Padova, Teatro Verdi, Stagione Opera e Balletto 2016
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, tratto da “Scènes de la vie de bohème” di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Mimì MAIJA KOVALEVSKA
Musetta MIHAELA MARCU
Rodolfo GIORGIO BERRUGI
Schaunard DANIEL GIULIANINI
Marcello GEZIM MYSHKETA
Colline GABRIELE SAGONA
Benoit DAVIDE PELISSERO
Parpignol LUCA FAVARON
Alcindoro CHRISTIAN STARINIERI
Sergente dei Doganieri LUCA BAUCE
Un Doganiere RICCARDO AMBROSI
Orchestra Filarmonia Veneta
Coro Lirico Veneto
Coro Voci Bianche “Cesare Pollini”
diretto da Marina Malavasi
Direttore Eduardo Strausser
Maestro del Coro Stefano Lovato
Regia, scene, costumi, luci Paolo Giani Cei
Padova, 29 Dicembre 2016
Debutto sfortunato per questa Bohème patavina: un plauso va, a nostro avviso, ad un pubblico esemplare per pazienza e rispetto delle professionalità in gioco. I nostri migliori auguri vanno al tenore Giorgio Berrugi – Rodolfo – colto da una tremenda bronchite proprio la sera dello spettacolo: completamente afono, il cantante ha deciso comunque di non cancellare e di portare in fondo lo spettacolo nonostante la febbre alta e la terribil tosse (scusate, non resistevo). Se, nei primi due quadri, sorpresa e imbarazzo del pubblico – nonostante il malessere di Berrugi fosse stato annunciato prima dell’inizio – hanno ovviamente prevalso, col trascorrere dei minuti lo sforzo e il sacrificio cui si stava sottoponendo il giovane tenore, barcamenandosi come poteva tra un’ottava e l’altra, sono stati commoventi, tanto che alla fine l’applauso più scrosciante è stato per lui, che si fa trascinare in scena all’ultimo dal regista, scuotendo la testa e chiedendo scusa. Tanto più che un’altra nostra firma, il collega Giordano Cavagnino, aveva già avuto il piacere di ascoltarlo a Torino lo scorso ottobre nello stesso ruolo, lodandone “la voce generosa e squillante e dall’ottimo controllo […] l’ ottima linea di canto e la notevole attenzione al dato espressivo”. Non ci è dato sapere che medicine prodigiose il buon Berrugi abbia assunto tra secondo e terzo quadro, fatto sta che la sua performance migliora notevolmente: se gli acuti sono inaccessibili, quanto meno in fascia centrale ritroviamo il timbro caldo e il fraseggio curato che conosciamo. In ogni caso una simile indisposizione causa non pochi problemi ai momenti d’assieme: in assenza del registro acuto di Rodolfo le altre voci si sono ritrovate decisamente più esposte. Questo non è stato certo un vantaggio per Mimì, Maija Kovalevska, artista di presenza notevole, ma purtroppo non sufficientemente espressiva. Molto più a suo agio nel Donde lieta uscì del terzo quadro, non brilla nel primo, dove la presentazione di Mimì non regala i brividi che il pubblico attende sul “…ma quando vien lo sgelo”. Non manca la scivolata sull’ “amor” in finale di primo quadro: senza Rodolfo e con uno breve strillo di Mimì l’applauso tarda a scattare. In ogni caso la voce c’è e possiamo spostare sulla regia la responsabilità della complessiva immobilità scenica del soprano. Tutt’altro che immobile era invece Mihaela Marcu, una Musetta davvero bellissima e a suo modo trascinante. La pasta vocale è un materiale eccellente, che tuttavia la Marcu non sfrutta al massimo delle proprie possibilità, limitandosi a un colore troppo spesso piatto e uniforme. Ne lodiamo comunque la pronuncia perfettamente intelligibile e la verve scenica davvero prorompente. Non entusiasma nemmeno lo Schaunard di Daniel Giulianini, forse fuori ruolo, che ricorre troppo spesso a un’emissione sforzata e a un fraseggio stentato. Resta comunque uno dei personaggi più vivaci in scena, riuscendo immediatamente simpatico al pubblico che lo saluta con numerosi applausi. Senza dubbio chi ha retto la serata è stato Gezim Myshketa, di cui abbiamo già in passato avuto modo di notare l’irreprensibile tecnica vocale. In questa difficile serata, il baritono albanese mostra inoltre nervi d’acciaio e una brillante abilità recitativa: è lui il motore della scena, lui a scuotere i colleghi e a spronarli con la propria spigliatezza e vivacità. Davvero un ottimo Marcello, che alterna il brio dello scanzonato pittore bohémienne a momenti di intenso lirismo quando non riesce a dimenticare la sua Musetta nel duetto (in cui fa praticamente tutto da solo) Oh Mimì tu più non torni. Grande successo anche per il Colline di Gabriele Sagona, che ci offre una Vecchia zimarra sentita e ben cantata. La voce risulta sempre perfettamente udibile e il timbro ricco e pastoso ben si fonde ad una presenza scenica ben studiata e caratterizzata. Ottimo il consolidato Benoit di Davide Pelissero, che abbiamo già avuto modo di lodare nello stesso ruolo per la propria irresistibile verve comica e per l’impeccabile cura del fraseggio. Simpaticissimo anche l’Alcindoro di Christian Starinieri. Completavano il cast Luca Favaron (Parpignol), Luca Bauce (Sergente dei doganieri) e Riccardo Ambrosi (Un doganiere).
Modesta la prestazione del Coro Lirico Veneto – preparato da Stefano Lovato – particolarmente all’inizio del secondo quadro, quando troppi scollamenti interni alle sezioni rovinano un momento che dovrebbe risultare confusionario solo dal punto di vista scenico, non da quello musicale. Il Coro di Voci Bianche “Cesare Pollini” è stato preparato da Marina Malavasi. Eduardo Strausser regge una serata difficile scegliendo dei tempi consoni alle possibilità dei cantanti; Strausser confeziona e dà una particolare impronta ad ogni quadro: se il secondo è certamente il meno riuscito, il terzo è invece quello in cui l’orchestra dà il meglio, particolarmente la sezione degli archi. Per quanto riguarda la scenografia Paolo Giani Cei opta per un simbolismo incentrato sulle quattro figure maschili dell’opera: ci sono quattro mucchi di oggetti bianchi per terra a rappresentare l’arte cui ciascuno dei personaggi è dedito. Troviamo degli strumenti musicali per Schaunard; dei libri, immaginiamo di filosofia, per Colline; risme di carta per il poeta Rodolfo e cornici di quadri per il pittore Marcello. I costumi sono moderni, i quattro artisti portano il chiodo, Marcello dipinge con lo spray, Mimì si presenta in opinabili leggins di pelle e Musetta è in tenuta animalier. E fin qui un discreto “mah”. Nel secondo quadro il locale di Momus è una specie di night club con un palo per la pole dance al centro. Ci può stare, ma con l’ingresso del coro di voci bianche l’ambientazione perde completamente di senso: siamo sempre dentro il locale? Siamo usciti fuori? Il palo è in mezzo alla strada? E i bambini? I musicisti che vengono fatti entrare in scena per la marcia finale sono all’interno? MAH². Nel terzo quadro le lattivendole in tacco 15 non sono sicuramente lattivendole, mentre nel quarto troviamo quattro letti in stile ospedaliero sempre coi mucchi di oggetti simbolici davanti a ciascuno. Ci sono sicuramente spunti interessanti, ma forse ancora troppo incoerenti per poter essere apprezzati completamente. Il pubblico mostra di aver capito e apprezzato l’impegno di tutte le figure professionali coinvolte e saluta la difficile serata con applausi scroscianti e calorosi. Foto Giuliano Ghiraldini