Siamo nella rubrica dedicata alle interviste, ma in questo caso si tratta di un importante focus in cui daremo spazio alla voce di Luciano Cannito. Napoletano, internazionalmente noto come coreografo e direttore artistico di Enti lirici e produzioni che hanno visto protagonisti i grandi nomi della danza, Luciano Cannito è oggi al centro di una importante questione politica che riguarda non solo la vita dei Corpi di Ballo nazionali legati alle pochissime fondazioni lirico-sinfoniche che ancora possono vantarne uno, ma il valore stesso dell’arte della danza come oggetto di studio e di lavoro. Chi scrive non appartiene al giornalismo di inchiesta da un punto di vista strettamente professionale (essendo la sottoscritta uno storico e critico del settore danza), ma in un momento così delicato è apparso quanto meno doveroso dedicare un approfondimento a questo tema dando la parola a uno dei protagonisti, cercando di contribuire a sostenere la petizione lanciata dallo stesso Cannito, che in pochissimi giorni ha già ampiamente superato le 12.000 firme. Segno di quanto stia a cuore la questione Danza agli italiani.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, come tutti sanno, è stato il licenziamento di quanto restava ancora in piedi del Corpo di ballo dell’Arena di Verona, triste séguito della sorte del MaggioDanza fiorentino. Non è questa la sede per ripercorrere quegli eventi, quanto invece per analizzare le reazioni e i possibili interventi per fermare questa pericolosa e autolesionistica deriva italiana. Sì, perché non solo l’Italia è la culla del balletto, ma il talento dei nostri danzatori ha arricchito le scene internazionali sin dalla fondazione delle grandi Scuole annesse ai Lirici nell’Ottocento – benché la tradizione storiografica sia stata tendenzialmente offuscata da una prospettiva eurocentrica. La Danza sembra non essere degna dell’attenzione che meriterebbe, nonostante lo sforzo e il grande sacrificio che richiede, e la nostra politica (scarsamente ferrata da un punto di vista culturale) rifiuta non solo di riconoscere l’indotto economico effettivo e potenziale che gli spettacoli di danza producono, ma di ignorare completamente il milione e mezzo di giovani che studiano quest’arte. Il tutto a partire dal fatto che in Italia ci sia una sola Accademia Nazionale e che, dopo l’istituzione dei Licei coreutici, non si consideri l’insegnamento della Storia della Danza come si dovrebbe, dato l’accorpamento indecoroso con la cattedra di Teoria e Tecnica, per non parlare della presenza dell’insegnamento storico a livello universitario. Ma, al di là di questo (a cui speriamo di dedicare uno spazio preciso più avanti), diamo la parola al promotore della petizione indirizzata al Presidente della Repubblica, nella quale si sottolineano le contraddizioni e le pericolose derive di una volontà demolitrice.
Maestro Cannito, la petizione da Lei lanciata ha avuto grande risonanza nell’ambiente e un successo immediato. Come si sta muovendo a livello politico, per far sentire la voce degli addetti ai lavori?
Sono stato contattato da diversi parlamentari, i quali hanno sempre un occhio di attenzione a change.org, perché la cosa ha suscitato parecchio clamore per aver raggiunto un numero altissimo di firme senza nessuna promozione mediatica, ma solo tramite post su Facebook. Ho ritenuto di dover mettere subito in chiaro la trasversalità dell’impegno, ovvero che non deve trattarsi di una proposta di legge proveniente da un’area o da un partito specifico, proprio per non rischiare di bruciare una cosa così importante che riguarda l’interesse di tutti, solo per presunti motivi ideologici.
Qual è il problema principale e quali soluzioni sta cercando?
Il problema dello Stato italiano è economico, si sa, ma l’ingiustizia è che a pagare sia la danza, vista come unico “peso” da tagliare rispetto ad altre forme d’arte che hanno altrettanti costi. Sto lavorando con chi mi sostiene, pensando anche ai fondi possibili da utilizzare al momento opportuno, per dimostrare la sostenibilità di quest’arte quando si dovrà avanzare un proposta di legge ad hoc. Non si tratta certo di una proposta di legge sulla danza italiana tout court, perché ci vorrebbero ben altri tavoli di discussione per un tema così ampio e problematico. Si pensi proprio al fatto che in Italia esistono cinquantaquattro conservatori e una sola Accademia di Danza riconosciuta dallo Stato…
Di cosa si tratta, senza entrare in dettagli che, al momento, sarebbero inopportuni?
È una proposta di legge che riguarda le fondazioni lirico-sinfoniche e il sostegno che lo Stato dovrebbe garantire agli allestimenti di balletto. Questi, si sa, non possono essere sostenuti senza un intervento di supporto e in Italia non esistono Compagnie private che siano in grado di allestire un balletto come Il Lago dei Cigni, Lo Schiaccianoci o La Bella Addormentata, se non in una versione contemporanea o neoclassica, proprio per i costi che quel tipo di allestimento comporta. Solo Daniele Cipriani, ad esempio, ha portato in scena da imprenditore privato Lo Schiaccianoci, ma nella versione creata da Amedeo Amodio per venti danzatori.
Quali sarebbero le conseguenze immediate di questa politica demolitrice?
Se nessun Ente lirico avrà un Corpo di ballo, non solo scomparirà il balletto classico dal panorama italiano, ma scomparirebbero di conseguenza tutti coloro che potrebbero intraprendere lo studio della danza, perché la motivazione primaria è quella di diventare una danzatrice o un danzatore del grande repertorio classico. Poi con l’età si cambia, si studia la danza per poterla declinare in tutte le sue forme, ma la prima spinta per iniziare uno studio così duro e lungo è questa e la chiusura dei Corpi di ballo, oltre al mancato allestimento dei grandi titoli, sarebbe un danno molto grave per tutto il sistema di formazione nel settore.
Esistono particolari difficoltà nel mettere insieme il mondo della danza, almeno in questo caso, visto che in genere gli italiani difficilmente si uniscono per protestare?
I contrasti interni sono quelli che esistono in tutto il mondo dell’arte, con una fortissima competitività e un notevole individualismo, ma fortunatamente non si tratta di una cosa grave. In questo caso ho la sensazione che si stiano superando gli individualismi e le appartenenze a questo o quel gruppo. Ci ho tenuto a sottolineare che la petizione non mi appartiene in senso assoluto e che cerco di farmi portavoce di quello che in tanti anni di carriera ho potuto imparare e che i giovani non sono ancora in grado di sapere.
Da un punto di vista mediatico com’è stato trattato l’argomento?
Ho cercato di mettere insieme quello si trova sui vari social, ma che non compare in genere sui giornali, che per lo più si dedicano agli spettacoli. Qualche rivista specializzata online ha dato notizia del grave fatto di Verona, ma nessuna testata nazionale riporta come dovrebbe queste informazioni, né le televisioni lo fanno. Non ci sono inchieste sull’argomento e, allora, ho pensato di dovermi adoperare per far sapere ai giovani quello che sta succedendo.
Qual è l’aspetto più grave della vicenda?
Questo, per me, è il momento storico giusto per impugnare la situazione e gridare al mondo la difficoltà di migliaia di famiglie che, con grandi sacrifici, riescono a far studiare i propri figli per poi vederli emigrare all’estero – come i minatori degli anni Trenta – nella speranza di lavorare in un corpo di ballo. Tutto questo è anche accettabile in un momento di crisi, ma la chiusura dei Teatri, laddove non ce ne è bisogno, non lo è affatto. La richiesta del pubblico è alta ma, per tutta risposta, si mettono in scena spettacoli con compagnie straniere e questo è scandaloso. A Torino ogni anno si fa la stagione con i russi – ed è motivo di vanto! – ma l’orchestra è rigorosamente torinese. Mai si penserebbe di sostituire le nostre orchestre perché, se così fosse, chiunque scenderebbe in piazza gridando allo scandalo. Se invece un sovrintendente chiude i corpi di ballo i sindaci italiani si complimentano “per l’ottimo lavoro svolto”. Mi chiedo cos’abbiamo mai fatto di male per meritare tanto. In Germania ci sono cinquanta corpi di ballo e noi in Italia non ce ne potremmo permettere dieci? Quando ce n’erano tredici la situazione era così drammatica? Oggi si vuole far pagare il prezzo degli errori passati ai giovani danzatori che non solo non c’entrano nulla, ma che non hanno gli strumenti per difendersi. Un prezzo troppo alto per poterlo sostenere.
Noi di GBopera Magazine non solo sosteniamo la petizione e quanto potrà seguire nell’elaborazione di proposte mirate a salvare la nostra Danza, ma invitiamo i colleghi della lirica, della sinfonica e tutto il pubblico a sottoscrivere la petizione qui condivisa, con un semplice click a questo link.