Milano, Teatro alla Scala: “Le nozze di Figaro”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2015/2016
“LE NOZZE DI FIGARO”
Opera buffa in quattro atti su libretto di Lorenzo Da Ponte.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il Conte d’Almaviva SIMON KEENLEYSIDE
La Contessa d’Almaviva DIANA DAMRAU
Susanna GOLDA SCHULTZ
Figaro MARKUS WERBA
Cherubino MARIANNE CREBASSA
Marcellina ANNA MARIA CHIURI
Don Bartolo/Antonio ANDREA CONCETTI
Don Basilio/Don Curzio KRESIMIR SPICER
Barbarina THERESA ZISSER
Prima contadina FRANCESCA MANZO
Seconda contadina KRISTÍN SVEINSDÓTTIR
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Franz Welser-Möst
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Frederic Wake-Walker
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Fabiana Piccioli
Milano, 8 novembre 2016
Dopo tre decenni di successi, le intramontabili Nozze di Figaro di Giorgio Strehler – che hanno incantato il pubblico scaligero senza soluzione di continuità dal 1981 al 2012 – lasciano (finalmente?) spazio a una nuova produzione. Grandi aspettative e grandi responsabilità dunque per il giovane britannico Frederic Wake-Walker, cui è stata affidata la nuova regia. L’onore e l’onere di proporre un nuovo spettacolo dopo la ripresa incessante di un allestimento amatissimo e ormai storico era compito davvero impegnativo se non ingrato, ma non per questo ci sentiamo di assolvere le troppe lacune di una messinscena opaca e mediocre. Lo spettro di Strehler rivive nelle nuove Nozze in alcune esplicite citazioni che risiedono in elementi scenici iconici, dalla poltrona al centro del palco all’apertura del sipario nel primo atto – sfondata violentemente da Figaro con un calcio ben assestato – all’enorme lampadario calato nella scena in giardino, all’interno del quale Susanna inspiegabilmente si accovaccia cantando “Deh, vieni, non tardar”.  La contestualizzazione settecentesca è affidata ai costumi e alle scene kitsch di Antony McDonald, che affianca nuovamente il regista britannico dopo il fortunato debutto mozartiano con la Finta Giardiniera al Festival di Glyndebourne 2014. Un diciottesimo secolo che non è inquadramento storico della vicenda, ma la semplice ambientazione di uno spettacolo nello spettacolo: quello che vediamo non è altro che una rappresentazione teatrale di una compagnia di attori. Infatti, attraverso il filtro del metateatro (di cui ormai si abusa), Wake-Walker sposta la vicenda dal piano umano delle relazioni e dei sentimenti a quello della finzione scenica. Tale impostazione è esplicitamente dichiarata già durante l’overture con frenetici spostamenti di quinte e pannelli, coordinati da un consistente gruppo di acide assistenti di scena in tailleur nero, occhialetti e pettinature improbabili. Queste intervengono insistentemente nel mezzo dell’azione esibendosi in stacchetti grotteschi (come la marcia nel “Non più andrai”), ridisponendo elementi in scena o riproducendo con enfasi e tempismo perfetto l’effetto sonoro di schiaffi e porte serrate, simpatiche la prima volta ma alla lunga ripetitive, se non moleste. Per il resto, molte le incoerenze o le gag totalmente fini a se stesse che non contribuiscono certo a dare a questa lettura registica coerenza e spessore: l’anziano gobbo perennemente in scena che segue sullo spartito l’intera opera ricordando le parole ai cantanti; cadute di stile sparse qua e là senza ragione, con allusioni sessuali tra i protagonisti e gestacci dei paesani; l’apparizione del rivale in amore che vaga con aria di sfida per il palco, rispettivamente il Conte sulle note di “Se vuol ballare” e Figaro in “Vedrò mentr’io sospiro”; caratterizzazioni indefinite dei personaggi, passando da un Basilio a metà tra un cupo cortigiano del Duca di Mantova e l’effeminato frontman di una band metal a un Antonio tatuato, ossigenato e con un gilet di piume; l’improvviso “effetto party” nel Finale Terzo con luci violacee (light design di Fabiana Piccioli), con spogliarello di coro e comparse e occhi di bue che danzano sul pubblico in platea e nei palchi, stacco improvviso e ingiustificato dal clima settecentesco di questo spettacolo nello spettacolo. Insomma, il risultato è un mix incoerente di linguaggi e forzature che più che tenere viva l’attenzione diventano spia di una messinscena labile, confusa e a dire il vero per nulla innovativa.
Grandi soddisfazioni invece sul fronte vocale, con un cast internazionale di primo livello. Partendo dal debutto più atteso, dieci anni dopo il successo milanese nel ruolo di Susanna, l’esordio scaligero di Diana Damrau nei nuovi panni della Contessa è pienamente all’altezza delle aspettative. Maturità vocale e grandi capacità d’interprete permettono al soprano tedesco di scolpire a tutto tondo un personaggio estremamente complesso e sfaccettato, dalla malinconia della cavatina “Porgi amor qualche ristoro”, al tono divertito nell’architettare “una burla innocente” ai danni del marito e il trasporto nell’affrontarlo quando l’accusa di tradimento, fino al disincanto di un sublime “Dove sono i bei momenti”. In entrambe le due grandi arie, eseguite magistralmente, la voce è sempre ben timbrata e limpida nonostante la maggior corposità acquisita nel tempo, valorizzata da un’emissione calibrata alla perfezione, dallo squillante sfogo in acuto fino al più delicato pianissimo. Il ruolo vacante di Susanna è ottimamente ricoperto da Golda Schultz, dotata di disinvolta presenza scenica e un accattivante timbro brunito. Il soprano sudafricano ha padronanza tecnica e innata musicalità, con cui riesce ad affrontare brillantemente i numerosi duetti e terzetti che la coinvolgono nel corso dell’opera e che le consentono di interpretare nel quarto atto un memorabile “Giunse alfin il momento…” di estrema sensualità, trasporto e delicatezza. Markus Werba è un Figaro istrionico, volutamente sopra le righe nelle movenze e nell’esasperata gestualità che si sposa al meglio un’impostazione registica che calca la mano sul concetto di farsa e teatralità. Il baritono austriaco dimostra anche dignitoso spessore vocale e cura alla dizione, risultando particolarmente convincente nell’aria “Aprite un po’ quegli occhi”, riuscendo a valorizzarla con un buon fraseggio e il giusto pàthos. Simon Keenleyside è come sempre perfettamente a suo agio nei panni del Conte d’Almaviva, ruolo tra i suoi prediletti con cui debuttò nel mondo operistico nel 1988 ad Amburgo. Il baritono inglese coglie appieno quel sottile equilibrio tra inguaribile seduttore e marito impacciato con una disinvoltura e una sicurezza che solo un veterano del ruolo può avere. Elegantissimo tanto nelle movenze quanto nella linea di canto, svetta nei pezzi d’insieme con suoni sempre ben timbrati e brilla nell’aria “Vedrò mentr’io sospiro” con una resa pressoché impeccabile. Eccezionale anche Marianne Crebassa, che con voce squillante, perfetto physique du rôle e fraseggio assai curato impersona un Cherubino frizzante e adorabilmente adolescenziale, alternando con spiccate doti attoriali gestualità nobile a movenze volutamente goffe. Ottima l’esecuzione delle due ariette “Non so più cosa son, cosa faccio” e “Voi che sapete”. Molto divertente in scena e ben cantata la Marcellina di Anna Maria Chiuri (peccato per il taglio dell’aria “Il capro e la capretta”), affiancata da un sempre efficace Andrea Concetti nel doppio ruolo di Bartolo e Antonio. Kresimir Spicer dà voce insolitamente squillante a Don Basilio e Don Curzio, esageratamente sguaiato in più occasioni ma comunque convincente nel complesso della sua performance. Convincenti le allieve dell’Accademia del Teatro alla Scala: bravissima la Barbarina di Theresa Zisser e corrette le contadine di Francesca Manzo e Kristin Sveinsdottir.Sempre buona la prestazione del Coro diretto da Bruno Casoni, nonostante alcune imprecisioni negli attacchi dovute essenzialmente alla direzione non troppo attenta di Franz Welser-Möst, che non convince appieno. Con uno stacco dei tempi spesso inappropriato e un approccio asettico e povero di colori, il direttore austriaco non sembra curarsi troppo cantanti: non sono rari purtroppo i momenti di totale scollamento tra buca e palcoscenico, nonché i problemi di eccessivo volume orchestrale che spesso va sovrastare le voci. Il pubblico, piuttosto annoiato e perplesso nel corso della serata, ha riservato meritate ovazioni a tutti i protagonisti al calare del sipario. Le restanti recite andranno in scena il 19, il 24 e il 27 novembre.