“Noye’s fludde” di Britten al Teatro Comunale di Sassari

Sassari, Teatro Comunale – Stagione lirica 2016  
“NOYE’S FLUDDE” (L’Arca di Noè)
Opera scenica per voci adulte e di ragazzi, coro di ragazzi, orchestra da camera e orchestra di ragazzi. Musica di Benjamin Britten
Noè DAVIDE GIANGREGORIO
Moglie di Noè OLESYA BERMAN
Sem AGNESE VIRDIS
Cam ELISABETTA CACCIOTTO
Iafet ANDREA SOLIVERAS
Moglie di Sem ELISA BRETT
Moglie di Cam FEDERICA SINI
Moglie di Iafet FEDERICA MARRAS
Amiche della moglie di Noè LAURA MUREDDA, SILVIA BUDRONI, FRANCESCA PIRAS, VALENTINA MURONI
Voce di Dio LUCA BRUNO
Orchestra dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis”
Orchestra del Liceo Classico, Musicale e Coreutico “D. A. Azuni” – Sassari
Coro giovanile “Lolek Vocal Ensemble”, Coro I. C. Monte Rosello basso – Sassari
Direttore d’orchestra Andrea Solinas
Maestro del Coro Barbara Agnello
Regia Sante Maurizi
Scene Oscar Solinas
Costumi Luisella Pintus
Nuovo allestimento dell’Ente Concerti “Marialisa De Carolis”
Sassari, 18 novembre 2016     
Approda finalmente, è proprio il caso di dirlo nella circostanza, anche un titolo di Benjamin Britten nella stagione lirica di Sassari: l’unico compositore operistico moderno regolarmente programmato in quasi tutti i maggiori teatri del mondo non aveva fino ad ora avuto spazio sul principale palcoscenico cittadino, da sempre legato fondamentalmente al melodramma italiano. Noye’s Fludde è un lavoro eminentemente didattico e, per la verità, neanche dei migliori del musicista britannico, ma il valore della proposta dell’Ente Concerti de Carolis ha sicuramente travalicato da vari punti di vista l’aspetto puramente artistico ed esecutivo, nel complesso comunque soddisfacente. Il primo valore è sicuramente rappresentato proprio dall’aspetto educativo e formativo.  Coinvolgere tanti studenti delle scuole cittadine in un’esperienza del genere è una delle poche strade percorribili perché il teatro musicale in Italia abbia un futuro, sia sul palcoscenico ma, soprattutto, in platea: senza soldi non si canta messa, ma senza fedeli si rischia di cantare da soli… È inutile lamentarsi per la crisi dei teatri lirici, la perdita dei riferimenti culturali del pubblico, l’ignoranza musicale diffusa a qualunque livello, senza una progettualità a lungo termine che agisca sistematicamente nei luoghi della formazione dei saperi e, per conseguenza, a cascata su tutti gli aspetti dello spettacolo artistico di casa nostra. La produzione inoltre è stata il frutto di un’intelligente sinergia formativa che ha coinvolto tutti gli aspetti della messa in scena con la partecipazione, oltre alle maestranze locali, anche di vari stagisti e studenti, dimostrando come, col tempo, il territorio abbia ormai acquisito nel settore delle autonome competenze di livello professionale. Peccato che l’Ente non abbia mostrato di credere fino in fondo a una proposta che avrebbe meritato maggior sostegno, con un ruolo paritario all’interno del cartellone, e un investimento più consistente che avrebbe ovviato ad alcune pecche facilmente rimediabili.
L’opera, rappresentata la prima volta l’8 giugno 1958 al festival di Aldeburgh di cui lo stesso compositore era animatore, nasce come progetto formativo ma contiene sicuramente alcuni aspetti del Britten dei grandi capolavori teatrali; per prima l’attenzione all’età dell’infanzia, vista come un periodo puro dove l’innocenza sembra sempre minacciata dalla realtà di un mondo dei “grandi” corrotto e pericoloso. Sono pochi gli adulti eletti capaci di mantenere tale purezza o di preservare la propria diversità, come Billy Budd nell’opera omonima e come Noè in questo caso, impegnato a salvare nella sua arca un’umanità fondamentalmente costituita da animali-bambini; traspare invece una chiara misoginia nei confronti dei bizzarri personaggi femminili, scettici, beffardi e persino grottescamente dediti all’alcool. La fonte originale del libretto è legata all’antica tradizione inglese dei Miracle Plays, sorta di sacre rappresentazioni itineranti di origine medioevale, che avevano lo scopo di diffondere episodi biblici a uso edificante per il popolo meno alfabetizzato. Le corporazioni di arti e mestieri, soprattutto nella città di Chester, erano dedite a tale pratica e, nel caso del Noye’s Fludde (letteralmente il Diluvio di Noè) il compito era soprattutto affidato agli acquaioli, che quindi tendevano a specializzarsi nel repertorio.
Il regista Sante Maurizi allude in maniera evidente a tale tradizione sfruttando bene l’unico luogo deputato possibile: la grande arca di legno che viene calata dall’alto, in pezzi progressivamente montati a vista. Oscar Solinas, autore delle scene, costruisce, grazie anche al taglio delle luci, un impianto dalla prospettiva bidimensionale che giustamente rifugge dalla rappresentazione realistica per assumere un ruolo fondamentalmente indicativo, da codice miniato, mentre i bei costumi di Luisella Pintus sottolineano l’aspetto favolistico senza cercare un’impossibile storicità, come il passato inventato di tanti affreschi medioevali. L’aspetto da sacra rappresentazione è sottolineato ulteriormente con una recitazione essenziale e legata allo spontaneismo popolare, fortunatamente depurata dagli stereotipi melodrammatici: gesti semplici che avrebbero avuto bisogno solo, in alcune circostanze, di una maggiore enfasi a causa degli ampi spazi teatrali. In effetti l’opera, concepita per l’esecuzione all’interno di una chiesa, ha un po’ sofferto dell’ambientazione in un auditorium moderno, non solo per la suggestione dell’aspetto scenico – rituale, ma anche per ragioni acustiche: sarebbe stata necessaria sicuramente un’amplificazione più adeguata per sostenere maggiormente coro e solisti, soprattutto nell’equilibrio con la buca. L’orchestra risultava invece sofferente negli archi, in numero fin troppo essenziale nell’occasione, ma assolutamente da lodare la preparazione scrupolosa dei ragazzi, formata dagli studenti del Liceo Classico, Musicale e Coreutico Azuni, specialmente nelle impegnative sequenze pianistiche e nelle percussioni, arricchite anche con set insoliti. Oltretutto la scoperta scrittura orchestrale, spesso a sezioni e con parti che prevedono la partecipazione di professionisti e amatori, non permette facili accomodamenti e richiede responsabilità e sicurezza anche nei passaggi tecnicamente più semplici. La struttura drammaturgica dell’opera, per quanto sintetica, non ha proprio un grande equilibrio e appaiono troppo dilatate, almeno depurate dall’aspetto rituale, troppe ripetizioni musicali che citano vari elementi dell’innodia liturgica: tuttavia l’impatto di varie soluzioni e la naturale semplicità del linguaggio rendono l’opera facilmente fruibile per tutti. Tutto è stato governato con gesto chiaro e sicuro da Andrea Solinas, giovane direttore che ha mostrato comunque una buona maturità e un grande equilibrio nel condurre un’opera più complessa di quello che potrebbe sembrare. Giusta la soluzione di mantenere delle sonorità compatte anche negli effetti più plateali, vista la particolarità dell’organico, e apprezzabile la varietà agogica che ha saputo dare ritmo a tutta l’esecuzione.  Sul palcoscenico la partecipazione professionale è limitata alle parti di Noè, baritono, e della moglie, contralto: Davide Giangregorio e Olesya Berman svolgono molto bene i loro ruoli, con buona partecipazione scenica e, soprattutto, grande equilibrio vocale. È evidente che uno dei problemi principali in palcoscenico con un lavoro simile consista nel fondere la vocalità dei cantanti solisti con quella delle voci bianche, sicuramente meno ampie; in questo caso, anche a causa di mezzi vocali non particolarmente voluminosi, è stata evidente la ricerca di un piano sonoro unico che ha saputo creare un livello espressivo credibile e ben amalgamato.  Il resto del cast, interamente formato da voci bianche e giovanili, ha dato corpo ai personaggi secondari (Sem, Cam, Iafet, le loro mogli e le amiche della moglie di Noè) con brio e una vocalità sorprendentemente precisa e sicura, senza essere intimorito dagli spazi sicuramente troppo ampi per le proprie possibilità vocali. Agnese Virdis, Elisabetta Cacciotto, Andrea Soliveras, Elisa Brett, Federica Sini, Federica Marras, Laura Muredda, Silvia Budroni, Francesca Piras e Valentina Muroni hanno mostrato, nel complesso, una buona formazione e una disinvoltura indubbiamente encomiabili, con alcuni casi che potrebbero valutare la possibilità di studi professionali in ambito musicale. Apprezzabile anche la parte recitata di Luca Bruno nel ruolo fuori scena, e moralmente piuttosto impegnativo, di Dio. Ottimo il lavoro svolto da Barbara Agnello nella preparazione del foltissimo coro formato dal Lolek Vocal Ensemble e dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Monte Rosello Basso, principali fruitori del progetto, che hanno dimostrato ancora una volta come i giovani e gli amatori, ben guidati, possano raggiungere traguardi musicali e artistici di buon livello.  Scontato il successo da parte del pubblico, fuori abbonamento, in buona parte formato da amici e parenti; ma lo spettacolo, una volta tanto, ha saputo coniugare formazione e qualità, senza scadere, come troppo spesso accade in questi casi, nell’esibizione a tutti i costi un po’ arrangiata, che manda tutti a casa felici e contenti, ma non certo appagati.