Novara, Teatro Coccia: “Così fan tutte”

Novara, Teatro C. Coccia, stagione lirica 2016-17
“Così fan tutte”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Fiordiligi ARIANNA VENDITELLI
Dorabella LUCIA CIRILLO
Ferrando ILKER ARCAYÜREK
Guglielmo THOMAS TATZL
Don Alfonso CARLO LEPORE
Despina LAVINIA BINI
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Direttore Carla Delfrate
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Giorgio Ferrara
Scene e costumi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo
Luci Daniele Nannuzzi 
Maestro del coro
Allestimento in coproduzione Fondazione Teatro Coccia Onlus, Spoleto58 Festival dei 2Mondi, Teatro Alighieri di Ravenna e Fondazione Teatri di Piacenza
Novara, 18 dicembre 2016
Allestire Mozart può riservare trappole impreviste: forse nessun compositore come il Salisburghese ha la capacità di far emergere pregi e difetti di ogni artista e questo “Così fan tutte” novarese conferma pienamente i rischi che si corrono allestendo questi titoli senza poter disporre delle frecce migliori al riguardo. Il Teatro Coccia ha mostrato nelle ultime stagioni una grande capacità di valorizzare i giovani talenti e anche in questa occasione si notano l’impegno e l’entusiasmo delle varie componenti ma è innegabile che più che in altri casi emergano anche i limiti e le incertezze.
Per l’occasione orchestra e coro non erano quelli cittadini ma l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza; la prova di quest’ultima componente è apparsa pienamente apprezzabile mentre la parte orchestrale ha presentato maggiori problemi dovuti in gran parte alle discutibili scelte attuate dal direttore d’orchestra Carla Delfrate che opta per tempi estremamente rapidi e concitati che costringono i giovani musicisti dell’orchestra a sonorità fin troppo secche e che soprattutto creano non pochi problemi ai cantanti togliendo loro il tempo di fraseggiare correttamente oltre che mettendoli spesso in palese difficoltà nel reggere le dinamiche imposte dall’orchestra.
Unico veterano del cast e assoluto mattatore della produzione è stato Carlo Lepore come Don Alfonso che ha esibito la sua voce ampia, sonora, ottimamente proiettata, capace di riempire la sala con assoluta facilità ma soprattutto padrone assoluto del ruolo di cui sa valorizzare ogni tratto, ogni dettaglio a cominciare degli importantissimi e spesso sottovalutati recitativi. La sua è stata una performance musicalmente ineccepibile, teatralmente dominante senza mai però scivolare nel facile effettismo che fornisce la pietra di paragone per tutti gli interpreti i quali purtroppo nell’insieme non sono apparsi in grado di reggere il confronto. Al suo fianco spicca la Despina di Lavinia Bini, voce leggera ma musicale e molto educata, scenicamente spigliata e non caricata di inutili tratti grotteschi nei due travestimenti. Sul versante interpretativo avrebbe potuto far ancora meglio con una direzione appena più sensibile alle necessità del canto.
A un livello intermedio si è posta la coppia Dorabella – Guglielmo. Thomas Tatzl dispone di un materiale vocale interessante per potenza e colore ma non sempre pienamente controllato così come l’indubbia personalità scenica si scontra con una mancanza di naturalezza nel canto italiano – non è difficile prevederlo più a suo agio come Papageno – così che la sua prestazione resta in qualche modo sospesa in un limbo; in parte simile, seppur per diverse ragioni, quanto si può dire di Lucia Cirillo, mezzosoprano dal timbro chiaro e quasi sopranile – e non è impropria una certa assonanza anche timbrica fra le sorelle – corretta, educata ma scarsamente capace di imporsi così che il ruolo scivola via in una generica correttezza che lascia poca traccia nello spettatore.
I maggiori problemi riguardavano però la coppia Fiordiligi – Ferrando dove abbiamo riscontrato gli interpreti con maggiori difficoltà. Arianna Venditelli è sicuramente una ragazza interessante e non priva di qualità ma Fiordiligi è ancora cimento superiore alle sue possibilità; si riconoscono, tuttavia, le buone intenzioni e la ricerca di soluzioni anche personali ma gli scarti di tessitura di “Come scoglio” o di “Per pietà ben mio perdona” la mettono in non poca difficoltà costringendola a forzare in acuto e trovandola spesso scoperta nel settore grave. Le qualità di base ci sono ma forse dovrebbe per ora evitare questi cimenti e concentrarsi su quei ruoli in cui può far meglio valere le proprie virtù in attesa di una maggior maturazione dei mezzi vocali.
Poco o nulla invece resta da salvare del Ferrando di Ilker Arcayürek, tenore dalla voce povera e poco consistente, con fiati corti e spesso faticosi e soprattutto sorretta da un gusto datatissimo; il suo è un Mozart tutto virato su una dimensione languida e sospirosa secondo una modalità interpretativa ormai totalmente superata dall’analisi moderna aggravata da un sistematico ricorso al canto di testa per sbiancare ancor più una voce già fragile di natura con risultati inaccettabili tanto più considerando l’inerzia interpretativa e gli evidenti problemi nel corretto controllo della prosodia italiana.
Bifronte nella resa la parte visiva. Molto bello nella sua essenzialità l’impianto scenico costruito da Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo costituito da una strada che scende al mare come tante se ne trovano nelle città mediterranee affiancata da due palazzi dalle ampie finestre protette da persiane. Sullo sfondo si apre il Golfo di Napoli con i velieri alla fonda mentre nuvole a trompe-l’œil di gusto barocco popolano il cielo. Negli interni le finestre ruotano lasciando il posto a citazioni pittoriche di Fragonard. Suggestivo il gioco ambientale con il progressivo muoversi del sole e della luna sullo sfondo e molto belli i costumi perfettamente in epoca tranne quello forse troppo ottocentesco di Don Alfonso. Peccato che all’interno di una così sontuosa cornice il quadro si svolgesse in modo assai deludente. Parlare di regia per il lavoro svolto da Giorgio Ferrara è quasi eccessivo vista la totale mancanza di idee con i cantanti che apparivano sistematicamente lasciati a se stessi, cosa tanto più grave in presenza di un cast di giovani che inevitabilmente non possono avere quell’esperienza di palcoscenico per cercare di compensare in proprio a queste lacune con il risultato di uno spettacolo che passa dalla totale staticità al più trito repertorio di luoghi comuni che stridono con la profondità umana dell’opera. Altrettanto banale l’uso delle luci che, tolti i citati effetti atmosferici per altro più scenografici che illuminotecnici, presentava una sconfortante piattezza con un’illuminazione praticamente costante in tutta la vicenda che sembrava dovuta più a lacune tecniche che a una precisa scelta estetica. Restava l’impressione di un bellissimo contenitore vuoto di contenuto e di un’occasione sprecata.
Sala non gremita e successo per tutti gli interpreti salvo isolate contestazioni per Arcayürek. La trilogia mozartiana proseguirà nei prossimi anni all’interno dello stesso complesso di enti produttori.