Fini che sono inizi. Serata Stravinskij al Teatro alla Scala di Milano.

Milano, Teatro alla Scala, stagione 2016-2017
PETRUŜKA”
Musica Igor Stravinskij
Coreografia Michail Fokin ripresa da Isabelle Fokine
La Ballerina VITTORIA VALERIO
Petruŝka  MAURIZIO LICITRA
Il Moro MICK ZENI
Il Ciarlatano ALESSANDRO GRILLO
Le Zingare  EMANUELA MONTANARI, MARIAFRANCESCA GARRITANO
Corpo di ballo del Teatro alla Scala e Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala
Scene e costumi Aleksandr Benois
Luci Marco Filibeck
“LE SACRE DU PRINTEMPS”
Musica Igor Stravinskij
Coreografia Glen Tetley Ripresa da Bronwen Curry
Scene e costumi Nadine Baylis
Luci John B. Read
Corpo di ballo del Teatro alla Scala
Direttore del Corpo di Ballo e della Scuola Frédéric Olivieri
Direttore d’orchestra Zubin Mehta
Produzione del Teatro alla Scala
Milano, 22 febbraio 2017
Assistere alla Serata Stravinskij condividendo il palchetto con una bimba newyorkése di cinque  anni alla sua prima scaligera è un’esperienza imprevista.
L’oro e il rosso degli interni, il brusio degli spettatori, i primi accordi dell’orchestra, l’alzarsi del sipario acquistano un fascino nuovo; pezzi musicali e coreografici chiosati da fiumi di inchiostro ritrovano la loro immediatezza originaria e dettagli apparentemente secondari diventano i protagonisti assoluti della scena.
Ma cominciamo dal principio, anzi dalla fine, ovvero da Le Sacre du printemps, per la coreografia di Glen Tetley, pezzo che chiude la serata dedicata al compositore russo e alla sua collaborazione coi Ballets Russes e diretta magistralmente da Zubin Mehta.
Su questo pezzo Lucinda – questo il nome della bambina – si è lentamente assopita, complici senz’altro l’ora tarda e la messa in scena minimale e archetipica dell’artista statunitense (1974), ma anche una certa debolezza di interpretazione da parte del Corpo di ballo, lontano dalla performance dell’American Ballet  Theatre del 1976 – con Mikhail Baryshnikov come protagonista – e anche dalla sua prima ripresa scaligera nella stagione 1980-1981 con Luciana Savignano e Paolo Bortoluzzi quali stelle indiscusse.
È mancata la forza tellurica che ci si attende da un rito di propiziazione della primavera o – nella lettura di Tetley – di ogni passaggio ciclico attraverso la morte per rinascere a nuova vita. È mancata la provocazione che il mito sorto intorno alla coreografia originale di Nijinskij del 1913 continua a esercitare, in primis sui diversi coreografi che nel corso del tempo si sono misurati con essa: da Wigman a Neumeier fino alla Bausch, dalla ricostruzione storica di Hudson e Archer passando per Bejart, Tetley stesso e più recentemente Waltz. Soprattutto, però, è mancato a livello visivo un adeguato corrispettivo della musica, che con la sua poliritmia e i suoi ammassi sonori, muove nello spettatore – anche a digiuno di scene e libri – un’inevitabile attesa di forza, imprevedibilità e ineluttabilità.
La ragione può essere rintracciata in una non piena armonizzazione da parte dei danzatori del duplice registro espressivo del coreografo statunitense: la danza classica ispirata da Antony Tudor, da un lato, e la modern dance appresa da Martha Graham, dall’altro. Nonostante alcune intense variazioni di gruppo, si è percepita infatti a livello individuale una certa insicurezza stilistica e fatica nella spinta cinestetica, ma soprattutto una scarsa drammaticità. Da segnalare, tuttavia, la convincente performance di Antonino Sutera, vittima sacrificale ed efficace imago Christi.
Tutt’altra atmosfera quella di Petruška. Risale al febbraio 1997 l’ultima volta in cui il capolavoro è stato presentato sul palcoscenico della Scala. Dopo venti anni, il capolavoro torna in scena nella versione originale del 1911, con la coreografia di Michail Fokin e l’allestimento di Aleksandr Benois, grazie alla ripresa di Isabelle Fokine, nipote del grande coreografo, erede del suo repertorio e custode del suo archivio.
La piazza dell’Ammiragliato di San Pietroburgo è un tripudio di colori, coriandoli, attrazioni e maschere. L’attenzione di Lucinda e di tutti gli spettatori in sala è al massimo grado. La musica di Stravinskij – con la sua policromia e il suo collage di tradizione russa, canzoncine da music-hall e valzer – trova una diretta corrispondenza nelle danze flokloriche, la mimica e gli assoli sulla scena: il Corpo di ballo si muove all’unisono sapendo dare a ogni carattere – dagli ubriachi alle zingare – la sua precisa connotazione. Così come la storia dell’infelice e malinconico manichino – che si vede conferire la vita da un vecchio ciarlatano per gioco e interesse e si trova poi a perderla a causa di un amore non corrisposto e osteggiato – trova eco nel cuore del pubblico.
Maschera del Carnevale russo a metà tra i nostri Pierrot e Pulcinella, Petruška riflette tutta la fragilità e insieme profondità dell’animo umano e trova in Maurizio Licitra un ottimo interprete. I passi en dedans, la schiena curva e l’agilità trasmettono chiaramente il ripiegamento su di sé e, insieme, la delicatezza e vivacità del cuore del personaggio. Così come le pose en dehors del Moro – interpretato da un Mick Zeni a tratti forse troppo baldanzoso anziché brutale come il ruolo vorrebbe – ben riflettono, invece, la sua sicurezza e presa sul mondo.
È però la scena finale – in cui il burattino appena ucciso viene sostituito da un fantoccio per poi ricomparire quale fantasma sul tetto del teatro – a innescare la magia e lo stupore in tutto il pubblico. Il fiato è sospeso perché per un attimo verità e finzione, carne e legno, sentimenti e azione, ordine e disordine si confondono lasciando a chi guarda la scelta: l’individuo è  rimosso dal collettivo alienato – secondo la celebre interpretazione di Adorno – oppure è invitato a un vertiginoso gioco di metamorfosi e travestimenti in cui a cadere sono di volta in volta solo ruoli e maschere esterne?
Lucinda di certo non si è posta questa domanda, ma ha detto che ciò che più le è piaciuto dello spettacolo è il prendere vita dei burattini e la loro danza. Ricordiamocelo in questo inverno che sembra non finire e con il Carnevale alle porte. (foto Brescia e Amisano)