Jesi, Teatro G.B.Pergolesi – 49° Stagione lirica
“LA SCUOLA DE’ GELOSI” (1778)
Dramma giocoso in due atti di Caterino Mazzolà
Musica di Antonio Salieri
Trascrizione dall’Autografo a cura di Jacopo Cacco e Giovanni Battista Rigon
Conte Bandiera PATRICK KABONGO MUBENGA
Contessa Bandiera FRANCESCA LONGARI
Blasio, un commerciante di grano BENJAMIN CHO
Ernestina, sua moglie ELEONORA BELLOCCI
Lumaca, servitore di Blasio QIANMING DOU
Carlotta, cameriera di locanda ANA VICTORIA PITTS
Il Tenente, cugino di Blasio e amico del conte MANUEL AMATI
I Virtuosi Italiani, primo violino Alberto Martini
Maestro Concertatore e direttore Giovanni Battista Rigon
Regia Italo Nunziata
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Light designer Marco Giusti
Spettacolo realizzato su iniziativa con l’adesione di una coproduzione tra Fondazione Culturale Antonio Salieri di Legnago, Fondazione Teatri delle Dolomiti di Belluno, Fondazione Pergolesi Spontini, Teatro Ristori di Verona, Deputazione Teatrale Teatro Marruccino di Chieti, Fondazione Teatro del maggio Musicale Fiorentino con la partecipazione dell’Accademia del maggio Musicale Fiorentino ed il sostegno di Fondazione Cariverona.
Nuovo Allestimento, prima esecuzione in epoca moderna.
Jesi,13 Gennaio 2017
Continua senza sosta la 49° stagione lirica del Teatro G. B. Pergolesi di Jesi con un titolo assai raro, La scuola de’ gelosi di Antonio Salieri in un nuovo allestimento in prima esecuzione moderna realizzato su iniziativa e con la sinergia di diverse fondazioni: Fondazione Culturale Antonio Salieri di Legnago, Fondazione Teatri delle Dolomiti di Belluno, Teatro Ristori di Verona, Deputazione Teatrale Teatro Marruccino di Chieti, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e con la partecipazione dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino e, cosa non da poco, con il sostegno della Fondazione Cariverona.
L’opera, che fu rappresentata per la prima volta il 28 dicembre 1778 al Teatro San Moisé di Venezia, in seguito ad una revisione del testo ad opera di Lorenzo Da Ponte, andò in scena in una seconda versione il 22 aprile 1783 al Burgtheater di Vienna. La scuola de’ gelosi era durante la vita di Salieri una delle sue opere comiche più amate, tant’è che venne mantenuta regolarmente in repertorio nei maggiori teatri europei fino al 1809 come attestato da diversi documenti. Il lavoro, grazie alla sua focosa giocosità e all’affascinante spirito della trama, risulta essere una delle opere comiche più piacevoli di quegli anni. Le numerose copie della partitura e del testo del libretto che sono state rinvenute nelle biblioteche di tutta Europa sono la chiara prova dell’elevata qualità dei vari pezzi che compongono questo dramma giocoso, il quale accanto all’originale versione in lingua italiana ne ebbe anche una tradotta in tedesco. Ulteriori brani dell’opera sono stati rinvenuti in Russia, Polonia e Spagna.
Della realizzazione di questa proposta in tempi moderni plauso e merito vanno indiscutibilmente a Jacopo Cacco e Giovanni Battista Rigon che, recatisi all’ Osterreichische Nationalbibliothek di Vienna e potendo avvicinarsi all’autografo originale, hanno potuto procedere con una fedele trascrizione e proporre una versione dello spartito più vicina possibile all’originale senza i successivi numerosi adattamenti. Un vero e proprio lavoro di cesello e di riscoperta musicale in quello che molti già vorrebbero definire “Salieri-Renaissance”.
“È incredibile come la gelosia, che passa il suo tempo a fare piccole supposizioni nel falso, abbia poca immaginazione nello scoprire il vero” ed è con questa citazione di Marcel Proust ( tra i grandi scrittori di fine 800 ed inizio 900, è quello che forse ha maggiormente analizzato l’amore in tutti i suoi aspetti ) che possiamo racchiudere le linee della brillante regia di Italo Nunziata il quale in maniera assai delicata ha spostato l’ambientazione della messa in scena nel primo decennio del ‘900, regalando ad ogni singolo attore cantante un’identità al di fuori di quella di maniera più simile forse al teatro goldoniano che alla farsa settecentesca. Ogni movimento, ogni ammiccamento non è mai eccessivo o scontato: ha un senso ritmico fisico e legato alla musica riuscendo con successo a ricreare sul palcoscenico una dimensione di coerenza con quelle più prettamente armoniche del suono; tutto questo lavoro di cesello è leggero, naturale, in quanto mai si avverte una forzatura di sorta o un gesto troppo pensato tanto che sembrerebbe che tutti, nessuno escluso, abbiano avuto la capacità di entrare a pieno nell’idea di insieme dello spettacolo nel modo più semplice possibile, che è quello del “sentirlo”. Le scene di Andrea Belli ben si inseriscono in questa dinamica: sono strutture mobili con cambi senza soluzioni di continuità, dinamiche appunto, ed alcune di queste come scatole racchiudono elementi ed attrezzi scenici in pieno stile liberty. Tutto è ben in vista: ogni cambio e movimento così come non è possibile celare il sentimento impetuoso di gelosia per un amante tradito o sospettoso. Non da meno sono i costumi di Valeria Donata Bettella che sembrano uscire dalle illustrazioni di Paul Berthon ed Alfons Mucha; il taglio, pur essendo coerente con l’ambientazione scelta dalla regia, ha dei forti echi settecenteschi nelle stampe coloratissime e nella ricercatezza dei vari materiali tessili selezionati. Un bellissimo lavoro di creatività e ricerca storica insieme. Adatte e sempre altrettanto pulite così come il taglio dello spettacolo, le luci di Marco Giusti.
Sul fronte prettamente musicale Giovanni Battista Rigon ha diretto con passione e grande precisione i Virtuosi Italiani, capeggiati dal loro primo violino Alberto Martini; il direttore non ha coperto una sola nota cantata, curando con delicatezza ogni dettaglio dell’orchestrazione. I tempi hanno assecondato con grande attenzione lo svolgersi del dramma giocoso facendo emergere un notevole esprit.
La compagnia di canto era formata dai giovani dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino ben seguiti dal Maestro Tangucci.
Patrick Kabongo Mubenga (Il Conte Bandiera), nonostante alcune difficoltà nell’affrontare lo stile che richiederebbe la parte, ha offerto una prova assolutamente dignitosa grazie ad uno strumento vocale importante e bene impostato. Francesca Longari (la contessa Bandiera) ha una bella presenza e mezzi apprezzabili ed omogenei che ha saputo adoperare in favore di una completa caratterizzazione del personaggio in tutte le sue sfumature. Bene Benjamin Cho (Blasio), un baritono dalla voce ben timbrata e dal buon fraseggio, due caratteristiche che ben si sono sposate ad una brillante recitazione. Non gli sono da meno Eleonora Bellocci (Ernestina) scenicamente e briosa, ma allo stesso tempo molto attenta musicalmente, Qianming Dou (Lumaca) ottimo attore, con qualche cautela sul piano vocale. Dotata di uno strumento importante, Ana Victoria Pitts (Carlotta) ha saputo in ogni suo intervento essere assai incisiva ed intensa così come Manuel Amati (Il Tenente), un tenore da una voce timbrata, ampia, probabilmente un pò costretta da questo ruolo dove non riesce ad emergere in tutti i colori come potrebbe per natura. Nonostante le tentazioni di un mondo teatrale più commerciale e meno intellettuale, bisogna dare lode a quest’ operazione che ha voluto puntare decisamente verso la cultura in tutte le sue sfaccettature coinvolgendo non solo tante realtà anche lontane, ma giovani cantanti e professionisti. Pubblico informale ma entusiasta.