Madrid, Teatro de la Zarzuela – XXIII Ciclo de Lied
Mezzosoprano Violeta Urmana
Pianoforte Helmut Deutsch
Franz Schubert : Dem Unendlichen D 291; Atys D 585; Waldes-Nacht D 708; Die Sternennächte D 670; Suleika I D 720; Der Zwerg D 771; Die Allmacht D 852
Richard Strauss : Lob des Leidens op. 15 n. 3; Schön sind doch kalt op. 19 n. 3; Nur Mut! op. 17 n. 5; Mein Herz ist stumm op. 19 n. 6; Winternacht op. 15 n. 2; Wer hat’s getan? op. 10 n. 9; Aus den Liedern der Traurer op. 15 n. 4; Winterweihe op. 48 n. 4; Nachtgang op. 29 n. 3; Ein Obdach gegen Sturm und Regen op. 46 n. 1; Liebeshymnus op. 32 n. 3; Freundliche Vision op. 48 n. 1; Wie sollten wir geheim sie halten op. 19 n. 4
Madrid, 7 novembre 2016
Ha appena cantato una frase, quella iniziale di Dem Unendlichen (All’infinito), e già ci ha trasportato in un mondo favoloso, che forse credevamo perduto. Quello dell’autentica arte vocale, che contempera i mezzi tecnici con un elemento naturale d’eccezione: la voce stessa, la sua pastosità, la sua ricchezza. Senza di esse la sola tecnica sarebbe senz’altro prova di professionalità e impegno, ma difficilmente produrrebbe tutte quelle emozioni che contraddistinguono il grande cantante rispetto al semplice professionista. Violeta Urmana porge i Lieder di Schubert e di Strauss con un’emissione saldissima, un registro perfettamente omogeneo, che non si illanguidisce nelle note acute né manca di appoggio diaframmatico in quelle basse. La sostanza del suono è al tempo stesso acuminata e massiccia, ed è capace di creare i colori con tutti i mezzi espressivi; ed ecco l’arte vera del vocalista, appresa da una varietà di ruoli sopranili e mezzosopranili, da Gluck a Verdi e Wagner: anche quando potrebbe compiacersi della propria voce e sfruttarne la bellezza, affidandosi agli armonici e alle loro sfumature, la Urmana non tralascia alcuna risorsa tecnica per esaltare il testo poetico e la scrittura musicale. La portata vocale può dunque risuonare imponente ma fresca (come il vento di Waldes-Nacht o di Suleika I, che facendo muovere le fronde reca liete notizie, «frohe Kunde»), e raggiungere l’afflato epico di un racconto wagneriano: come se in un Lied di Schubert fossero già contenute tutte le peregrinazioni di una Kundry romantica. Il programma è tutto congegnato come un viaggio, in particolare con lo Schubert della prima parte, ma per una volta non si tratta del cammino di disperazione, morte, freddo e solitudine lunare; al contrario, è un concatenarsi di paesaggi solari e di fioriture primaverili, che culminano appunto sulle colline di Suleika. Unica frattura drammatica forte è quella di Der Zwerg, con la terribile vicenda del nano che causa la morte di una regina; ma anche qui la Urmana s’impegna più nelle ondivaghe modulazioni schubertiane per rappresentare il paesaggio marino, affascinante enigma, che non nel rimarcare i risvolti luttuosi della vicenda. L’ultimo brano dell’antologia schubertiana, Die Allmacht, ossia l’Onnipotenza (divina) echeggia solenne come un salmo, ma con l’andamento leggiadro di un valzer in mezzo alla natura, complice perfetto l’abilissimo Helmut Deutsch al pianoforte.
Nella seconda parte, che offre il doppio dei Lieder della prima, in quanto molto più brevi, campeggiano le arditezze armoniche di Richard Strauss, che talvolta mettono a dura prova l’intonazione della Urmana (in particolare Nur Mut! e Mein Herz ist stumm. Dopo i fuochi di artificio di quest’ultimo, a dire il vero, si vorrebbe subito ascoltarla nella parte della moglie del tintore in Die Frau ohne Schatten: sarebbe semplicemente meravigliosa). Ormai il paesaggio è del tutto cambiato, e il tepore primaverile ha ceduto lo spazio alla nebbia e al freddo; o, per dir meglio, la luce diurna ha lasciato sopraggiungere i toni crepuscolari, perché l’atmosfera musicale di alcuni brani è molto simile a quella dei Vier letzte Lieder (specialmente Winternacht e Winterweihe). L’interprete modifica il suo approccio stilistico, puntando sul legato e sulla mezza voce; anche per questo Ein Obdach gegen Sturm un Regen (Un tetto per proteggersi da tempesta e pioggia), il Lied musicalmente più composito dell’intero gruppo straussiano, è anche il capolavoro interpretativo della seconda parte. Il canto della Urmana suscita una riflessione un po’ malinconica: siamo purtroppo sempre più abituati a voci difformi e disomogenee nell’emissione, con stridenti passaggi di registro, sobbalzi e oscillazioni, difetti nella respirazione. Sebbene non sia perfetta sotto ogni aspetto, la voce della Urmana sembra invece provenire da un altro pianeta, popolato da consorelle maggiori come la Norman, la Price, la Janowitz, su su fino alla Ludwig e alla Schwarzkopf, per non ricordare che qualche modello di emissione vocale unitaria, dalla linea di canto impeccabile. Al termine del programma il pubblico del Teatro de la Zarzuela – frequentatore attento di voci disparate ma molto fedele al repertorio liederistico – esplode in acclamazioni entusiastiche; tanto che la Urmana e Deutsch elargiscono due bis fuori programma, uno di Schubert e uno di Strauss, e poi li raddoppiano, e ancora offrono una quinta propina, come si dice da queste parti, per congedarsi con lo stesso Strauss: l’ubertosa e intensa Zueignung (Dedizione), simbolo appunto di totale fedeltà. Al canto, all’arte, all’esistenza.