conflitto, alcuni di essi da tempi molto lontani, come israeliani e palestinesi.
E la stagione concertistica appena iniziata, sembra già essere un potpourri di generi diversi, nel quale al fianco della musica contemporanea dei più tra gli alti nomi del nostro secolo, si piazza il jazz e la musica araba. Quest’ultima, spunto di riflessione che sembra incuriosire, specialmente le donne dell’alta borghesia tedesca, che tanto adorano far sfoggio di una passione per l’esotico a dir poco galoppante. Sta di fatto però che di questi tempi l’idea, certamente non nuova, di unire popoli in conflitto tra di loro, è da considerarsi ammirevole. E’ un’idea resa possibile grazie all’anima multiculturale di Berlino, che ha saputo superare vicende storiche ben complesse, riponendo la propria fiducia nell’altro.
Ed è un po’ questo il fulcro del discorso, sul quale Barenboim sembra focalizzarsi con lo sperare che “questo luogo possa divenire un punto d’incontro per lo studio della musica araba in Europa”. E’ il suo desiderio, da lui espresso nel corso della serata di inaugurazione.
Interessante il programma scelto per l’occasione, eseguito dall’appena nato Boulez Ensemble. Per prima è una Initiale, dell’87, scritta da Boulez per sette ottoni, a risuonare con potenza. In questo caso il podio è stato piazzato in cima, nell’ultima ellisse della sala, gli strumenti ai lati, sempre in alto, un espediente che fornisce al pubblico una visione diversa di musica da camera, nella quale anche le sedie sembrano vibrare, o per meglio dire un po’ tremare a magnitudo tre della scala Richter. Valido il soprano di coloratura Anna Prohaska, nel “Der Hirt auf dem Felsen” ( il pastore sulla rupe) uno degli ultimi capolavori che Franz Schubert lasciò all’umanità poco prima della sua morte. Dalla vocalità calda ma al contempo delicata, il soprano di origini austriache, ha interpretato con gusto questo Lied , vocalmente non dalla facile esecuzione. Ad accompagnarla al pianoforte lo stesso Barenboim e al clarinetto il noto compositore tedesco Jörg Widmann ( oggi anche docente dell’accademia) il quale ha poi anche eseguito una sua famosa fantasia per strumento solista.
Lo stile compositivo di Widmann interessa oggi più che mai coloro i quali ricercano sonorità inaudite. Nella sua musica c’è tutta un’alternanza di silenzi, respiri e note coronate che portano ad un viaggio introspettivo. In questa Fantasia per clarinetto solo del 1993, proposta per l’occasione, piena di scale e abbellimenti, terzine, sestine e glissandi scivolanti, il cui tema principale sembra quasi dividersi in due come una sorta di botta e risposta, Widmann è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico, complici le sue eccellenti doti tecniche da bravo clarinettista oltre che da effervescente compositore.
Brava la violista Yulia Deyneka ( viola solista degli Staatskapelle e adesso docente alla Barenboim Said Akademie) ed il violoncellista Kian Soltani, nel Quartetto per pianoforte n 2 in mi bemolle maggiore K.493 di Mozart.
La seconda parte del concerto ha proposto due importanti pagine della musica contemporanea: il Concerto da camera per pianoforte violino e 13 strumenti a fiato di Alban Berg e Sur Incises di Boulez. Al pianoforte l’interessante Karim Said, allievo di Barenboim, e bravo esecutore dal tocco deciso, minuto di statura, ma espressivamente grande. Solistico il violino di Michael Barenboim in Berg. Il figlio del direttore d’orchestra tuttavia apparentemente ha risentito anch’esso dell’influenza “severa” del padre, il quale porta oggi con sé questa nomina, riscontrabilissima come si può vedere nella qualità della musica da lui eseguita e soprattutto nella scelta dei musicisti. A conclusione della serata, il monumentale Sur Incises, di Boulez ( per tre arpe, tre pianoforti e tre strumenti a percussioni ) il secondo degli Incises che si basano sull’esacordo Sacher, un po’ sulla stessa scia di Derivare 1, Messagesquisse e Répons. L’esecuzione di questo particolarissimo lavoro di Boulez da parte di Barenboim è da definirsi impeccabile. E dall’alto, guardando bene lo spartito che Barenboim ha sul podio, sembra scorgere le righe di una dedica, quella di un amico, forse un maestro, il cui nome oggi rimane più che mai impresso nella memoria. Foto Peter Adamik