Bari, Teatro Petruzzelli: “La gazza ladra”

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2016/2017
“LA GAZZA LADRA”
Melodramma in due atti, libretto di Giovanni Gherardini
Musica di Gioachino Rossini
Fabrizio Vingradito DAVIDE GIANGREGORIO
Lucia LORIANA CASTELLANO
Giannetto FRANCISCO BRITO
Ninetta  ALESSIA NADIN
Fernando Villabella  SIMONE ALBERGHINI
Gottardo, il Podestà  CARLO LEPORE
Pippo  VICTORIA YAROVAYA
Isacco  GIANLUCA BOCCHINO
Antonio MARCO MIGLIETTA
Giorgio  STEFANO MARCHISIO
Ernesto ALBERTO COMES
Il Pretore  GIANFRANCO CAPPELLUTI
Una gazza  SANDHYA NAGARAJA (acrobata)
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore George Petrou
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia Damiano Michieletto ripresa da Eleonora Gravagnola
Allestimento scenico del Rossini Opera Festival
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Disegno luci Alessandro Carletti
Allestimento scenico del Rossini Opera Festival
Bari, 27 gennaio 2017
La gazza ladra
è la terza opera ‘semiseria’ di Rossini, dopo L’inganno felice (1812) e Torvaldo e Dorliska (1815) e prima di Matilde di Shabran (1821). L’ambiguità tipica del genere di appartenenza (che guardava alle forme di teatro, altrettanto ibride, della scena parigina), e l’oscillazione tra i canoni poetici del dramma serio e dell’opera buffa, in questo lavoro vengono implementate. Rossini confezionò infatti una partitura di rara complessità e densità espressiva, prendendosi per la prima (e unica) volta lunghi tempi di preparazione (da febbraio a maggio del 1817). Questa dedizione produsse un surplus di significati che ancora oggi lasciano interpretare Gazza ladra da angolazioni multiple: vi si può individuare da un lato l’eredità del Flauto magico, dall’altro anticipazioni dei colori di Sonnambula; toni da oratorio sacro si alternano ai più consolidati meccanismi musicali del comico, toccando i topoi della tragedia in musica. Damiano Michieletto è consapevole di questa natura ‘multistrato’ di Gazza ladra e ne offre una lettura registica polisemantica. L’intera vicenda altro non è che il brutto sogno di una ragazzina, di un’età sospesa tra infanzia e pubertà (interpretata dall’acrobata Sandhya Nagaraja) che all’inizio dell’ouverture il pubblico vede distesa nel letto della sua cameretta. Il lenzuolo diventa un aerial silk per acrobazie della fantasia che lo mutano ora in giocattolo, ora in altalena; e ha così inizio la storia/sogno dove la ragazzina è lei stessa la gazza ladra, artefice del nodo drammatico e silenzioso régisseur. Alla fine dell’opera il plotone di esecuzione che ha risparmiato in extremis Ninetta, punta le armi contro di lei, facendola immediatamente risvegliare dall’incubo in corrispondenza dell’ultima nota della partitura rossiniana. Presupponendo che l’azione scenica sia tutta sognata, Michieletto può liberarsi da ogni vincolo di realismo d’ambientazione e dar luogo, in accordo con lo scenografo Paolo Fantin e la costumista Carla Teti, a uno spazio metafisico degno del migliore De Chirico (il riferimento alle sue tele s’impone grazie agli splendidi giochi cromatici curati dal light designer Alessandro Carletti), dominato da enormi cilindri bianchi (che replicavano su scala gigante gli stessi cilindri con cui la bambina/gazza giocava ad apertura di sipario). Ognuno può leggervi ciò che vuole: le colonne di un tempio che allude alla sacralità della verginità di Ninetta insidiata dal podestà? Le sbarre della prigione che reclude una innocente? I cannoni (nel momento, davvero magico, in cui detti cilindri, s’inclinano verso il pubblico) di un plotone marziale? Forse niente di tutto ciò, ma soltanto gioco di volumetrie e colori, plasticità allo stato puro, densità materica; in linea con la poetica anti-realistica e idealizzante di Rossini che confessava al suo amico Zanolini quanto per lui la musica fosse ‘tutta ideale’ (così come un secolo più tardi affermerà lo Stravinskij della Poetica della musica), semplice materia sonora da plasmare (e in questo gioco musicale finiva per cadere il testo verbale stesso, ridotto a pre-testo per giochi fonetici: basti pensare al gioco di occlusive bilabiali sorde nel brindisi «il nappo è di Pippo, la pipa e la poppa» (unica enclave squisitamente comica in un’opera quasi tragica).
Alla profondità semantica della rilettura di Michieletto ha corrisposto la preparazione di un ottimo cast. Primo fra tutti il basso Carlo Lepore, perfetto in ogni dettaglio, capace di sfondare senza fatica alcuna il muro dell’orchestra (lo spazio acustico del Petruzzelli resta uno dei più insidiosi) e di giungere al cuore di ogni spettatore grazie a una voce possente ma elegante, precisa nei passi di agilità, brunita nelle incursioni gravi, squillante negli acuti, impeccabile nel fraseggio, rara nel colore. Del resto il podestà Gottardo è il personaggio cardine di quest’opera, terribile e grottesco, e richiede che ad incarnarlo sia un interprete di accertata maturità vocale e attoriale. I panni di Ninetta sono spettati al mezzosoprano del secondo cast, Alessia Nadin, chiamata a sostituire Christina Daletska. La Nadin ha retto l’emozione della ‘prima’ con estrema bravura sfoggiando una notevole raffinatezza in fraseggio, emissione, filati. La sua Ninetta si è distinta per delicatezza di toni che tuttavia mai ha significato mancata brillantezza: al contrario la sua voce si è mantenuta sempre bene in punta toccando vertici di bellezza nel duetto con Pippo. Quest’ultimo è stato interpretato dal giovane mezzosoprano russo Victoria Yarovaya, davvero eccellente per rotondità di voce e adeguatezza stilistica. Ottimo il Giannetto di Francisco Brito, tenore di grazia argentino tra i più squisiti attivi sulla scena internazionale attuale, dotato di un timbro particolarissimo, in grado di conferire alle sue frasi una delicatezza impalpabile ma sempre attento a ben proiettare il suono. Sicuro nei sovracuti e nei passaggi di agilità, Brito fraseggia Rossini mostrando in questo repertorio una maturità ormai pienamente acquisita. Notevole la prova del baritono Simone Alberghini, anch’egli interprete di rara intelligenza e qui capace di incarnare la tragicità intrinseca al personaggio tragico di Fernando con una voce baritonale perfettamente calibrata nei piani dinamici. Molto buona anche l’interpretazione di Lucia da parte del mezzosoprano (alle prese con una vocalità quasi contraltile) Loriana Castellano che nel praticare un raro repertorio tardo settecentesco ha padroneggiato gli aspetti stilistici della scrittura rossiniana. Ben impostata per colore e volume sonoro la voce di Davide Giangregorio/Fabrizio. Da menzionare anche l’Isacco di Gianluca Bocchino, chiamato a calcare la caricatura del venditore ebreo con una gestualità comica adeguata allo sgargiante costume degno del più triviale degli showman televisivi (anche in questo caso una rara concessione al comico puro). Ottime anche le parti di fianco seppur limitate a pochi interventi: in particolare l’Antonio di Marco Miglietta e il Giorgio di Stefano Marchisio.
Una lode particolare va al coro del teatro Petruzzelli guidato da Fabrizio Cassi che conferma la maturità raggiunta ed elogiata in più occasioni da tutta la critica. Come sempre smagliante nei colori e ben affiatata (anche se migliorabile in alcuni passaggi di particolare complessità polifonica) l’orchestra del Petruzzelli diretta magistralmente da George Petrou, attentissimo negli attacchi dati ai cantanti e asciutto nell’interpretare i brani più celebri della partitura, in particolare la marcia al supplizio, qui resa da un’agogica più incalzante del solito. La sua direzione concentratissima ha infatti permesso che le tre ore e mezza di spettacolo non abbiano avuto neppure un calo di tensione e che il numeroso ed entusiasta pubblico barese abbia potuto apprezzare un Rossini più serio di quanto potesse mai immaginare (Bari ha ascoltato per la prima volta Gazza ladra). Repliche il 29, 31 gennaio, 1 e 2 febbraio.