Staatsoper Berlin: “Manon Lescaut”

Berlino, Staatsoper, Stagione Lirica 2016/2017
“MANON LESCAUT”
Opera in quattro atti  su libretto  senza nome a cui hanno collaborato a più mani: Ruggero Leoncavallo, Marco Praga, Domenico Oliva, Luigi Gallica, Giacomo Puccini, Guido Ricordi.Tratto dal romanzo di Antoine François Prévost ( Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescut 1731).
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut ANNA NECHAEVA
Lescaut ROMAN TREKEL
Renato Des Grieux RICCARDO MASSI
Geronte De Ravoir FRANZ HAWLATA
Edmondo STEPHAN RÜGAMER
L’oste DOMINIC BARBERI
Il Musico NATALIA SKRYCKA
Maestro di ballo / Lampionaio  MILOŠ BULAJIC
Sergente VINCENZO NERI
Capitano DAVID OŠTREK
Staatskapelle Berlin, Staatsopernchor
Direttore Mikhail Tatarnikov
Maestro del Coro Frank Flade
Regia: Jürgen Flimm
Costumi Ursula Kudrna
Video Robert Pflanz
Berlino, 4 dicembre 2016
Chi poteva immaginare che, a distanza di poco più di centoventi anni, sarebbe arrivato un settimo personaggio a metter mano nella travagliata Manon Lescaut di Puccini? Jürgen Flimm, con la sua nuova versione “Hollywoodiana” dell’opera, stravolge completamente quasi tutti i punti di riferimento che, i ben sei librettisti, provarono a suo tempo a fornire per la messa in scena del romanzo di François Prévost. Manon, infatti, non è più una ragazza destinata alla vita monastica, ma è adesso un’attrice cinematografica in erba degli anni venti. Des Grieux non è più un umile studente, ma bensì si trasforma magicamente in un fascinoso attore. E Geronte, da ricco banchiere, ovviamente non può che non essere, per l’occasione, un facoltoso produttore cinematografico. Una versione quella di Flimm, che non pecca certo di fantasia, ma che forse, il pubblico dello Staatsoper di Berlino, ha trovato un po’ azzardata. Eppure c’è chi ha affermato che al Mikhailovsky di San Pietroburgo, dove l’allestimento ebbe il suo primo debutto nel 2015, il successo fu addirittura indiscusso. La fredda aria russa, non si può però dire che sia stata certo di buon auspicio per questa Manon Lescaut. La Staatskapelle, diretta da Mikhail Tatarnikov, direttore musicale del Mikhailovsky, infatti, sembra aver perduto la sua voluttuosità e quella inconfondibile passionalità che la contraddistingue. Il direttore d’orchestra russo, manda fuori tempo i cantanti, e lo fa in particolare, per altro, soprattutto in uno dei momenti clou dell’opera. Nella famosissima “ Donna non vidi mai” del primo atto, probabilmente una delle più belle arie pucciniane – che, storia narra, sia stata composta da Puccini per il suo diploma in composizione, come scena drammatica su libretto di Felice Romani, il preferito da Bellini –  ma il bel Renato per fortuna ne esce salvo. Bravo è, infatti, Riccardo Massi, che la porta a compimento sul fin di quel “sussurro gentile” che non deve cessare. Massi è un tenore sostanzialmente drammatico: incisivo e veemente là dove il canto comporta un andamento declamatorio, ma sa anche essere adeguato nel canto legato amorso. Anche la russa Anna Nechaeva (Manon Lescaut), ha una vocalità ben sostenuta tecnicamente, ma anche se il suo approccio al personaggio è più lirico che drammatico. Non ci pare però particolarmente adatta al ruolo soprattutto in virtù di un fraseggio assai poco vario per colori e accenti. Di “lusso” il Geronte di Franz Hawlata che, a dispetto della parte sfoggia una robusta vocalità baritonale. Corretto, ma sostanzialmente stilisticamente estraneo a Puccini il Lescaut di Roman Trekel.  Valido l’apporto dei cantanti giovanissimi, dell’International Opera Studio dello Staatsoper: Natalia Skrycka ( il musico), Vincenzo Neri ( il sergente), David Oštrek ( il capitano), Miloš Bulajić (il lampionaio ed il maestro di ballo), Dominic Barberi ( l’oste). La vicenda dell’amore tra Manon ed il suo “ studente /attore” Renato, procede tutto sommato per come previsto nella storia, a parte qualche riferimento temporale poco chiaro. Il quarto atto, e la morte della giovane però, rimane un po’ come avvolto nel mistero. Se, secondo la storia, la ragazza muore di stenti, tra le braccia del suo amato, in un deserto americano ( il che è credibilissimo, considerato il contesto) qui, invece, l’ultimo atto è ambientato nel set cinematografico dove ha avuto inizio l’incontro tra i due. Il tutto, a luci spente, al termine di una giornata di riprese. E non si spiega il perché i due si ritrovino nuovamente sul punto di partenza. Insomma, un finale, che appare quindi un po’ forzato e che non segue un filo logico ben chiaro, con una morte misteriosa e inspiegabile per una giovane attrice in erba, degli anni venti. Foto Matthias Baus