Il 20 gennaio 2014, il grande direttore d’orchestra italiano Claudio Abbado è venuto a mancare all’età di 80 anni (era nato a Milano il 26 giugno 1933). Profondamente rattristata e commossa per la scomparsa di un grande artista che ha illustrato il nome italiano nel mondo e ha regalato, con la sua bacchetta elegante, precisa e capace di disegnare nell’etere quella musica che traeva dall’orchestra, emozioni grazie alle sue splendide interpretazioni, la redazione di Gbopera intende ricordarlo attraverso la sua arte, consapevole del fatto che ogni parola, in questo momento, risulta superflua. Già da sue settimane la redazione di Gbopera aveva programmato la trasmissione delle 9 sinfonie da lui dirette sul podio dei Berliner Philharmoniker nella consapevolezza del grande valore artistico e storico di queste incisioni. Oggi la trasmissione di questa sua interpretazione dell’Eroica vuole essere un omaggio e un saluto che, speriamo, il grande Maestro possa gradire ovunque egli sia.
Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827)
Sinfonia n. 3 “Eroica” in mi bemolle maggiore op. 55
Allegro con brio – Marcia funebre (Adagio assai) – Scherzo (Allegro vivace)-Finale (Allegro molto)
Durata: 50’ca
“Nello scrivere questa sinfonia Beethoven stava pensando a Buonaparte, ma Buonaparte mentre era primo console. In quel tempo Beethoven aveva la più alta stima per lui e lo paragonava ai più grandi consoli di Roma antica. Non solo io, ma molti degli amici più intimi di Beethoven, videro questa sinfonia sul suo tavolo, meravigliosamente copiata in manoscritto, con la parola “Buonaparte” scritta nella parte superiore del frontespizio e “Ludwig van Beethoven” nell’estremità più bassa […]. Io fui il primo a riferirgli le notizie che Buonaparte si era proclamato Imperatore dopo di che egli si adirò ed esclamò: «Così egli non è più un comune mortale! Ora, egli calpesterà tutti i diritti umani, indulgerà solo sulla sua ambizione; ora egli si crederà superiore a tutti gli uomini, diventerà un tiranno!». Beethoven andò al tavolo, afferrò la parte superiore del frontespizio, la strappò a metà e la gettò sul pavimento. La pagina dovette essere ricopiata e fu solo ora che la sinfonia prese il titolo di Sinfonia eroica”.
Ferdinand Ries, allievo e biografo di Beethoven, descrive così la delusione del compositore nell’apprendere che Napoleone Bonaparte, al quale inizialmente l’opera era stata dedicata, si era proclamato imperatore rinnegando di fatto i principi della Rivoluzione Francese e della ragione illuministica. Venuta meno ogni possibilità di una palingenesi politica e morale, nella quale l’avvento di Napoleone aveva fatto sperare, per Beethoven non ebbero più alcun senso né la dedica né il titolo originario Bonaparte, che fu modificato in Sinfonia eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grande uomo, come si legge nell’edizione a stampa sia delle parti, la cui pubblicazione risale al 1806, sia della partitura di tre anni posteriore. Alla delusione per la situazione politica, inoltre, si erano aggiunti altri drammi personali: la sordità, che nel 1802 si era aggravata al punto tale da indurlo a meditare il suicidio, e l’amore non corrisposto per la contessa Giulietta Guicciardi, sua allieva di pianoforte, che nel 1803 aveva sposato il conte Gallemberg. Proprio a questo periodo così drammatico risalgono la stesura delle prime battute dell’Eroica, composta tra il 1802 e il 1804, e il commovente Testamento spirituale di Heiligenstadt redatto tra il 6 e il 10 ottobre del 1802, dove appaiono alcuni propositi suicidi. Per dare una forma musicale alla tempesta emotiva che stava sconvolgendo la sua vita, il compositore, non soddisfatto dei tradizionali schemi della forma-sonata, realizzò una struttura musicale estremamente complessa, in cui ogni movimento risulta ampliato in modo considerevole, i temi sono sottoposti ad uno sviluppo e ad un’elaborazione fuori dal comune, che testimonia un profondo travaglio interiore, e, infine, gli stati d’animo vengono rappresentati con icastica efficacia narrativa. Questa struttura complessa non sfuggì ai primi commentatori che alla prima esecuzione pubblica della sinfonia, avvenuta il 7 aprile 1805 al teatro An der Wien sotto la direzione dello stesso Beethoven, rimasero disorientati esprimendo il loro disappunto per non essere riusciti a cogliere nell’opera l’unità dell’insieme. In una recensione, apparsa su un giornale viennese, si legge:
“Chi scrive è senz’altro uno degli ammiratori più sinceri di Beethoven, ma deve confessare di ritenere molte cose stridenti ed eccentriche tali da impedire di cogliere l’insieme, perdendo quasi totalmente il senso dell’unità”.
A sua volta un corrispondente del giornale «Freymüthige» di Berlino scrisse:
“Alcuni amici di Beethoven sostengono che proprio questa sinfonia è il suo capolavoro […]. Un’altra fazione nega invece che l’opera abbia qualsiasi valore artistico e sostiene di vederci solo l’indomito tentativo del compositore di essere originale, tentativo che però non è riuscito ad ottenere in nessuna delle sue parti né l’autentica bellezza né il sublime. Attraverso strane modulazioni e violente transizioni, combinando gli elementi più eterogenei – come quando, per esempio, un’ampia pastorale viene fatta a pezzi da contrabbassi, tre corni e così via –, si può ottenere senza troppi problemi una certa originalità non proprio desiderabile; ma il genio non afferma se stesso nell’insolito e nel fantasioso, bensì nel bello e nel sublime; e Beethoven stesso ha dimostrato questo assioma nei suoi lavori precedenti”.
Anche il pubblico manifestò la sua contrarietà soprattutto per l’eccessiva lunghezza della sinfonia, al punto che, secondo un aneddoto alquanto verosimile, uno spettatore dalla galleria del teatro gridò: Pago un altro kreutzer se questa roba finisce. Dallo studio dei numerosi abbozzi e appunti sembra che Beethoven abbia concepito la sinfonia dal Finale, in quanto l’idea tematica, sulla quale si basa la poderosa costruzione sinfonica, è costituita dallo scarno tema, quasi basso da passacaglia, già utilizzato nelle Variazioni op. 35 per pianoforte e nel Finale del balletto Le creature di Prometeo. Da questa idea tematica nasce, infatti, il primo tema (Es. 1) del primo movimento, Allegro con brio, in cui alla riduzione della sezione introduttiva a due aforistici, quanto perentori, accordi, si contrappone l’ampliamento della sezione di sviluppo, dove è introdotta una nuova idea tematica ampiamente elaborata nella lunga coda. In questo primo movimento, nel quale si assiste ad una proliferazione delle idee tematiche, sembra che l’eroe, rappresentato dal primo tema, sia sottoposto ad un processo di maturazione che si realizza tramite la lotta contro le avversità e le diverse situazioni della vita, rappresentate proprio dagli altri temi. Se il tema della sezione modulante, scritto nello stile di conversazione già utilizzato da Beethoven in precedenza, con il suo carattere pensoso sembra disegnare un’oasi di serenità, lo statico e armonico secondo tema (Es. 2), esposto alla dominante, costituisce una pausa dopo la tempestosa conclusione del ponte modulante. All’apparente semplicità del materiale tematico fa riscontro una capacità di sviluppo dello stesso che evidenzia il labor limae effettuato da Beethoven intorno agli incisi di ogni tema che vengono isolati e modificati ritmicamente con spostamenti di accenti sul secondo tempo. La sezione di sviluppo è particolarmente ampia con l’introduzione di una quarta idea tematica (Es. 3) di carattere cantabile e meditativo che sembra rappresentare il raggiungimento di uno stato di maturità da parte dell’eroe. Non a caso questo tema fornisce il principale materiale musicale dell’elaborata coda.
Nella successiva Marcia funebre, equivalente laico della cattolica Messa da Requiem negli anni della Rivoluzione francese, l’eroe sembra che si abbandoni ad una meditazione serena sulla morte. Movimento estremamente elaborato, la Marcia funebre presenta una struttura tripartita. La prima, che si apre in modo tetro con un marziale tema in do minore costituito da ritmi puntati, trova un primo esile squarcio di luce nel lirico tema in mi bemolle che, subito dopo, ripiega di nuovo nello scuro do minore, tonalità in cui ritorna il tema iniziale. Un vero squarcio di luce si apre nella sezione centrale in do maggiore, mentre la ripresa, molto elaborata per la presenza di un fugato, ristabilisce il clima tetro dell’inizio, al quale l’eroe sembra volere perentoriamente reagire nella coda quando corni e trombe si producono in un grido fortissimo. Nello Scherzo, il cui carattere perentorio e impetuoso sembra ridonare una certa vitalità all’eroe, si afferma una scrittura formata da note staccate leggerissime, destinata a diventare canonica anche nelle altre sinfonie. Il tema del Trio, affidato ai corni, con i suoi richiami al tema fondamentale dell’intera sinfonia, contribuisce a conferire all’opera quella profonda unità interna che era sfuggita ai primi commentatori. Il Finale è di difficile classificazione formale, dal momento che si presenta come una sintesi perfetta di varie forme musicali quali il Rondò, il tema e variazioni e la forma-sonata. Il tema, scarno ed essenziale quasi basso da passacaglia (Es. 4), si presenta arricchito dal punto di vista contrappuntistico oltre ad essere sottoposto ad un’elaborazione estremamente complessa che anticipa le opere successive del compositore di Bonn. Con questo Finale, che si conclude con una coda impetuosa e travolgente, l’eroe, quasi nuovo Prometeo, il semidio che nella mitologia classica salvò l’umanità, si afferma pienamente, dopo aver rivisto e definitivamente superato per un attimo alcuni fantasmi della Marcia funebre, in un tripudio di timbri e sonorità a cui partecipa l’intera orchestra.