Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827)
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36
Adagio molto, Allegro con brio / Larghetto / Scherzo, Allegro – Trio / Allergo molto
Durata: 30’ca
Composta tra il 1800 e il 1802, la Seconda sinfonia riflette due stati d’animo contrastanti: la gioia e il dolore, indotti dalle esperienze esistenziali del compositore. I primi abbozzi risalgono, infatti, al 1800, anno in cui Beethoven conobbe la contessa Giulietta Guicciardi, una bellissima sedicenne della quale s’innamorò perdutamente. Il compositore visse l’amore per questa fanciulla, sua allieva di pianoforte, come un breve sogno, di cui è rimasta una splendida ed immortale traccia nella Sonata al chiaro di luna, destinato, però, ad infrangersi nel 1803 quando la giovane donna sposò il Conte Gallemberg. Nello stesso tempo cominciò a profilarsi il dramma della sordità, i cui sintomi, manifestatisi, per la prima volta, nel 1795, avevano costretto, nel 1801, Beethoven a ridurre drasticamente i suoi concerti pubblici in qualità di pianista. Dello stato di profonda frustrazione, nel quale versava l’animo di Beethoven, è eloquente testimonianza una lettera all’amico Wegeler del 29 giugno 1801, nella quale si legge: “Un démone invidioso, la mia cattiva salute, mi ha messo un bastone fra le ruote; e questo significa, in sostanza, che il mio udito da tre anni a questa parte è diventato sempre più debole. Sembra che la causa prima di questo malanno sia nelle condizioni del mio addome, che, tu lo sai, era già malridotto prima che partissi da Bonn […]. Frank [direttore dell’ospedale di Vienna] ha cercato di ridar tono al mio organismo con medicine ricostituenti e al mio udito con olio di mandorle, ma quanto bene mi ha fatto! La cura non è servita a nulla […]. Devo confessare che la mia vita trascorre miseramente. Da quasi due anni ho smesso di prender parte ad ogni vita sociale, proprio perché mi è impossibile dire alla gente: sono sordo”.
Quando, sul finire del 1801, dopo l’illusione di un piccolo miglioramento, la sordità si aggravò, i medici consigliarono al musicista di trascorrere un periodo di villeggiatura ad Heilingestadt, un sobborgo campestre vicino Vienna ritenuto particolarmente salubre; anche questo tentativo si rivelò inutile e il compositore, in preda ad una profonda disperazione, meditando il suicidio, scrisse il toccante Testamento spirituale. Ad Heilingestadt Beethoven completò la Seconda sinfonia che fu eseguita a Vienna al Teatro An Der Wien il 5 aprile 1803 sotto la direzione dell’autore.
Il primo movimento si apre, secondo lo schema haydniano, con un Adagio molto di una certa ampiezza che introduce l’Allegro con brio, dove si afferma un linguaggio più maturo che, pur guardando ancora ai modelli mozartiani e soprattutto alle ultime sinfonie del Salisburghese, si caratterizza per una certa ricchezza del materiale tematico e per una struttura dialettica che sarebbe stata approfondita nei capolavori successivi. Il modello mozartiano appare evidente nei brillanti disegni di biscrome del primo tema (Es. 1), mentre uno stile già pienamente beethoveniano si afferma sia nel carattere risoluto del secondo tema, la cui esposizione è affidata al clarinetto (Es. 2), sia nella tensione dialettica che agita lo sviluppo nel quale i due temi si fronteggiano in una scrittura armonica intrisa di cromatismi. Alla tradizionale ripresa segue una coda, più lunga rispetto a quella della precedente sinfonia, anche se ancora costruita su elementi tematici già esposti precedentemente.
Dopo la tensione dialettica di certi passi del primo movimento, il secondo, Larghetto, anch’esso di ampie proporzioni, si staglia come un’oasi di amabile soavità. Scritto in forma-sonata, come il secondo tempo della prima sinfonia con il quale presenta molti elementi in comune, si distingue per una raffinata orchestrazione evidente in particolar modo nella ripresa leggermente variata rispetto all’esposizione.
Il terzo movimento, formalmente uno Scherzo, innovativo perché utilizzato in sostituzione del tradizionale Minuetto, è dotato di una straordinaria energia ritmica che caratterizza il conciso tema iniziale costituito da un semplice e icastico disegno di tre note. Questa energia ritmica si placa nei toni e nei colori pastorali della parte iniziale del Trio di cui sono protagonisti gli oboi e i fagotti.
Il Finale è un brillante rondò-sonata il cui carattere apparentemente umoristico, realizzato con una scrittura di ascendenza mozartiana evidente soprattutto nel tema iniziale (Es. 3), sembra incrinarsi nello sviluppo dove il tema principale, ripreso in minore, è sottoposto a una complessa rielaborazione armonica. Nella sezione modulante dell’esposizione va segnalata, inoltre, la presenza di prefigurazioni del tema dell’inno alla gioia che sembrano nascere dalla profondità dell’animo di Beethoven le cui parti recondite sono espresse dal registro grave dei violoncelli che contagiano tutti gli altri archi.