Al San Carlo di Napoli “Lo Schiaccianoci” visto da Charles Jude

Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di balletto 2016-2017
“LO SCHIACCIANOCI”
Coreografia  Charles Jude
Musica Pëtr Il’ic Čajkovskij
Clara/Fata Confetto ANNA CHIARA AMIRANTE
Principe Schiaccianoci  ALESSANDRO STAIANO
Drosselmeyer  GIANLUCA NUNZIATA
Orchestra e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore del Corpo di Ballo Giuseppe Picone
Allievi della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo diretta da Stéphane Fournial
Direttore  David Coleman
Direttore del Coro di Voci Bianche  Stefania Rinaldi
Scene Nicola Rubertelli
Costumi Giusi Giustino
Napoli, 30 dicembre 2016  ore 17.00
Puntuale come una ricorrenza, Lo Schiaccianoci torna al San Carlo anche questo Natale, nella versione di Charles Jude, registrando grande soddisfazione al botteghino, visto il sold out quasi totale per le recite proposte.  Una novità annunciata che, se non concede la stessa soddisfazione materiale delle vendite, di certo ha il merito di rafforzare la piacevolezza del ricordo di allestimenti più “tradizionali” o quanto meno più fiabeschi che il folto pubblico natalizio rincorre con convinzione. E spieghiamo ai nostri lettori il perché, partendo dalle dichiarazioni del coreografo stesso.
Per chi non lo sapesse, Charles Jude vanta un curriculum da ex étoile dell’Opéra di Parigi e, dal settembre del 1996, è Direttore del Ballet de l’Opéra di Bordeaux: «Quando ho avuto l’opportunità di creare con il Ballet de l’Opéra National de Bordeaux una nuova coreografia e una messa in scena del La Schiaccianoci, ho voluto allontanarmi dal libretto di Alexandre Dumas, seguito fedelmente dalle versioni tradizionali come quello di Marius Petipa, a beneficio dell’universo più fantastico e psicologico di Hoffmann» tentando di «mantenere l’universo fiabesco proprio del racconto» e tracciando «il percorso iniziatico di una fanciulla che […] entra nel mondo del sogno […] per scoprire la propria sessualità». Niente di sostanzialmente nuovo in questi propositi, visto che le versioni dell’originale firmato da Petipa-Ivanov-Čjajkovskji sono state molte e differenti, dal “nuovo classico” balanchiniano  (1954) alla versione autobiografica di un’infanzia segnata dal dolore per Maurice Béjart (1998), passando per le ri-creazioni di stampo più classico (Cranko, Nureyev, Baryshnikov, Grigorovič) ma anche attraverso riletture dissacranti come quella di Mark Morris (1991) in cui è ribaltata la stessa identità di genere dei ruoli.
Alla base di tutto, c’è  l’imperitura validità di un classico che indaga le paure e i desideri umani più nascosti: la gioia del gioco e l’inconfessabile voglia di crescere e di sognare che abita i pensieri anche dei bambini in età più tenera. Ecco i presupposti di base che rendono Lo Schiaccianoci una fonte inesauribile dalla quale attingere idee per svilupparle in salse diverse, siano esse iconiche, psicologiche, psicagogiche, autobiografiche o dissacranti.
Pochissime, nella storia del teatro di danza, sono le ri-creazioni totali o parziali di un grande classico dotate di quella qualità intrinseca che fa immediatamente breccia nell’immaginario del pubblico. Benché, come altri, anche questo balletto sia una mescolanza di tradizioni disparate e individuali, l’idea di messa in scena danzata borghese e zuccherosa appare quella più difficile da sradicare. Lo Schiaccianoci sancarliano  di Charles Jude, che con i suoi tratti vintage e un po’ stravaganti si rivela, per Napoli, un allestimento necessario più alla voglia di “novità” che pubblico critica sembrano esigere, di certo non supera gli allestimenti precedenti che, nella romantica ricchezza delle scene e dei costumi hanno davvero immerso il pubblico nel mondo incantato delle fiabe. Si tratta di un lavoro dal taglio moderno e così va assaporato, benché la fusione di elementi contrastanti stilisticamente non sembri funzionare nella maniera migliore. Spesso, infatti, la novità serve ad apprezzare ancor più la tradizione, come in questo caso. Sì, perché anche i nativi digitali non si incantano davanti a una scenografia proiettata: quanto è più meravigliosa la verità dei rami di una foresta innevata che calano dall’alto o ci sorprendono al buio, o un guscio di noce che, dietro il velario, porta davvero via Clara e il suo Principe? Le “reatà” virtuali popolano fin troppo il nostro quotidiano, per poter suscitare la meraviglia spontanea che un bambino sa riconoscere, anche più di un adulto, in quei mezzi meccanici così affascinanti che da millenni rendono il Teatro un luogo di magia. Forse si crede che oggi la gente non sappia riconoscere la differenze tra queste cose, che il pubblico non si renda conto della drammaturgia, se essa non viene sottolineata dal “facilitatore digitale” di turno. Fortunatamente non è così e i commenti dei più giovani, in platea, danno ragione a questa visione.
Da un punto di vista strettamente coreografico, interessante la prima parte dello spettacolo e il sistema dei Passi a due, talvolta costipati in un’overdose di virtuosismi non sempre in accordo con la descrizione musicale.  Poco efficaci le grandi sequenze di insieme, come il Valzer dei Fiocchi di Neve e il Valzer dei Fiori, in cui spesso le danzatrici sono allineate in formazioni quadrangolari scontate e poco interessanti da un punto di vista strutturale. I Fiocchi di Neve, a tratti, per tipologie gestuali e di sequenze, sono apparsi molto simili alle Villi di Giselle. Anche nel momento drammaturgicamente più importante, ossia quello della battaglia dei topi con lo Schiaccianoci, non solo la “stazza” ridotta degli animali (i bambini della Scuola di Ballo diretta da Stéphane Fournial) cozzava contro quella dei soldati in una lotta impari fin dall’inizio, ma troppe volte non ha seguito il dettato musicale  – così precisamente imposto a Čjajkovskij alla creazione –  nei punti salienti, tanto da determinare un forte iato tra azione e musica.
L’uso di luci al led molto accese non ha dato effetti piacevoli sulle nuances, altrettanto accese, di alcuni costumi (Valzer dei Fiori), così come i colori freddi sui lunghi tutù bianchi dei Fiocchi di Neve hanno generato un violetto da musical, per non dire dei “seguipersone” sui protagonisti: luci del varietà.
Ma passiamo agli interpreti della serata: ottima prova per Anna Chiara Amirante, nel ruolo di Clara/Fata Confetto, e Alessandro Staiano, Principe Schiaccianoci (che si alternano al primo cast composto da Alessandro Macario, Primo ballerimo ospite del Massimio napoletano, ed Ekaterina Oleynik, e a Claudia D’Antonio e Salvatore Manzo del terzo cast ). Con la sua tecnica pulita e sicura, Anna Chiara Amirante appare l’elemento più maturo in scena, in questo senso, soprattutto nell’uso artistico delle braccia, che costantemente respirano con il giusto “peso”, senza mai cadere nel lezioso o nel manierato; deve ancora sciogliere la tensione del viso in alcuni momenti, soprattutto cambiando “colore” scenico nei momenti di gioia/timore/terrore che appaiono stati emotivi molto legati allo stile di una danza aerea e raffinata, ma che tiene ancora in parte imbrigliata la sfera emotiva. Forte di salti energici e della sua consueta sicurezza scenica, Alessandro Staiano (di rientro dall’Opéra di Bordeaux dove ha interpretato, come ospite, Coppélia) è apparso più maturo come porteur, nel Passo a Due, e si conferma meritevole nel ricoprire ruoli di primissimo piano in Compagnia. Una Compagnia dove i “ruoli” scritti sulla carta dell’organigramma si ribaltano quasi completamente in scena e, mentre il Teatro dell’Opera di Roma nomina addirittura étoiles (ricordando che Alessandra Amato si è formata alla scuola del San Carlo diretat da Anna Razzi), a Napoli il processo delle promozioni non sembra interessare come dovrebbe i vertici della piramide amministrativa.
Degni di menzione Salvatore Manzo nel ruolo di Friz e il Cosacco interpretato con pulizia, energia ed eleganza da Danilo Notaro; la Danza Araba è stata affidata ancora una volta a Luisa Ieluzzi, in un ruolo che ben ne evidenzia le principali doti di danzatrice dalle linee femminili e moderne. Lode anche al “cammello” umano, che accompagnava la coppia araba con divertenti movenze circensi.
Non eccellente la prestazione del Corpo di Ballo, all’interno del quale spuntano nuovamente alcuni elementi artisticamente e tecnicamente deboli.  L’orchestra, diretta dal Maestro David Coleman, ha eseguito la partitura del nostro balletto con la consueta bravura (con qualche modifica sull’andamento dei legati e degli staccati nella sezione dedicata al Coro di Voci Bianche, in verità meno interessante del solito), sia pure un po’ “in sordina”, o almeno così sembrava visto il brusio di fondo di una pomeridiana dal pubblico variegato, per non dire ineducato ad assistere a uno spettacolo dal vivo. Perché le Scuole di danza che popolano il territorio (ma anche la scuola dell’obbligo, dove i progetti di Teatro fioriscono ovunque) dovrebbero prestare più attenzione a educare i propri allievi a come si assiste a uno spettacolo, dal momento che saranno più le volte in cui questi ragazzi siederanno in una poltrona di platea, invece di calcare le tavole di un palcoscenico. Educazione a tacere, a seguire lo spettacolo e ad applaudire quando è il momento. Perché Cultura è anche saper osservare la Danza nel rispetto del Teatro e dei suoi Artisti. (foto Francesco Squeglia)