Venezia, Palazzetto, Bru Zane, Stagione 2016-2017
Fortepiano Francesco Corti
Étienne-Nicolas Méhul: Sonate pour piano en ré majeur op. 1 n° 1; Sonate pour piano en ut mineur op. 1 n° 2 / Wolfgang Amadeus Mozart: Variations pour piano en sol majeur sur “Unser dummer Pöbel meint” K 455 / Hyacinthe Jadin: Sonate en ré majeur op. 5 n° 2 / Joseph Haydn: Sonate no 53 en mi mineur Hob XVI:34
Venezia, 6 dicembre 2016
In occasione del bicentenario della morte di Étienne-Nicolas Méhul (1763-1817), il Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française celebra uno dei padri del romanticismo musicale in Francia, dedicandogli una serie di attività, inaugurate dal concerto di questa sera, in cui si sono proposti vari pezzi – alcuni dei quali di rara esecuzione – per fortepiano: di Méhul, appunto, che negli anni Ottanta del Settecento concepì i suoi primi numeri d’opus per questo strumento; di Hyacinthe Jadin, che, nel periodo della Rivoluzione e del Direttorio, contribuì ad arricchirne il repertorio; di Haydn e Mozart, che si affermarono a Parigi, negli anni Settanta, come grandi maestri viennesi della musica per la tastiera, prima che, nell’età della Restaurazione, si imponesse la figura di Beethoven. Seguiranno a questo concerto: nel febbraio 2017, una conferenza del musicologo Fabrizio Della Seta, sulla figura di Méhul tra la Rivoluzione e l’Impero, e l’uscita dell’opera Uthal, all’interno della collana di CD-libri “Opéra français”, mentre in autunno vedrà la luce una monografia sul compositore, Le Fer et les Fleurs, nella collana “Actes Sud/Palazzetto Bru Zane”.
Protagonista della serata, sul piano interpretativo, era Francesco Corti, uno specialista del repertorio settecentesco, che – suonando uno strumento costruito da Paul McNulty, riproducente un fortepiano Walter del 1795 circa – ha subito soggiogato la platea, per la capacità di calarsi completamente nell’estetica del periodo a cui appartengono i vari pezzi proposti, coniugata ad una padronanza tecnica, per cui davvero non esistono ostacoli. Così nelle due sonate relative all’op. 1 di Méhul – una raccolta giovanile che non ebbe la risonanza delle sonate dell’op. 2 – il pianista aretino ha saputo rendere pienamente i forti contrasti che caratterizzano ognuno di questi due lavori, che già rivelano una scrittura tendente a mettere in valore le nuove possibilità tecniche ed espressive dello strumento. Ricco di contrasti è risultato il primo movimento della Sonata n. 1, anche a causa dell’improvvisa apparizione della tonalità di la minore che si oppone al re maggiore d’impianto, così come il successivo Andante in la maggiore, di forma ABA’, in cui la vena melodica delle sezioni estreme viene interrotta dal più cupo episodio centrale in la minore; particolarmente vigorosa è stata l’esecuzione del Rondò finale, sorprendente in quanto contiene un solo couplet in re minore, che occupa la maggior parte del movimento.
Analogamente autorevole e musicalissima è apparsa l’interpretazione della Sonata n. 2, in due soli movimenti e in modo minore, anch’essa – sebbene lo spartito rechi l’indicazione “per il clavicembalo o il pianoforte” – basata su una scrittura già tipicamente pianistica, testimoniata dall’abbondanza di contrasti dinamici, che nell’Allegro assumono i caratteri di veri e propri coups de théâtre – ricordiamo che la vocazione teatrale è prevalente in Méhul –, ripartiti tra la tonalità principale e la sua relativa maggiore, mentre il Minuetto in do maggiore, con il suo trio in la minore, si discosta dalla tipica danza dell’Ancien Régime per l’energia delle ottave alla mano sinistra nella prima parte e per il basso albertino, che accompagna la seconda.
Strepitosa l’interpretazione delle Variazioni per pianoforte in sol maggiore K 455 di Mozart sull’aria “Unser dummer Pöbel meint” dall’opera Rencontre imprévue ou Les Pèlerins de la Mecque di Gluck, originariamente in francese. Qui Francesco Corti ha brillato per la sua maestria nel mettere in evidenza i diversi caratteri di queste variazioni, con cui il Grande salisburghese offre un saggio della sua portentosa inventiva, sfoggiando una scrittura pianistica estremamente cangiante, anche attraverso audaci trovate: di questa composizione – ricca di sorprese e percorsa da una diffusa teatralità, precorrendo l’arte della variazione beethoveniana – il solista ha fatto apprezzare il valore veramente straordinario, che la distingue da tante altre di tal genere.
Di grande brillantezza è risultata anche l’esecuzione della Sonata in re maggiore op. 5 n. 2 di Hyacinthe Jadin, in cui, tra l’altro, la forma sonata viene trattata in modo diverso rispetto ad Haydn, a Mozart o al giovane Beethoven, in quanto nell’Allegro iniziale non vi sono temi articolati adatti classicamente allo sviluppo, bensì formule più brevi, utili a costruire un disegno globale, mentre il Finale non ha nulla dell’eterogeneità ritmica dello stile classico, guardando piuttosto – col suo flusso pressoché continuo di semicrome – all’epoca barocca, in particolare alla Giga.
Di stampo più regolare è la Sonata n. 53 in mi minore Hob XVI:34 di Haydn – una delle poche di questo autore nel modo minore, caratterizzata da sobria eleganza, fascino melodico e concisione –, dove l’artista ha confermato il suo magistero interpretativo: dal Presto iniziale, in forma sonata, dove ha saputo rendere con efficacia il diverso carattere dei due temi, pur tra loro imparentati (come avviene spesso in Haydn), all’Adagio in sol maggiore, anch’esso in forma sonata, di cui si sono apprezzate la limpidezza delle sonorità e la raffinatezza della linea melodica, delicatamente ornata, al Finale, in forma ABA’B’A’’, in cui si sono distinti i due elementi, che hanno le stesse radici, ma si contrappongono a livello modale (mi minore per A, mi maggiore per B). Il pianista, festeggiatissimo, in particolare a fine serata, ha concesso in successione due bis: l’Andantino e l’Allegro assai dalla Sonata prima della raccolta “Passatempo al clavicembalo” (1781-1782) di Baldassarre Galuppi.