Catania, Teatro Massimo Bellini: “Sakuntala” di Franco Alfano

Catania, Teatro Massimo Bellini – Stagione Lirica 2016
“SAKUNTALA”
Opera in tre atti.
Libretto e Musica di Franco Alfano tratto dal dramma Abhijñanasakuntalam di Kalidasa
Sakùntala, giovane donna di origini regali SILVIA DALLA BENETTA
Il Re
ENRIQUE FERRER
Priyamvada, amica di Sakùntala
KAMELIA KADER
Anusuya, amica di Sakùntala
NELYA KRAVCHENKO
Il suo scudiero
PAOLO LA DELFA
Kanva, capo degli eremiti
FRANCESCO PALMIERI
Un giovane eremita
SALVATORE D’AGATA
Durvasas, un asceta /Harita 
ALESSANDRO VARGETTO
Un pescatore
SALVATORE FRESTA
Un uomo della guardia
FILIPPO MICALE
Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini
Direttore d’orchstra Niksa Bareza
Maestro del coro Ross Craigmile
regia, scene, costumi e luci Massimo Gasparon
Nuovo allestimento
Catania, 19 novembre 2016
Penultimo spettacolo della stagione lirica 2016 del Teatro Massimo Bellini di Catania, Sakuntala di Alfano è un’opera che è apparsa raramente nei palcoscenici nonostante sia stata giudicata dai critici come uno dei migliori lavori del maestro napoletano. Rappresentata per la prima volta nel 1921 con il titolo originario La leggenda di Sakuntala, l’opera ha vissuto una vicenda editoriale piuttosto complessa dal momento che di essa esiste sia la versione originaria, ritenuta per molto tempo perduta in seguito ai bombardamenti che avevano danneggiato gli archivi della Ricordi e riscoperta nel 2006, sia quella ricostruita dallo stesso Alfano nel 1952 con il titolo abbreviato di Sakuntala. Nel pur ricco e interessante libretto di sala non viene indicata quale delle due versioni è stata scelta, anche se il titolo e soprattutto qualche minima differenza nel coro iniziale Luce dei cuori farebbero propendere per la versione del 1952. Opera estremamente complessa anche per i suoi aspetti simbolici,Sakuntala è stata realizzata al Teatro Massimo Bellini in un nuovo allestimento che non ha certo deluso per quanto attiene alle scene e ai costumi realizzati da Massimo Gasparon che ha curato anche la regia. Lo scenografo e regista ha dato una lettura dell’opera in una chiave magica e irreale, come si può notare sin dal primo atto, dove il pubblico è proiettato in un bosco di palmizi che diventa più che una rappresentazione verista del luogo della vicenda, uno spazio simbolico capace di evocare un Oriente non ben precisato dal punto di vista spaziale e temporale. Questa lettura sembra confermata dalla presenza dei palmizi in tutti e tre e gli atti e se nel primo a dare un tocco di realismo alla scenografia ci pensa una pagoda posta sullo sfondo, nel secondo assolve a questa funzione un muro che rappresenta il recinto attorno all’eremo. Nel terzo atto, il contrasto stridente sul piano realistico tra i palmizi e le alte colonne che rappresentano il palazzo del re, il cui spazio non appare stranamente chiuso, in realtà rinvia ad una dimensione magica nella quale un ruolo importante è rivestito dalla luna, quasi silente dea, che domina le vicende umane. Altrettanto simbolici sono apparsi i costumi soprattutto della protagonista che, come affermato da Gasparon, vive rispettivamente nei tre atti i tre momenti dell’infanzia, della maturità e della morte. Ecco quindi che Sakuntala, ancora pura vergine nel primo atto, è vestita di bianco, mentre nel secondo indossa una veste dorata e nel terzo una di colore blu che si intona con quella del re. Le sue compagne, non toccate dall’amore, invece, indossano sempre l’abito bianco della loro verginità allo stesso modo degli altri personaggi, statici da un punto di vista drammaturgico. In questi spazi i personaggi si muovono come se stessero compiendo un rito antico, mentre l’amore è rappresentato in tutte le sue sfaccettature. È una caccia nella danza che alcune donne vestite da gazzelle intrecciano con i cacciatori del re, mentre è vissuto nella sua pienezza dai due protagonisti alla fine del primo atto. Infine non soddisfa un re stanco, ma anche colpito dalla maledizione, nella danza posta all’inizio dell’atto terzo.
Passando dal piano visivo a quello prettamente musicale va notata la buona concertazione di Niksa Barezache, che, confrontandosi con una partitura complessa dalla scrittura eminentemente sinfonica e riempita di percussioni, è riuscito a far risaltare i vari timbri degli strumenti. Molto belle sono apparse le folatine dei fiati, mentre va rivelata in qualche punto, in corrispondenza soprattutto dei pieni orchestrali, qualche sonorità forse un po’ eccessiva che ha soverchiato i cantanti. Scenicamente e vocalmente adeguata al ruolo è apparsa la Sakuntala di Silvia Dalla Benetta, che, dotata di una voce particolarmente adatta a questo tipo di repertorio, ha saputo rappresentare la maturazione del suo personaggio sia dal punto di vista vocale che drammaturgico.  La sua è una voce di particolare estensione che l’artista sa modulare grazie a un sapiente uso delle messe di voce. Di buon livello è stata anche la performance del tenore spagnolo Enrique Ferrer (Il re), a suo agio in una vocalità che esalta le dinamiche più dolci. La sua voce, pur bella, non è dotata di grande potenza specie nel registro acuto e tende, talvolta, a scomparire fagocitata da un’orchestra, che in certi casi non lo aiuta, apparendo fin troppo fragorosa. Tra le numerose parti di fianco vanno segnalate le performances corrette di Kamelia Kader (Priyamvada), di Nelya Kravchenko (Anusuya), Paolo La Delfa (Lo scudiero), Alessandro Vargetto, nella doppia veste di Durvasas e di Harita, di Salvatore Fresta (Un pescatore) e di Salvatore D’Agata (Un giovane eremita).  Emerge il Kanva di Francesco Palmieri che, dotato di una bella voce e di una valida tecnica  evidente in un buon uso dei colori e del fraseggio, ha reso bene il carattere ieratico del suo personaggio limitato semplicemente a una breve apparizione alla fine dell’atto secondo. Come sempre curata la parte del coro ben preparato e diretto da Ross Craigmile.