Catania, Teatro Massimo Bellini: “La Straniera”

Catania, Teatro Massimo Bellini, Stagione lirica 2017
“LA STRANIERA”
Melodramma in due atti, Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Alaide FRANCESCA TIBURZI
Isoletta SONIA FORTUNATO
Arturo  EMANUELE D’AGUANNO
Il barone di Valdeburgo ENRICO MARUCCI
Il signore di Montolino ALESSANDRO VARGETTO
Il priore degli Spedalieri MAURIZIO MUSCOLINO
Osburgo RICCARDO PALAZZO
Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del coro Ross Craigmile
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Fiammetta Baldisserri
Nuovo allestimento
Catania, 29 gennaio 2017
Mio caro Zio,
La mia Straniera è andata in scena Sabato14 corr., ed io non trovo termini come descrivergli l’incontro, il quale non si può chiamare furore, andare alle stelle, fanatismo, entusiasmo, ecc. No: vi assicuro che nessuno di questi termini basta per esprimere il piacere che destò tutta la musica, la quale ha fatto gridare tutto il pubblico da matto”. (V. Bellini, Epistolario a cura di M. L. Cambi, Milano, Mondadori, 1943, pp. 182)
Con queste parole un felicissimo Bellini informava lo zio Vincenzo Ferlito della trionfale prima della Straniera che, andata in scena alla Scala il 14 febbraio 1829, è stata ripresa, per la prima volta in tempi moderni, proprio in questa versione originaria grazie all’edizione critica del musicologo Marco Uvietta. Della Straniera, infatti, esiste anche una seconda versione che, realizzata per Giovan Battista Rubini, il tenore preferito dal compositore catanese, fu rappresentata per la prima volta il 13 gennaio 1830 alla Scala di Milano ed è stata ripresa nel 1993 alla Carnegie Hall di New York con Gregory Kunde (Arturo) e Renée Fleming (Alaide). In questa ripresa nel teatro del capoluogo etneo, del quale ha inaugurato la Stagione lirica e del balletto 2017, l’opera di Bellini non ha certo deluso le aspettative per quanto riguarda l’aspetto visivo grazie alla scenografia di Dario Gessati di grande impatto sin dalla scena iniziale che disegna un canneto dove i personaggi inizialmente appaiono sperduti diventando metafora di un’anima che non riesce a trovare le certezze. Non meno suggestive sono apparse le proiezioni di un grande cervo in concomitanza del coro di caccia (Campo ai veltri) e di altre immagini video che, tuttavia, spariscono nel secondo atto per lasciare il posto all’acqua del lago di Montolino. È questo, infatti, l’elemento, definito dallo stesso regista Andrea Cigni nelle sue note di regia, avvolgente, che, riflesso da un grande specchio posto in alto sulla scena, costituisce lo spazio all’interno del quale si muovono tutti i personaggi e in particolar modo Alaide, una vera donna del lago, la cui vicenda umana sembra fatalmente e indissolubilmente legata ad esso. Elegantemente tradizionale la parte scenica firmata da Dario Gessati, per le scene minimaliste (un grande specchio riflettente che ci rimanda molto alla traviata di Svoboda) e Tommaso Lagattolla per i costumi. Efficaci le luci disegnate da Fiammetta Baldisseri.
Dal punto di vista musicale va, però, rilevata qualche scelta poco condivisibile sul piano della concertazione affidata alla bacchetta di Sebastiano Rolli. Già conosciuto dal pubblico catanese per una bella edizione della Sonnambula nella passata stagione, il giovane direttore-musicologo ha operato delle scelte dei tempi che sono apparse poco coerenti; ha, infatti, dilatato eccessivamente quelli dei cantabili e financo di alcune cabalette per accelerare troppo nelle Strette, creando così un contrasto stridente che non ha giovato per nulla ad una concezione unitaria dell’opera. Se da una parte, con quest’operazione, l’opera ha guadagnato qualcosa sul piano del lirismo, dall’altro ha perso di incisività in alcuni punti come, per esempio, la cabaletta che chiude il duetto Alaide-Arturo (D’un ultimo addio). Un tempo leggermente più sostenuto, invece, avrebbe fatto gustare meglio la bella melodia dell’oboe tipicamente belliniana protagonista dell’introduzione strumentale del suddetto duetto. Questo approccio interpretativo ha, ad avviso dello scrivente, penalizzato anche i cantanti e soprattutto Francesca Tiburzi, che ha sostituito l’indisposta Daniela Schillaci nel ruolo della protagonista. Ciò è apparso evidente soprattutto nel finale del primo atto dove è mancata in incisività la contrapposizione tra lo statico Moderato assai di Un grido io sento e il dinamico Allegro, definito disperato da Giampiero Tintori nella sua monografia dedicata a Bellini, di Ai suoi lamenti, dove la melodia prende un rinnovato slancio. Tra i due momenti così diversi e contrapposti è mancata quella netta cesura che avrebbe fatto risaltare con maggiore forza le lacerazioni che Alaide sta vivendo in quel momento. Da parte sua la cantante, la cui performance è apparsa nettamente più convincente nel secondo atto, seppur non sempre controllata nell’intonazione e con agilità poco fluide, mostra un buon corpo vocale (si è sentito abbastanza bene il Si al di sotto del do centrale), complessivamente omogeneo e un fraseggio sufficientemente accurato anche grazie a una interpretazione scenica appassionata. Ad affiancare la Tiburzi è stato un ottimo Emanuele D’Aguanno, a suo agio nelle vesti di Arturo sia dal punto di vista scenico che da quello vocale grazie ad una particolare attenzione al fraseggio e alle dinamiche. Dolcissimo è stato il suo attacco del cantabile del duetto con Alaide del primo atto, Ah! Se tu vuoi fuggire, mentre ha dispiegato il suo interessante mezzo vocale nei passi eroici come quello del duello attraverso un’emissione curata. Buona anche la prova di Enrico Marucci (Valdeburgo), la cui bella voce si è distinta per la cura del fraseggio e per la ricerca di un’eleganza che non guasta in un contesto belcantistico come quello della Straniera. Altra sostituta: Sonia Fortunato, nella parte di Isoletta, è stata autrice di una prova sostanzialmente corretta che ha evidenziato il buon mezzo vocale di cui è dotata e una discreta tecnica soprattutto se si considera non solo l’esiguo numero di prove, ma anche la difficoltà del suo ruolo che emerge con grande forza nella scena ed aria dell’atto secondo. Corrette le prove anche delle altre parti di fianco, Alessandro Vergetto (Montolino), Maurizio Muscolino (il Priore) e Riccardo Palazzo (Osburgo), mentre questa volta non è apparso nella solita splendida forma il coro, preparato da Ross Graigmile. Forse penalizzato dalla concertazione, esso è, infatti, sembrato un po’ piatto sul piano delle dinamiche in quello introduttivo e un po’ incerto nel già citato coro di caccia. Applausi per tutti alla fine e ovazioni per D’Aguanno e la Tiburzi.