Dramma giocoso in un atto su testo di Luigi Balocchi. Laura Giordano (Corinna), Marianna Pizzolato (Marchesa Melibea), Sofia Mchedlishvili (Contessa di Folleville), Alessandra Marianelli (Madama Cortese), Bogdan Mihai (Il cavalier Belfiore), Maxim Mironov (Conte di Libenskof), Mirko Palazzi (Lord Sidney), Bruno De Simone (Don Profondo), Bruno Praticò (Il barone di Trombonok), Gezim Myshketa (Don Alvaro), Baurzhan Anderzhanov (Don Prudenzio), Carlos Cardoso (Don Luigino), Guiomar Cantò (Delia), Olesya Chuprinova (Maddalena), Annalisa D’Agosto (Modestina), Artavad Sargsyan (Zefirino), Lucas Somoza Osterc (Antonio), Yasushi Watanabe (Gelsomino), Camerata Bach Chor Posen, Virtuosi Brunensis, Antonino Fogliani (Direttore). Registrazione Könighischen Kurtheater Bad Wildbad 10 e 12 giugno 2014 XXVI Rossini in Wildbad Festival. 3 CD Naxos 8.660382.B4
Cantata celebrativa e sfolgorante biglietto da visita con cui Rossini si presentava al pubblico parigino, “Il viaggio a Reims ossia l’albergo del Giglio d’oro”, dopo il trionfale debutto, ha vissuto un lungo oblio terminato nel 1984 grazie alle storiche recite pesaresi dirette da Claudio Abbado destinate a restare una delle pagine fondamentali della riscoperta del belcanto nel secondo Novecento. Una maggiore diffusione dell’opera si è, però, scontrata inevitabilmente con le impervie difficoltà di una partitura pensata come una parata di bravura per autentici virtuosi quasi impossibile da rendere nella prassi esecutiva quotidiana; per questa ragione l’edizione pesarese del 1984 resta un unicum, una sorta di miracolo, non ripetuto neppure dalle riprese abbadiane degli anni successivi.
Il festival di Bad Wildbad è riuscito a ricavarsi negli anni un proprio spazio; pur essendo piccolo e con possibilità non certo smisurate ma gestito con intelligenza, il festival è riuscito spesso a proporre edizioni più che apprezzabili del repertorio rossiniano e più in generale del mondo musicale italiano dei primi decenni del XIX secolo. Questa esecuzione di “Un viaggio a Reims” si inserisce in questa meritoria tradizione. Per prima cosa va segnalata come per la prima volta si sia eseguita integralmente l’edizione critica stabilita da Janet Johnson per la fondazione Rossini; non si tratta di modifiche sostanziali ma l’esecuzione integrale dei recitativi permette di chiarire più snodi drammaturgici dei quali è fondamentale quello in cui si accenna alla questione greca con Delia. In questa edizione si ascolta, però, la versione completa di “All’ombra amena”, autentico cimento di resistenza fisica oltre che di bravura per il soprano chiamato a interpretare Corinna.
Frequentemente presenti al festival, i Virtuosi Brunensis hanno sviluppato nel corso degli anni una qualità esecutiva e un senso stilistico ormai al livello di compagini ben più blasonate e sono ottimo strumento nelle mani di Antonino Fogliani che presenta una lettura molto curata, attenta ai dettagli e dal forte passo teatrale cui si può forse rimproverare la scelta in alcuni passaggi di tempi fin troppo rapidi come per esempio nella cabaletta di Sidney per la quale si sarebbe gradito un tempo più disteso. Gli va riconosciuto, tuttavia, un fortissimo senso ritmico, un pieno controllo anche dei momenti strutturalmente più complessi come il grande concertato e una chiarezza complessiva perfetta per una partitura come quella affrontata.
La compagnia di canto non può certo contare sui virtuosi a disposizione di Abbado ma offre una prestazione nel complesso più che apprezzabile. In particolare – come non di rado nei nostri tempi – la parte femminile del cast tende a offrire le prestazioni più interessanti con la parziale eccezione della Contessa di Folleville di Sofia Mchedlishvili, musicale, molto pulita, precisa nelle colorature ma vocalmente molto flebile così che non solo i recitativi mancano di corpo ma gli stessi virtuosismi di “Che miro! ah! qual sorpresa!” non riescono ad accendere le polveri come vorrebbero. Sul versante opposto si pone la Melibea di Marianna Pizzolato, tecnicamente inappuntabile e dotata di una voce ricca, calda, di splendido colore e un totale aplomb stilistico unito a un infallibile senso teatrale con cui si ritaglia un proprio specifico spazio nella storia esecutiva del ruolo. Laura Giordano è una Corinna impeccabile, voce chiara, luminosa, agile, dal timbro serico e carezzevole unita a una vivacità interpretativa di rara comunicativa che emerge sia nell’intenso lirismo degli improvvisi quanto nella scanzonata leggerezza del duetto con Belfiore e, se si nota qualche prudenza nei passaggi più impervi di “All’ombra amena”, questa deriva principalmente dal non comune impegno richiesto dall’esecuzione integrale del brano. Poche volte Madama Cortese è emersa con tanta chiarezza come nell’esecuzione di Alessandra Marianelli, voce non solo molto bella per timbro e colore ma di particolare corpo e robustezza evidente nella pienezza di suono dei suoi interventi nel concertato. L’artista è capace di reggere con sicurezza il tempo quanto meno rapinoso staccato da Fogliani in “Or state attenti, badate bene” e si segnala per una particolare cura interpretativa che emerge specialmente nei recitativi non solo pienamente intellegibili nella dizione ma sempre curati sul piano espressivo.
La parte maschile del cast affiancava un gruppo di giovani emergenti a due vecchi frequentatori del palcoscenico. Fra i primi si annoverano i due tenori: Maxim Mironov, che pur non avendo forse la voce ideale per il Conte di Libenskof, ruolo da autentico baritenore che solo Merritt ha saputo rendere pienamente, canta molto bene, contando su una voce agile e sicura, di bel colore e omogeneità, con acuti di buono squillo e colorature sempre pulite e puntuali. Certo prevale una natura più lirica che drammatica, essendo più a suo agio nel duetto con Melibea che nella sfida con Don Alvaro, un Gezim Myshketa di giusta robustezza e vigore pur con qualche insicurezza sugli acuti, che nell’insieme riesce credibile nella sua parte. E’ un piacere notare la maturazione di Bogdan Mihai di cui serbavamo ricordi pesaresi di una voce interessante ma ancora molto acerba; nelle vesti di Belfiore ci appare come un tenore molto più centrato tecnicamente, irrobustito nei mezzi vocali e che si è liberato di certi vezzi ed eccessi interpretativi a favore di una linea molto più corretta e pulita. L’impervia parte di Lord Sidney mette a tratti in difficoltà Mirko Palazzi che mostra qualche durezza nell’inno inglese; nel corso degli anni la sua voce si è, però, irrobustita con un registro grave solido. La sua lunga frequentazione con il repertorio rossiniano gli dona, inoltre, piena naturalezza stilistica così da superare le difficoltà in una prestazione nel complesso compiuta. Restano due vecchi navigatori di lungo corso del palcoscenico come Bruno De Simone (Don Profondo) e Bruno Praticò (Barone di Trombonok), entrambi esperti conoscitori del repertorio rossiniano. In qualche modo accumunati da vocalità che nel tempo hanno assunto tratti quasi tenorili più che basso-baritonali ma compensati da un assoluto mestiere del palcoscenico. De Simone è più centrato vocalmente e gioca con maestria nelle infinite possibilità offerte da Don Profondo, mentre Praticò tende più spesso a scivolare nel parlato ma senza mai perdere di vista il senso teatrale della frase. Buone le numerose parti di fianco con una segnalazione per la robusta voce mezzosopranile della Maddalena di Olesya Chuprinova.